Il Re Torrismondo/Atto secondo/Scena terza

Atto secondo - Scena terza

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SCENA TERZA

ROSMONDA

O felice colei, sia donna o serva,
Che la vita mortal trapassa in guisa,
Che tra via non si macchi, e non s’asperga
Nel suo negro, e terren limo palustre.
Ma chi non se n’asperge? ahi! non sono altro
Serve ricchezze al mondo, e servi onori,
Ch’atro fango tenace intorno all’alma,
Per cui sovente in suo cammin s’arresta,
Io, cui d’alta Fortuna aura seconda
Portando alzò nella sublime altezza,
E mi ripose nel più degno albergo,
De’ Regi invitti, e gloriosi in grembo,
E son detta di Re figlia e sorella,
Dal piacer, dall’onore e dalle pompe,
E da questa real superba vita
Fuggirei, come augel libero e sciolto,
All’umil povertà di verde chiostro
Or tra varj conviti, e varj balli
Pur, mal mio grado, io spendo i giorni integri,
E delle notti a’ di gran parte aggiungo;

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Onde talor vergogna ho di me stessa.
E gran vergogna è pur, ch’i vaghi augelli
Sorgan sì pronti allor, che ’l Ciel s’inalba,
A salutare il Sole, e ch’io sì tarda
Sorga a lodar, chi diè sua luce al Sole.