Il Prologo del Superbo
Questo testo è completo. |
Prologo della Comedia del Glorioso
Censore, Lisetta e poi il Buffone.
Cens.:
Oh là, che indugio è questo? E pur l’un’ora
è già sonata; il popolo s’attedia
in aspettar: perché non escon fuori
gli attori a dar principio alla comedia?
5Questo colla creanza non s’accorda;
ah, comincia a mancarmi la pazienza!
Io non posso veder star sulla corda
sì numerosa e sì cortese udienza;
a me par di sognar, oh là!
Signore,
non v’addirate, no!
Cens.:
Lisetta, a voi
non s’aspetta la prima a venir fuori.
Lis.:
Lo so, ma confusione è fra di noi
nata da una ridicola figura
giunta in palco testé: de’ vostri attori
15nessuno la conosce. Oh che struttura
di corpo contrafatta! Ella uscir fuori
volea la prima: è stata una gran pena
il ritener quel mostro, e poco meno
che egli non venne ad infamar la scena.
20Tentò Pasquin di ritenerlo in vano,
Filinto invano oprò sue riverenze;
io molto oprai col senno e colla mano,
Licandro sparse in van le sue sentenze;
quando pien d’albagia, gonfio di boria,
25con tetra maestà, con fier cipiglio
giunse al grand’uopo il Conte di Turboria,
che a un solo sguardo, a un sol chinar di ciglio
a quel meschin fiaccò l’audace fronte;
e benché mal condotto, egli minaccia
30di recitare a viva forza, e dice
che senza lui non v’è scena che piaccia.
Cens.:
Chi domine è costui? Direte al Conte
che si pieghi ad aver la compiacenza
di lasciarlo venir in mia presenza.
Lis.:
35Eh lasciate star là quest’animale:
agl’infami suoi detti,
alle parole oscene e disoneste
fuggiran da’ palchetti
le vergini modeste:
40che non vedete quante giovinette
in questa favorevole assemblea
adornano i casini e la platea?
Oltre a questo, ha un corpaccio
che scorre innanzi a lui come un foriere,
45le sue gambe caprigne
vengono saltellon dietro di lui.
Bótte non vidi mai sì sbardellata
di lascivia sfacciata: or se costui
viene in danza con noi? Non è decoro
50né mio, né d’Isabella
con questo imbratta scene
l’azione mescolare e la favella;
di più, gli puzza il fiato,
or sbava, or morde,
55or parla in alta frase, ora in plebea,
or tartaglia, ora storpia le parole,
or dà co’ piè certe ceffate sorde.
Senza ragion s’adira,
senza ragion si placa,
60e vedi nel suo viso
nel medesim’istante e ‘l pianto e ‘l riso.
Il riso no, i’ volea dire un ghigno
amaro, sbeffator, laido e maligno.
Benché avvezza alla disgrazia,
65io non ho tanto coraggio
da soffrir un personaggio
che non ha garbo né grazia.
Cens.:
Con ciglio tempestoso,
con guardo fulminante
70dentro alle scene il fiero conte stia,
e dirimpetto a lui mi venga innante
uomo o centauro che costui si sia.
So che in faccia al glorioso
non ardirà d’articolar parola
75o muover gesto che indecente sia:
vo’ saper sue ragioni e chi lo move
a farci il don delle sue belle prove.
Chi sa che egli non ceda
all’amabile forza di ragione,
80e chi sa ch’alla fin non si ravveda?
Di dentro più voci:
Bastoni e ciottoli
senza pietà
la bestia fetida
caccin di qua.
Buff.:
85Mi dan la caccia come a un orso, e pare…
Lis.:
Ecco egli viene, io fuggo.
Sotto queste
selvagge spoglie e satiresche forme
un drammatico eroe stassene ascoso,
e non mica un eroe fiacco e dolente
90come il Giovine Ulisse,
ma tra’ forti e felici il più potente,
che dalle risa fa scoppiar nel trono
la tirannia nel suo crudel sembiante,
che della frode teatrale in mano
95spezza il calice impuro
e ‘l poetico tosco in terra sparge;
di lascivia gentil, di scherzi amante,
gloria e delizia delle donne i’ sono,
figlio del chaos e della confusione
100muovo il sapiente a riso e l’ignorante.
Cens.:
Me movete piuttosto a compassione.
Alfin doppo le tante,
dite: chi siete voi?
Sono il Buffone.
Cens.:
Ah, tu sei quello che i piacer più casti
105col dolce tuo veleno infetti e guasti;
tu sei quel che alla tragedia
colla tua lingua procace
togli un pianto che ci piace,
porgi un riso che ci tedia.
Buff.:
110Io son Buffon, non però goffo tanto
da poter darmi a bere
che spiaccia il riso e che rallegri il pianto,
se pur la vostra indagatrice mente
non avesse trovato un nuovo modo
115da farci lacrimar allegramente.
Cens.:
Piange l’uom se in finte scene
per destin vede infelice
un glorioso e giusto re:
chi da lui quel pianto elice?
120Geme al duol, piange alle pene
d’un’imagine di sé.
Quel dolore è suo diletto,
suo piacer quella pietà;
un tuo frizzo, un tuo concetto
125quale allor noia ci dà!
Buff.:
Io quel pianto ammollisco, io dal gran peso
del tragico terror sollevo il cuore,
do gioia alla pietà, riso al terrore;
la crudeltà del fato io disacerbo,
130tolgo l’eroe da morte e in vita il serbo.
Senza me, poveri eroi,
guai a voi!
chi affogato,
chi accecato,
135chi dal coltel del genitor svenato:
tutti dispersi nell’Ulisse andaste,
non ne rimase in palco nemmen uno:
e s’i’ v’ero io, non ne moria nessuno.
La grazia, il brio, la comica eloquenza,
140la compassione d’un dipinto affanno,
speme, pietà, dolore, ira e spavento
son belle idee, ma non per queste scene:
il teatro non è questo d’Atene;
Qui sol stimasi un buffone,
145che sa far la congiunzione
fra lo spirito e la carne.
Cens.:
Che bel piatto!
È un zibaldone,
ma ognun cerca di gustarne.
Quanti siete ad amar i piagnistei,
150e del tragico attore
l’elmata fronte e ‘l coturnato piè?
Di questo tetro umore
non ne conto di qui che cinque o sei;
tutto il resto è per me.
Cens.:
155Son per il riso anch’io, ma non per quello
d’un sordido buffone,
che spegne in sen la tragica pietà,
che fa chinar il ciglio alle matrone
ed arrossir le fa.
Buff.:
160V’è dunque una maniera
incognita e straniera
da far nascere il brio
senza l’aiuto d’un qual mi son io?
Cens.:
Questa maniera v’è, v’è questo fonte:
165l’aprirà la comedia questa sera
nel personaggio d’un superbo conte.
Pien di fumo e vana altura,
questo gonfio cavaliere
di sé stesso ammirator,
170colla tronfia aria e figura,
colle acerbe sue maniere,
col fastoso e fiero umor,
farà ridere, e perché?
Tu con subito diletto
175ridi a quel vano difetto
che non credi aver in te.
Ma se poi da tanta gloria
quest’eroe vedrai cader,
e in rovina ir fasto e boria,
180si raddoppia il tuo piacer.
Ride l’uom quand’egli mira
in altrui leggier difetto,
che ei non crede aver in sé;
egli allor sé stesso ammira,
185e con subito diletto
ride al mal che in lui non è.
Tutto il comico riso è di qui nato,
non dalle scioccherie d’uno sfrontato.
Buff.:
Pure, a vostro dispetto,
190se di bocca mi sdrucciola improvisa
una lascivia, un lubrico concetto,
il popol si smacella dalle risa.
Cens.:
Non ride allor di te, ride al rossore
che copre a voi, donne leggiadre, il viso;
195da un torto fatto a voi nasce quel riso.
Né tutti rideran: dispetto occulto
pungerà il cuor del padre di famiglia,
ché quel motto lascivo è un grave insulto
fatto a lui, alla sposa ed alla figlia.
Buff.:
200Ora intendo, signor, la vostra idea:
la sposa voi vorresti babbalea,
e pioppa la fanciulla;
vi son nel cuor, le belle sempliciotte
son facili, non sanno negar nulla.
205Io ve le guasto, le fo scaltre e dotte,
lor scopro l’arte de’ fallaci amanti,
io mostro loro il serpentello ascoso
sotto i bei doni e sotto i falsi pianti.
Cens.:
Ma con modo sfacciato e vergognoso.
Buff.:
210Io stritolo la scienza,
cerco parlar coll’ultima evidenza,
la chiarezza è il mio forte.
Cens.:
La chiarezza offensiva è odiosa a morte.
Buff.:
Trovo là pietre e bastoni,
215quivi un Seneca morale
con il suo quaresimale
mi raffibbia riprensioni:
il Buffon vorrebbe casto,
il teatro al certo è guasto.
220Dunque addio, mie dolcissime petazze,
gonfie di scherzi e di ridenti nulli,
gioia delle ragazze,
sollazzo de’ fanciulli,
di comica allegria macchine a vento:
225quanto divertimento
perde il teatro!
Eh ben, che fate voi
di codeste vesciche?
Buff.:
Nella flebil tragedia
le rompo in viso agl’infelici eroi,
230e sollievo così le sue doglianze.
Nell’allegra comedia,
ne formo cento amene somiglianze
ridicole e impudiche.
Oh fontane di riso, auree vesciche!
235In mille metamorfosi e figure,
scaturiscon da voi frizzi e freddure.
Cens.:
Questo frizzo cos’è?
Frizzo è una botta,
che livido non fa, ma frizza e scotta;
egli è giusto una puntura
240come quella dell’ortica:
vi dà duol, alza vescica,
l’uno e l’altra poco dura;
e se dolce schiribizzo
di gentil carnalità
245saviamente appunta il frizzo,
tutto il popol riderà.
Cens.:
Noi ridiam con più giudizio:
sì ridendo e allegramente
noi vogliam sferzar il vizio;
250da sì nobile sorgente
pretendiam tirar la gioia.
Buff.:
Ma se il popolo s’annoia?
Cens.:
Eh, ne abbiam miglior concetto:
non si può sì facilmente
255sprezzar l’utile e ‘l diletto.
Buff.:
Ma del riso sganasciante
l’alto applauso strepitoso
non godrà lo scrupoloso,
sdolcinato attore amante
260della scena intatta e casta.
Cens.:
Siam modesti, a noi sol basta
l’aura facil del sorriso;
a voi donne ella non guasta
la graziosa aria del viso.
265In là con quella trippa, a che serv’ella?
Buff.:
Dello scenico brio questa è la mamma:
rispettate in costei l’onor del dramma;
e sappiate che in vece di budella
è gravida di grassi paroloni,
270d’equivoche espressioni,
c’hanno doppio il mostaccio:
l’un lascivo in favor del popolaccio,
gentil l’altro e garbato
per quelli che hanno il gusto delicato.
275Qui son nasi sbardellati,
qui boccacce arcisdrucite,
qui concetti stralunati,
qui son frasi ermafrodite;
qui son mille sconciature
280d’espressioni tartagliate,
che poi formano figure
di lascivie indovinate:
queste incontrano l’onore
della plebe spelacchiata,
285queste incontrano il favore
della plebe gallonata.
Qui scaricar vogl’io
della comedia per maggior decoro
questo di riso teatral tesoro.
Cens.:
290Questo il luogo non è, l’immonda soma
grave di vizio alle bell’alme infesto
scarica pure altrove: un tempio è questo,
ove adorò virtude Atene e Roma.
Buff.:
Voi mostrate, signor, poco giudizio;
295siate come son io, savio e prudente,
schernite la virtù, lodate il vizio,
e piacerete al secolo presente.
Con piacer di tutta Atene
Aristofane buffone
300all’illustri attiche scene
messe pure in derisione
Socrate padre di virtù morale.
Voi direte, ei fece male;
io rispondo, ei fece bene,
305perché ei piacque a tutta Atene.
Cens.:
Noi non abbiam bisogno per piacere
all’oneste persone
dell’aiuto del vizio e del Buffone;
cerchiam la lode, è ver, ma da’ motivi
310degni di noi, degni di tal udienza,
non da’ motti maledici e lascivi.
Buff.:
Voi pensate, signor, troppo altamente
d’una patria selvaggia: il Casentino
del tosco suol è la più inculta parte.
Cens.:
315Mentisci! Il cielo a noi largo comparte
benigno cuore e valorosa mente
capace di virtù, di scienza e d’arte.
Buff.:
Oh, che parole risonanti e gravi!
Io però non ci sto; sì l’indovino,
320queste son tutte smorfie, e voi volete
che dell’amabil parto io qui mi sgravi:
io conosco i miei polli, eh voi fingete!
Cens.:
E che ho viso d’ippocrita? Sinceri
sono i miei detti, ed altrettanto veri;
325così difendo il teatral onore,
così risparmio il virginal rossore
delle fanciulle e l’alta confusione.
Buff.:
Delle fanciulle? Un corno!
Le fanciulle d’oggi giorno
330ne san più delle matrone,
e lor vien il rossor per altre vie,
gustose più delle buffonerie.
Cens.:
Via, non posso soffrir la maldicenza,
il maldicente è di cattivo cuore.
Buff.:
335E pur questa, signor, piace all’udienza.
Cens.:
Non può l’odio piacer, l’ira e ‘l livore.
Buff.:
Ma se il vostro superbo sì vantato
non sarà pillottato
da maldicenza simile alla tigna
340e dalla mia sì aperta e sì maligna,
ei vi sarà dal popol scorbacchiato.
Cens.:
No, noi non lo vogliam scorticar vivo.
Con amoroso cuore,
con modo ora severo, ora giulivo
345lo sferzeranno a gara
la sposa, la sorella e ‘l genitore.
Con leggiadra ironia
dell’amabil Lisetta il casto amante,
Valerio il giovinetto, a quell’altero
350della superbia scuoterà il cimiero.
Lisimon vecchio giocondo
colla sua dimestichezza,
colla sua semplicità,
col suo brio al basso fondo
355dalla più suprema altezza
l’albagìa cader farà.
Buff.:
Ho già veduto d’ogni vostro attore
i caratteri, i geni e le figure:
poter del mondo, che caricature!
360Oh, si faranno certo un bell’onore.
Il Superbo ha da star sempre impalato,
Lisimon sempre aperto e imbizzarrito,
Filinto sempre umìle e concertato,
Licandro sempre burbero e bandito,
365Valerio sempre amante delicato,
Pasquino or arrogante, or convertito;
e tutti assieme assaltano l’orgoglio
del Glorioso, che al fine …Eh via, che imbroglio!
La comedia è sì spinosa,
370ha sì vari e tanti i gesti,
che da attori come questi
mal si può rappresentar.
Cens.:
Ma l’udienza è generosa:
purché un poco si diletti,
375saprà tutti i lor difetti
facilmente perdonar.
Buff.:
I caratteri forzati
hanno gran difficoltà.
Cens.:
Son talmente dispensati,
380che nissun dispiacerà.
Buff.:
Isabella ha il movimento
poco grato e meno sciolto.
Cens.:
Ha però la voce e ‘l volto
che compensa il mancamento.
Buff.:
385Egli è ver che Lisimone
ha franchezza, è naturale:
faria ben, e vuol far male.
Cens.:
Perché?
Aspetta il rammentone.
La ciarliera di Lisetta,
390che a voi m’ha sì ben dipinto,
rappresenti la furbetta
ben la scena con Filinto:
a un mal gesto e a un passo incauto
io son qui con questo flauto.
Cens.:
395Oh qui no, signor mio, di quest’onore
la dispensiamo; eh via, faccia il favore
d’andarsene e far presto.
Buff.:
Pur vogl’io con tutto questo
di bei dialoghi lascivi
400animati dal mio gesto
impepar la scena e l’atto.
Cens.:
Su scacciate questo matto,
via di qui, sfacciato, indegno:
del buffon finito è ‘l regno.
Di dentro più voci:
405Bastoni e ciottoli
senza pietà
la bestia fetida
scaccin di qua.
Buff.:
Andrò per mitigar il mio destino
410co’ ciarlatani a far da Polcinella,
sarò cogli istrioni un Arlicchino,
sciammanato Dottor, scaltro Brighella,
m’adorerà da Ciapo il fiorentino,
da Beco fredduraio o da Pasquella,
415il nobil venezian da Pantalone:
durerà sempre il regno del buffone.