Il Partigiano D'Artagnan/Presentazione
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La lotta di liberazione nei ricordi di un partigiano di San Giovanni in Persiceto (1994)
Introduzione | ► |
Da qualche anno, intorno all’aprile e alla Liberazione, il Comune promuove memorie, pubblicazioni riguardanti gli avvenimenti del ’45, la guerra e soprattutto la fine della guerra. Si è trattato fino ad ora di scandagli lanciati in un campo così intricato e determinante della nostra storia. Volutamente, non si è voluto dare la sistematicità delle conclusioni solo celebrative; sappiamo che anche la più preziosa lastra marmorea finisce, purtroppo, per porre chiusura a una storia come a una vita.
Il modo frammentato con cui si è proceduto ha toccato il tema del "ritorno a casa" e del momento di trapasso tra occupazione e liberazione del territorio persicetano. Si è voluto privilegiare, dire lo spunto e l’attacco del dopoguerra, non senza l’ambizione di evocare quel diffuso senso di uscita dalla tragedia e la speranza di tempi primaverili, per una grande promessa di valori umani e di pace.
Nel caso presente, cambia il registro. Si tratta della storia di un persicetano lungo l’arco della guerra bisognerebbe dire meglio delle guerre vissuta e descritta di corsa, con un modo spezzato e in action, come se si trattasse di uno sceneggiato per un film.
La cosa sorprendente, tutta da assaporare, consiste nella mancanza di consapevolezza da parte dell’autore: non c’è la malizia delle gesta e dell’artefatto libresco. Le diverse situazioni stanno a tanti quadri di come gli italiani, non solo persicetani, hanno vissuto nella guerra.
Non tutte le scene sono di azione. Il laboratorio di modellismo romano, dove il nostro persicetano era capitato per sentir ragionare di bombe astruse, è una perfetta metafora teatrale della retorica guerrafondaia. Al contrario, l’esperienza della spedizione italiana in Russia con l’Armir è vissuta dal nostro come una cosciente e profonda osservazione delle circostanze, come in un percorso di presa di coscienza sulla guerra, più che una partecipazione alla stessa.
Incredibile, di nuovo a Roma, il nostro si trova tra gli eroici granatieri di Porta San Paolo, appostato dietro a un albero con un fucile in mano; la prima arma impugnata, se non sbaglio. Vengono in mente tante scene del Rossellini, neorealista, di italiani in giacchette strette e impolverate, male armati, lungo le strade straziate delle più importanti città italiane.
Poi, segue la scena ampia, quasi paesistica dell’Appennino. Qui il nostro combatte; e come! C’è l’incontro con i russi, gli stessi che prestano i colbacchi nelle foto di gruppo delle squadre partigiane. Nei boschi e crinali di Montefiorino arriva pure il mito di Stalingrado e della ritirata dei carri armati tedeschi. C’è una bella distanza con i riferimenti dell’«andare in montagna», ripetuti da più recenti rivoluzionari che mai erano stati in montagna, e mai ci sarebbero andati.
Al fondo, una considerazione. Alberto è stato uno dei pochi persicetani a ritornare a casa armato, senza la retorica con cui le armi erano state distribuite ed esaltate a tanti compaesani all’entrata in guerra; da lui ci viene l’esempio dell’addio alle armi e del ritorno a quel banco di modellista per ricostruire macchine di pace.
Alberto è stato un "duro", come si dice di nuovo; quando la contrapposizione è stata veramente durissima e i tedeschi presidiavano blindati il nostro Appennino. Io l’ho conosciuto un po’ dopo, quando, trasformate le armi in aratri, di duro è rimasto soltanto il convincimento del mantenere la pace insieme ai fondamentali diritti della sincera libertà.
E poi... una insostituibile simpatia, da plurisecolare contadino emiliano.
Antonio Nicoli
Sindaco di Persiceto