Il Partigiano D'Artagnan/Capitolo XIII
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La lotta di liberazione nei ricordi di un partigiano di San Giovanni in Persiceto (1994)
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Erroneamente altri scritti riportano date diverse di questo avvenimento. A Sassoguidano fu il 21 settembre alle ore 12,30 circa; si aspettava che chi fungeva da cuciniere dicesse «Pronto», quando verso Verica si sentì una raffica di mitragliatrice, breve, ma poi sempre breve si ripeté, seppure ancora lontano; era un attacco. Scattò l’allarme, ognuno in una postazione già predisposta. Si saltò il pasto del mezzogiorno.
La nostra squadra doveva guardare un vallone ripido per 200 metri, ma che poi dolcemente saliva di fronte a noi fino ad arrivare ad una strada. La zona era chiamata Gallina Morta e forse anche ora ha questo nome. La strada si trovava fuori tiro, ma con i cannocchiali si vedevano a gruppi tedeschi scendere dagli automezzi e armeggiare negli zaini, poi di corsa scendere la scarpata dolce; nessuno sparò; continuarono a scendere, arrivati a 200 metri da noi, Nicoli ordinò il fuoco. La mitragliatrice e i fucili li inchiodarono al terreno. «Anche chi non era colpito, se la mitragliatrice non s’inceppava» dicevamo «non sarebbe passato». La mitragliatrice non s’inceppò.
Dopo un paio d’ore sentivamo però dalla provenienza degli spari che in altre zone erano passati, sapemmo poi per mancanza di munizioni da parte nostra. Gli spari si avvicinarono sempre più, finchè arrivò una staffetta a cavallo portante l’ordine di ritirarsi oltre il fiume Panaro. Facemmo partire dapprima la mitragliatrice con l’aiutante; si doveva, di corsa, attraversare un prato di circa 200 metri al centro di un bosco, nel quale si sentivano degli spari; ormai era quasi totalmente occupato dai tedeschi. Il mitragliere partì di corsa, noi vedevamo chiaramente dai colpi sul terreno, che facevano schizzare pezzetti di terra ed erba, che nel bosco avevano concentrato la loro fucileria.
I nostri arrivarono indenni alla fine del prato ed ormai al coperto dalla macchia, proseguirono per il punto prestabilito oltre il fiume a circa quattro chilometri. Poi, ad intervalli tutta la squadra fece la corsa, in ordine sparso con la disposizione di non fermarsi, se uno cadeva. Penultimo fu Nicoli, io ultimo. Mi assicurai bene il fucile e le bombe a mano, presi la rincorsa e partii.
Sentivo vicinissimi fischiare i proiettili, ogni tanto vedevo, di fronte o di fianco, a pochi metri, il terreno che a piccoli "sbuffi" si alzava; arrivai al bosco. Fino a quel momento nessuna perdita, neanche un ferito. Fatti pochi metri al coperto, mi fermai, respiravo a fatica, mi riposai, poi, approntato il fucile, guardingo e cauto, incominciai ad avanzare. La sparatoria era quasi finita, qualche colpo isolato si sentiva in tutte le direzioni.
Arrivato alla fine del bosco vidi alla mia destra, a circa 300 metri, un fienile in fiamme con alcune persone (tedeschi) che sbraitavano e vi giravano attorno. Io dovevo puntare al fiume, guardai e, proprio su quello che doveva essere il mio tragitto, scorsi un armato in piedi, allo scoperto. Tedesco? Partigiano? Impossibile! Ero l’ultimo. E siccome di là dovevo passare, con l’arma pronta, m’incamminai cercando a sbalzi di ripararmi dietro a cespugli di more o di altri frutti che là crescevano. Quando fui ad una certa distanza lo riconobbi: era Tito.
Gli diedi voce e ci unimmo, iniziando la discesa verso il fiume. «Ma senti» gli chiesi mentre infilavo un canalone che ci proteggeva «cosa facevi là solo, quando tutta la brigata era oltre il fiume?» «T’aspettavo, non volevo tornare in Permuta da solo.» Questo era Serrazanetti Alessandro detto Tito!
Percorsi 200 metri il canalone finiva, ero davanti ed allungai il collo per vedere se oltre ve ne fossero altri, una gragnola di pallottole fischiò dove c’era la mia testa che però ora si era ritirata. Il canalone c’era a una decina di metri e si protraeva fino al fiume. «Dobbiamo passare.» Feci retrocedere Tito, presi la rincorsa ed in un attimo fui dentro all’altro canalone. Fitte fischiarono le pallottole, ma troppo tardi; avanzai di alcuni metri per lasciare posto a Tito che sarebbe arrivato di lì a pochi secondi, questa volta fischiarono ancora più numerose, ma oramai eravamo passati.
Giungemmo al fiume e ci unimmo alla colonna partigiana, che iniziò lo spostamento, marciando fino alle due circa dopo mezzanotte. Perdite avute: nessuna, un ferito al viso (Penna Bianca).
Dopo un paio d’ore di marcia, secco un «Chi va là» s’udì da un bosco; un attimo e si era pronti per il combattimento; poi tutto fu chiarito. Un’altra colonna partigiana, anch’essa in fase di spostamento, ci aveva incrociato, chiedemmo se vi erano dei persicetani, ed in effetti se ne trovavano diversi: Galinen, Fortunen (Casarini), Brighetti, Forni ed altri. Mi furono presentati da Tito in quanto io non li conoscevo. Una stretta di mano, un "In bocca al lupo" e continuammo ognuno per la propria strada.