Il Parlamento del Regno d'Italia/Pietro Compagna

Pietro Compagna

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Giambattista Carletti Giampieri Giuseppe Gadda


Questo testo fa parte della serie Il Parlamento del Regno d'Italia


Pietro Compagna.

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Nello scorcio del 1829 dal barone Giuseppe Compagna ed Isabella Cavalcanti nacque nella città di Carigliano in Calabria Citra colui del quale ci accingiamo a descriver la vita. Educato da affettuosa madre, sola superstite de’ suoi genitori, apparò quegli studi e quelle [p. 395 modifica]discipline che sotto un governo anti-liberale e anti-civile quale il borbonico era concesso d’apprendere a giovin bennato.

Il Compagna contava appena venti anni d’età che il di lui carattere, insofferente delle tristi condizioni in cui gemeva il proprio paese, lo induceva a disprezzare i frivoli passatempi ricercati de’ suoi coetanei; in quella vece ei leggeva, meditava molto e visitava le carceri politiche, allora riboccanti delle persone le più meritevoli del napoletano, e preparava e afforzava l’animo ai grandi eventi da lui presentiti e mediante i quali le sorti, non che di Napoli, d’Italia tutta, dovevano sorgere ad una altezza cui mai non eran potute pervenire.

Non isfuggirono alle acute orecchie della polizia borbonica i sentiti detti e le pietose opere, onde migliorare la triste condizione di quelle illustre vittime, proposte dal Compagna; ma egli era sì giovine e la sua famiglia d’altronde occupa nelle Calabrie un posto tanto importante, che per allora sembrò non se ne facesse verun conto.

Nonpertanto nel 1850 ebbe l’onore di venir classificato nel numero degli attendibili, sebbene gli riuscisse durante un qualche altro tempo deludere gli arghi borbonici col mostrarsi onninamente occupato nell’ammegliare la coltivazione dei suoi vasti poderi.

Nei primi giorni del 1860 scoppiò finalmente la procella che da sì lunga pezza si addensava sul suo capo. Arrestato e tradotto in carcere, dopo aver subita la più minuziosa visita domiciliare, nella quale il celebre direttore di polizia Ajossa sperava trovar elementi di fatto onde farlo condannare, dopo alcuni mesi di prigionia, dietro giudizio della gran corte criminale, era rimandato assolto.

Ma l’Ajossa per misura politica gl’intimò domicilio forzoso, dapprima in Amalfi, quindi nella propria città nativa.

Al momento della promulgazione dello statuto per opera di Francesco II, il Compagna fu di quelli che consigliarono vivamente alle popolazioni di non accettarlo, o di tenerlo in niun conto, solo volgendo la [p. 396 modifica]mente all’unione con gli Stati già riconoscenti a loro a sovrano Vittorio Emanuele il re galantuomo.

Nell’agosto di quello stesso anno il Compagna si recò a Cosenza onde formarvi un comitato dal quale il prode generale Garibaldi fu invitato a scendere dalla Sicilia sul continente napoletano, trasmettendo nel medesimo tempo al vincitore di Milazzo informazioni esatte ed utilissime sullo stato in cui si trovavano le Calabrie, e sulle eccellenti disposizioni che mostravano per la causa dell’unificazione italiana.

Quello stesso comitato, in seguito, indotte a capitolare le truppe borboniche, si costituiva in governo pro-dittatoriale, proclamando l’insurrezione dell’intera provincia, la quale fu poscia dichiarata benemerita dal dittatore per gli sforzi fatti e sacrifizi sostenuti.

Una volta che il redentore delle Due-Sicilie ebbe tolte in mano le redini del governo, quel comitato fu disciolto ed il nostro protagonista si ritrasse nelle sue terre colla coscienza d’aver adempiuto il proprio dovere verso la patria.

Il di lui animo scevro d’ogni ambizione il fece rinunziare al grado di maggiore che gli venne conferito nella guardia nazionale di Napoli, e a quello ben più importante di governatore della Calabria Citra offertogli dalla fiducia del prodittatore Pallavicino Trivulzio. Non credette tuttavia dover rinunciare al mandato di rappresentante del popolo nel Parlamento nazionale commessogli dal collegio di Rossano.