Il Parlamento del Regno d'Italia/Pier Carlo Boggio
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deputato.
Torinese, ha fatto i suoi studî nel collegio delle provincie, quindi ha appreso le discipline legali nell’Università nativa, e si è fatto avvocato. Giovane, di carattere eccessivamente intrapendente, nel senso, però, non il più elevato dell’espressione, e mosso da ambiziose velleità di una costanza degna di più nobile animo, egli si è dato attorno sempre, arrabattandosi in modo da far parlare di sè, sebbene un po’ a torto e a traverso. Non si può dire che l’avvocato Boggio manchi di qualsiasi ingegno; ma si può affermare, con sicurezza di non esser contraddetti dalle persone serie, che il di lui ingegno è mediocre, e il di lui sapere, come appunto accade di tutti i mediocri ingegni, superficiale. Egli ha avuto, non sapremmo a quest’ora dire se la ventura o la sfortuna d’imbattersi, ignoriamo come, nel conte di Cavour, il quale lo prese fino a un certo qual punto a proteggere, spalleggiandolo in qualche guisa, di maniera a far sì che l’ambiziosissimo voto del Boggio, quello di entrare nella Camera elettiva, venisse a realizzarsi. Per verità non crediamo che gli uomini assennati di nessun paese volessero augurarsi un simil collega in seno ad un consesso di tal natura, ove non fosse per rallegrarli e distrarli, così di tempo in tempo, dalla gravità delle loro occupazioni.
E che questa parte, più o meno brillante, nel senso appunto che suol darsi a tale epiteto nella commedia italiana, sia quella che rappresenta l’avvocato Boggio nel Parlamento nazionale, è cosa generalmente riconosciuta.
Ciò non impedisce di ammettere che il Boggio ha una grande facilità di parola; ma se questa gli giova per pronunciare con una scioltezza senza pari le più spinte scurrilità, non gli dà, nè gli può dare mezzo di pervenire a percorrere i campi sublimi della vera ed inspirata eloquenza.
Il Boggio ha messo fuori una quantità di scritti e di opuscoli, tutti di corta lena, e dettati in una lingua e uno stile men che mediocri. Non vi è caso di rinvenirvi un concetto o un’idea che non sieno arci-noti, non vi è speranza di trovarvi una frase ben tornita, o un vocabolo che non sia semi-barbaro. Malgrado ciò egli si è spinto in modo da far parlar di sè per fas o per nefas; contento dal canto suo che la gente, sia pur volgare, si occupi di lui fosse pure per ridere alle sue spalle.
Tuttavia, finchè visse quel grand’uomo che sembrava averlo preso a proteggere, il Boggio, standosi all’ombra benefica sua, potè, per un lontano riflesso, ritrarne il vantaggio di acquistare, senza che troppo glie ne costasse, una certa tal quale reputazione di giovane che promettesse. Ma il conte di Cavour sparito dalla faccia della terra, il Boggio, rimasto a scoverto, dovè mostrarsi qual era in realtà, e non tardò a venire apprezzato secondo i suoi meriti.
Da quel momento la di lui condotta politica non saprebbe paragonarsi ad altro, fuorchè ad uno di quei curiosi zig-zag, che i bambini, i quali non sanno ancora scrivere, sogliono tracciare sovra un pezzo di carta, qualora lor capiti una penna tinta d’inchiostro tra le mani. Egli è ben inteso che il nostro lettore ci perdonerà se noi non teniamo dietro a quel curioso andirivieni di mene e di giri, tanto più che la cosa non ne vale proprio la pena. Ciò solo diremo che il Boggio è riuscito a quest’ora a dar di sè agli uomini riflessivi un’opinione, che non crediamo possa piacergli che noi qualifichiamo in queste pagine.