Il Parlamento del Regno d'Italia/Giuseppe Govone

Giuseppe Govone

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Carlo Corradino Chigi Michele Amari (politico)
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È un prode soldato piemontese che ha acquistati tutti i suoi gradi colla punta della sua spada nelle campagne d’Italia e di Crimea. Dopo essere stato eletto deputato per la giusta e meritata fiducia che gl’italiani a qualsiasi provincia appartengono, debbono avere in sì onesto e valoroso guerriero, egli ricevette dal Governo del Re una missione alla verità spinosissima, delicatissima e pur tanto urgentissima la qual si fu quella di fare in modo che i soverchiamente numerosi renitenti alla leva dell’isola di Sicilia, avessero a presentarsi e ad essere incorporati nell’armata nazionale.

Si sa che la Sicilia non era abituata alla leva, che, per antico privilegio, i Borboni non potevano imporla. Quindi niuna meraviglia che l’imposta del sangue ispirasse una viva repugnanza ai Siciliani, quantunque questo sangue per la salute stessa della patria comune lor venisse richiesto.

Benchè gli uomini i più patriotici e i più influenti di quella generosa terra, si adoperassero a vincere [p. 804 modifica]tal riluttanza, così disdicevole ai figli di una patria piena di rimembranze eroiche, tuttavia con grande rammarico loro e danno d’Italia la riluttanza stessa non poteva esser vinta, e i renitenti straordinariamente moltiplicavansi, divenendo ben presto una minaccia per la sicurezza interna dell’isola.

L’azione municipale esaurita, conveniva pure al Governo di prendere in mano la cosa e di riparare al male, curandolo alla radice. Così avvenne che il generale Govone ricevesse l’incarico di cui sopra abbiamo parlato, lasciandoglisi d’altronde facoltà ai servirsi di quei mezzi che stimasse a raggiungere l’intento i più opportuni.

Il general Govone capì che bisognava, per riuscire, e per non avere a ricominciare appena finito, adoperarsi con tutta quella energia e previsione che possono naturalmente, come il ferro del chirurgo, recare un dolore più spasmodico, ma che valgono immancabilmente a sanare la piaga. Fece partire dalle tre estremità, onde venne alla terra dell’Etna, il nome antico di Trinacria, colonne d’armati, le quali a misura che s’inoltravano nel paese, si spandeano stendendosi in ale che lo avviluppavano tutto lunghesso le coste come un immenso cordone. E nella sua marcia lenta, ciascheduna delle porzioni di questo cordone di truppe visitava ciascheduno dei casolari, borghi, villaggi, castelli e città ch’erano sulla di lui strada, non abbandonandogli prima che si trovassero i renitenti alla leva, appartenenti ad ognuno di essi. Nè si tralasciava di percorrere i boschi, di visitare le più erme ed alpestri solitudini e di frugare le caverne e gli spechi, cosicchè niuno o quasi che niuno poteva sottrarsi a quella ricerca abilissima.

Il modo di operare nelle città e anche negli altri abitati di minor conto era il seguente: si pregava la Giunta Municipale di formare una commissione, nella quale essa era padrona d’introdurre tutti quegli elementi che giudicava potessero meglio valerle allo scopo. Questa commissione, dinnanzi a cui si mettevano le liste dei renitenti, doveva informare possibilmente la forza militare delle località abitate il più recentemente dalle famiglie a cui appartenevano i renitenti medesimi.

[p. 805 modifica]Presso queste famiglie si recava un picchetto di soldati, i quali dopo avere vanamente interrogati sul conto dei renitenti i componenti la famiglia cui spettavano, si installavano nella casa abitata da essa famiglia, e l’occupavano militarmente senza tuttavia darle danno di sorta, o costarle la benchè menoma spesa.

Ma v’ha egli bisogno di dire che a lungo andare e coi costumi riservati delle popolazioni meridionali, che son gelosissime del loro interno l’aver continuamente quei forestieri nelle loro stanze, il vederli assistere ad ogni loro faccenda, impassibili ed anche riservati e decenti, gli è vero, giacchè gli ordini i più rigorosi erano stati dati in proposito, diveniva alle famiglie sottoposte all’occupazione un supplizio insoffribile?

Quindi se esse erano di mala fede e sapendo ove si refugiava il renitente, si erano fino allora rifiutate a palesarne l’asilo, cambiavan d’avviso e facevano le più complete rivelazioni che assicuravano il rintracciamento di esso; oppure, benchè ignorassero davvero il refugio del ricercato, onde sottrarsi alla tortura morale dell’occupazione, si davano tanto attorno e s’industriavano tanto per fornire più chiari lumi alle autorità che queste non tardavano ad ogni modo a rimettersi sulle tracce del fuggitivo. Dimenticavamo di dire che nel tempo in cui nell’interno dell’abitato, città, castello, borgo o villaggio che fosse, si procedeva a queste operazioni, il caseggiato era tutto chiuso entro un cordone di truppe le quali non ammettevano che niuno uscisse od entrasse se non dava conto di sè, in modo da stabilire indubitabilmente la propria identità.

Bisogna dire che questo sistema è stato trovato da molti in Sicilia abusivo, tirannico, e che ha sollevate assaissime proteste, le quali hanno avuto un eco dei più romorosi in Parlamento. Esso ha riversato sopra il prode generale Govone che ne è stato l’ordinatore, un’impopolarità accresciuta ancora per le giustificazioni da esso date intorno al suo operato in seno alla Camera.

Per essere sinceri noi troviamo che anche in [p. 806 modifica]questa circostanza, come in tante altre tutto il chiasso che si è fatto, era irragionevole a più d’un titolo.

Vogliamo ammettere benissimo che il sistema praticato per conseguire la presentazione o il reperimento dei renitenti fosse poco normale e fino un certo punto arbitrario; ma ove si rifletta che era necessario agire col più estremo rigore, e impiegare mezzi efficacissimi onde rimediare al male il più grave che potesse affliggere una provincia d’Italia, con danno di tutta Italia; ove si pensi che mediante appunto l’applicazione severa, ma d’altronde molto riguardosa di quel sistema, si è perfettamente conseguito l’intento, in verità, non possiamo fare un carico al generale Govone di aver agito come ha agito.

In quanto poi all’espressione sfuggita a lui, soldato, in un momento d’eccitazione per vedersi ingiustamente accusato, non ammettiamo che dagli uomini seri si possa fargliene neppure la quinta parte dell’addebito che gli se n’è fatto. Noi abbiamo riconosciuto in ciò una delle solite manovre di partito, la quale è riuscita a mettere una nobile ma impressionabilissima popolazione qual si è la siciliana in urto con uno d.ei più abili, valorosi e patriottici nostri generali.