Favole (La Fontaine)/Libro secondo/IX - Il Leone e il Moscerino

Libro secondo

IX - Il Leone e il Moscerino

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Jean de La Fontaine - Favole (1669)
Traduzione dal francese di Emilio De Marchi (XIX secolo)
Libro secondo

IX - Il Leone e il Moscerino
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- O tristo insetto, o fango della terra,
vanne lungi, - un Leon così dicea,
rivolto a un Moscherin, che rispondea
per vendicarsi e per sfidarlo a guerra:

- Pensi tu che il tuo titolo di re
possa indurre paura in un par mio,
che traggo un bue più grosso anche di te
a far come vogl’io? -.

E detto questo, soffia nella tromba,
piglia il campo, e soldato e insiem trombetta,
sopra il Leone piomba
e dapprima sul collo lo saetta.

L’occhio sanguigno, furibondo rugge,
balza punto il Leon da quello spillo,
rugge la selva, e spaventata fugge
ogni belva per colpa d’un assillo.

Quell’embrion di mosca, come dico,
le nari, il muso punge e gli occhi a caso:
la rabbia monta del Leone al naso,
e ride l’invisibile nemico.

Ride, vedendo che la bestia pazza
graffia, morde se stessa e l’aria spazza,
dimenando la coda, e si flagella
al furor che la testa gli crivella.

La grossa bestia a tanta maledetta
battaglia cade, mordendo la sabbia.
L’insetto, disfogata la sua rabbia,
come suonò la carica, strombetta
la vittoria per tutta la campagna.
Ma volle il suo destino
che desse in una ragna,
e vi lasciò la pelle il Moscherino.

Due cose sembra a me
che possa questa favola insegnare:
prima che il più terribile non è
il più grosso nemico, come pare.
E poi si può vedere
che molti, che si salvano dal mare,
affogan spesse volte in un bicchiere.