Favole (La Fontaine)/Libro secondo/VIII - L'Aquila e lo Scarabeo
Questo testo è completo. |
◄ | Libro secondo - VII - La Cagna e la sua Compagna | Libro secondo - IX - Il Leone e il Moscerino | ► |
Compar Coniglio un giorno fuggiva pancia a terra
dall’Aquila terribile:
e vista sulla strada d’un Scarabeo la tana,
dentro vi si cacciò.
L’altra dietro gli serra
rapidissimamente, e sopra gli piombò.
- Regina degli uccelli, -
così pregò con supplici voci lo Scarabeo,
- per Dio, lascialo stare,
unisco anch’io le mie alle preghiere sue,
è un dolce mio compare,
lascialo stare o almeno pigliaci tutt’e due -.
Ma l’Aquila coll’ala al povero babbeo
un grande colpo schiocca,
poi preso il suo Coniglio, via se lo porta in bocca.
Allor giura vendetta l’offeso Scarabeo,
che subito dell’Aquila il caldo nido trova
e tutte le fracassa, mentr’ella è assente, l’ova.
Quando tornò la misera, e vide accanto all’uscio
le sue speranze in terra e non più salvo un guscio
de’ suoi teneri figli,
gettando alto lamento,
invan cerca di stringere il reo dentro gli artigli
e pianti e grida inutili si perdono nel vento.
Madre deserta e afflitta visse la poveretta
un anno lungo. Al novo anno, del suo nemico
temendo la vendetta,
fabbrica il caro nido d’un grande albero in alto.
Ma vien lo Scarabeo, che ancor cova nel core
il vecchio suo rancore,
e un’altra volta all’ova fa far l’orrendo salto.
Questa seconda offesa suscita tanto affanno,
che quanto lungo è l’anno
l’eco di quelle selve non può chiudere l’occhio.
E quando nella nova
stagion ritorna il tempo di preparare l’ova,
di Giove al pio ginocchio
vola il celeste Uccello e colloca i piccini
presso il tonante Olimpico del trono sui gradini.
Da ciò vinto pur anco lo Scarabeo non è.
Ma vola e addosso al Nume un dì cader lasciò
un certo non so che... che ben tradur non so.
Giove, scotendo il lembo del gran mantello, ahimè!
senz’avvedersi, l’ova in terra rovesciò.
Strilla la forsennata madre e lasciar la corte
vuole del cielo e vivere
romita in un deserto. S’ingegna il padre Giove
d’intender di ciascuno il torto e la ragione,
ma visto ch’era fiato
divin quasi sprecato
tentar in fra que’ due qualche conciliazione,
allora decretò:
che l’Aquila facesse solo d’inverno l’ova,
quando la coleottera razza a dormir discende
nei buchi, come fanno i ghiri e le marmotte.
Così, mentre il nemico sonnecchia nelle tende,
più non sarebber l’ova e la pazienza rotte.