Il Lago Maggiore, Stresa e le Isole Borromee - Vol. 1/Libro I. Capo XXI

Libro I. Capo XXI. Del Dominio dei Greci in Italia come sia stato in gran parte rovesciato dai Longobardi

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Libro I. Capo XXI. Del Dominio dei Greci in Italia come sia stato in gran parte rovesciato dai Longobardi
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CAPO XXI.


Del Dominio dei Greci in Italia e come sia stato in gran parte rovesciato dai Longobardi.


L'Italia per opera di Narsete rimase interamente sgombra dai Goti: con tutto questo però essa non fece che mutar padrone senza migliorare di un grado la sua condizione, quando non si voglia dire, che questa divenne anzi peggiore. Basterebbe leggere le relazioni che se ne hanno di Procopio e le lettere di S. Gregorio Magno, scrittori contemporanei agli avvenimenti, per restarne appieno convinti. Il governo poi introdotto dai Greci fu anche funesto per le sue conseguenze; poichè abolendosi da essi gli antichi magistrati Romani, che pure erano stati conservati da Odoacre e dai Goti, e venendo loro sostituiti in ogni città ragguardevole, cosa nuova per l'Italia1, altrettanti duchi, tributarii dell'Esarca di Ravenna e dipendenti da esso, ma con impero militare sul territorio loro assegnato, e per l'amministrazione della giustizia dei giudici chiamati dativi ed altri officiali minori, oltrechè la romana legislazione n'ebbe a soffrire non poco, si venne anche ad aprire la via ad una sistematica mutazione nel suo interior reggimento2.

Nè questo è il tutto per la misera Italia: per colmo d'ogni sventura alle estorsioni e dilapidazioni dei Greci, si aggiunse in [p. 145 modifica]breve anche il flagello di una nuova guerra per l'invasione di altre orde di barbari, se non invitati, certo adescati dagli stessi Greci.

Avevano questi per sostenersi contro dei Goti implorato il soccorso dei Longobardi, i quali dal Settentrione di Europa erano già venuti da non molto a pigliar stanza in Pannonia e poco dopo appresso nel Norico, ai confini stessi d'Italia. Narra Paolo Diacono nella sua storia dei Longobardi (II, 1), che Alboino loro re spedì in aiuto di Narsete un corpo scelto dei suoi. È vero che questi dopo la disfatta di Totila si ritirarono alle proprie sedi: ma la via d'Italia era già stata appresa, nè tardarono guari a ricalcarla.

Alboino persuaso ormai dalle avute relazioni, che la conquista della nostra penisola gli sarebbe stata impresa assai facile, indusse altresì agevolmente nella medesima persuasione anche i suoi, e con essi ancora altre barbare nazioni ad esso confederate o soggette. Stabilì dunque di scendere con queste in Italia traendo seco le intere loro famiglie. Era un immenso stuolo di Gepidi, di Bulgari, di Sarmati, si Sassoni, di Svevi, di Norici ed altrettanti, che nella primavera dell'anno 568 si appressava ai confini d'Italia, e trovandoli al tutto sguerniti di truppe li varcava impadronendosi di leggieri del Friuli e di buona parte della Venezia, non incontrando resistenza che solo in Padova ed in Monselice, capaci di arrestarne per qualche tempo la marcia. L'anno appresso però, lasciate a parte queste città, progredirono i barbari l'intrapreso cammino, assoggettandosi l'una dopo l'altra le città di Trento, di Brescia, di Bergamo e di Milano. Era stata quest'ultima di fresco (567) ristorata da Narsete insieme con altre già distrutte dai Goti3, [p. 146 modifica]ma priva di mezzi di difesa, con poche truppe e non approvvigionata, non poteva opporre che una debole resistenza. Vi fece Alboino il suo ingresso trionfale il 4 (secondo altri il 3) Settembre dell'anno 569, incominciando da questo anche a datare gli anni del nuovo suo regno.

Quella che gli oppose una maggior resistenza fu Pavia, città molto forte e bastantemente agguerrita. Alboino la cinse d'assedio, che durò circa tre anni: ma dopo una sì vigorosa ed ostinata difesa, alla fine costretta per fame, anche Pavia dovette cedere ed aprire le porte al vincitore l'anno 572. Alboino l'elesse per sua residenza e fecela capitale del nuovo regno.

Durante questo assedio, i Longobardi si erano avanzati alla conquista delle altre città della Liguria fino ai confini delle Gallie dall'una parte, e della Venezia e dell'Istria dall'altra, estendendo altresì le loro conquiste al di quà del Pò sino quasi alle porte di Roma e più oltre ancora, non lasciando ai Greci, incapaci omai di sostenersi in campo aperto contro di loro, che Ravenna col suo esarcato e il rimanente d'Italia con Roma. Tale ebbe principio il regno de' Longobardi nella penisola.

Comprendeva esso regno le provincie della Liguria e dell'Emilia, ed aveva da se dipendenti i tre maggiori ducati del Friuli, di Spoleto e di Benevento4; mentre la potenza de' Grecifu ridotta a Ravenna colle due Pentapoli, la marittima e la mediterranea o nuova, oltre varii ducati, quali il Romano, quello della Campania e di Napoli, ecc.5.

Secondo alcuni i Longobardi furono così chiamati dalle lunghe aste (alabarde), ch'essi costumavano di usare in guerra; secondo altri dalla lunga barba. QUesta seconda etimologia sembra che sia più conforme alla verità, essendo data dallo stesso loro storico, Paolo Diacono, pur esso Longobardo, e [p. 147 modifica]che perciò dovette essere appieno informato a preferenza di ogni altro. Dal loro nome fu chiamata Langobardia o Longobardia, sincopata in appresso nell'odierna Lombardia, quella provincia dell'Alta Italia, che fu la prima da loro occupata, e nella quale si può anche dire che fosse il nerbo della loro nazione. Si estendeva questa dall'Adda ai confini delle Gallie e al mare mediterraneo.

Niuna notizia particolare de' nostri luoghi intorno al Lago Maggiore abbiamo in questo periodo di tempo tra l'uscita de' Goti e lo stabilimento de' Longobardi in Italia, se si eccettui forse un'irruzione di questi nel Vallese, che si potrebbe credere eseguita attraversando l'Ossola pel Sempione6.

  1. I duchi erano in uso anteriormente, ma per le sole provincie fuori d'Italia (duces provinciarum), come si rileva da una legge dell'anno 407 dell'ora nostra, che si ha nel Codice Teodosiano, VIII, 5, 66.
  2. Sul governo dei Greci in Italia veggasi ancora il citato Savigny, T. 1. p. 224 e segg. e T. 2. p. 110 e segg.
  3. La cosa è narrata da Mario Aventicense nella sua Cronaca all'anno indicato 567. Hoc anno, scrive, Narses ... post Mediolanum vel reliquas civitates, quas Gothi destruxerant, laudabiliter reparatas, de ipsa Italia a supra seripto Augusto (era questi Giustino) remotus est. Osserva il Marchese Giuseppe Rovelli nella sua Storia di Como, Milano, 1789 (P. 1. p. 317), su questo luogo di Mario, che non fu avvertito dal Verri, essere esagerata l'opinione di questo scrittore, nel voler ritardato il risorgimento di Milano di ben cinque secoli; nè punto essere contraria ad esso la scelta fatta di Pavia per capitale de' Longobardi in luogo di Milano, adducendo in prova l'esempio de' Goti, che preferirono Ravenna, per la stessa ragione ch'era più forte.
  4. Vedi il Fumagalli, Antichità Longobardico-Milanesi, Milano, 1702, Vol. 1, p. 7.
  5. Vedi il Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, T. N. p. clxviii, e Antiquitates medii aevi, Dissert. V.
  6. Secondo Mario Aventicense avvenne questa irruzione l'anno 572. Il Muratori all'incontro l riporta all'anno 575 così descrivendola: «I Longobardi di nuovo tornarono nella Valle del Vallese, presero le Chiuse e abitarono molti giorni nel celebre monastero di Aganno.» Le parole di Mario sono queste: Eo anno iterum Longobardi in Valle ingressi sunt et Clusas obtinuerunt et in Monasterio Sanctorum Acaunensium (oggi S. Maurizio) diebus multis habitarunt, con quel che segue della rotta data loro dai Franchi. Ritenendo esatto il processo delle marcie dei Longobardi, e pare, che veramente essi dovessero per entrare nel Vallese, prendere o la via dell'Ossola e del Sempione, o quella del gran S.Bernardo, ch'erano le solite a praticarsi per andare o per venire dal Vallese in Italia. Ma un forte ostacolo ad ammettere questo viaggio s'incontra nella dimora dei Longobardi in S. Maurizio sul Rodano dopo aver prese le Chiuse, che sono al di qua, nel Piemonte, poichè in tal caso si dovrebbe dire, che prese le Chiuse retrocedessero per arrestarsi in quel Monastero. Dubito dunque grandemente della retta interpretazione data a questo luogo di Mario dal Muratori; e quindi lascio intatta ogni conclusione su questo punto, che altri su migliori dati potrà alquanto più dilucidare.