Il Corsaro Nero/CAPITOLO XXX - La caravella spagnola
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CAPITOLO XXX
La caravella spagnola
La scialuppa, montata da Wan Guld, era ormai lontana almeno mille passi, nondimeno i corsari erano uomini da non perdersi di animo, sapendo specialmente che un solo rematore era capace di competere con loro in quella faticosa manovra, cioé l’indiano. I due ufficiali ed il Governatore, abituati solamente a maneggiare le armi, dovevano essere di poco giovamento.
Quantunque fossero stanchi per quelle lunghe marce ed affamati, Wan Stiller e Carmaux avevano subito messo in opera la loro possente muscolatura, imprimendo al canotto una celerità prodigiosa. Il Corsaro, seduto a prora, con l’archibugio fra le mani, li eccitava senza posa con la voce, gridando:
— Forza, miei bravi!... Wan Guld non ci sfuggirà piú ed io sarò vendicato!... Ricordatevi del Corsaro Rosso e del Corsaro Verde!...
Il canotto balzava sulle larghe ondate del lago, procedendo sempre piú rapido, frangendo impetuosamente, con l’acuta prora, le creste spumeggianti.
Carmaux e Wan Stiller arrancavano con furore, senza perdere una battuta, tendendo i muscoli, puntando i piedi. Erano certi di guadagnare sulla scialuppa avversaria, pur non rallentavano la lena, temendo che qualche avvenimento imprevisto permettesse al governatore di sottrarsi ancora una volta a quell’accanito inseguimento.
Arrancavano da cinque minuti, quando a prora avvenne un urto.
— Tuoni!... — urlò Carmaux. — Un bassofondo?...
Il Corsaro si era curvato ed avendo scorto dinanzi al canotto una massa nera, aveva allungato prontamente la destra per afferrarla, prima che scomparisse sotto la chiglia.
— Un cadavere! — esclamò.
Facendo uno sforzo issò quel corpo umano e lo guardò: era quello d’un capitano spagnuolo, il quale aveva la testa spaccata da una palla d’archibugio.
— È uno dei compagni di Wan Guld, — disse, lasciandolo ricadere in acqua.
— L’hanno gettato nel lago per render piú leggera la loro scialuppa, — aggiunse Carmaux, senza abbandonare il remo. — Forza, Wan Stiller!... Quei furfanti non devono essere lontani!...
— Eccoli!... — gridò in quell’istante il Corsaro.
Seicento o settecento metri piú innanzi aveva scorto una scia luminosa, la quale diventava, di momento in momento, piú splendente.
Doveva essere prodotta dalla scialuppa attraversante un tratto d’acqua saturo di uova di pesci o di nottiluche.
— Si scorgono, capitano? — chiesero Carmaux e Wan Stiller, ad una voce.
— Sí, vedo la scialuppa all’estremità della scia fosforescente, — rispose il Corsaro.
— Guadagniamo?...
— Sempre.
— Forza, Wan Stiller!...
— Arranca a tutta lena, Carmaux!
— Allunga la battuta!... Faticheremo meno e correremo di piú.
— Silenzio, — disse il Corsaro. — Non sprecate le vostre forze in chiacchiere. Avanti, miei prodi!... Scorgo il mio nemico. Egli si era alzato tenendo in mano l’archibugio e fra le tre ombre che scorgeva sulla scialuppa, cercava di discernere l’odiato duca.
Ad un tratto puntò l’arma e si sdraiò sulla prora per avere un punto d’appoggio; poi, dopo aver mirato per alcuni istanti, fece fuoco. La detonazione si distese al largo, però non si udí alcun grido che annunciasse che la palla aveva colpito qualcuno.
— Mancato, capitano? — chiese Carmaux.
— Lo credo, — rispose il Corsaro coi denti stretti.
— Allunga, Wan Stiller!...
— Mi spezzo i muscoli, Carmaux, — rispose l’amburghese, che soffiava come una foca.
La scialuppa di Wan Guld perdeva spazio sempre, nonostante gli sforzi prodigiosi dell’indiano. Se questi avesse avuto per compagno un rematore della propria razza, forse sarebbe riuscito a mantenere la distanza fino all’alba, essendo le Pelli rosse dell’America meridionale dei canottieri insuperabili; invece, male assecondato dall’ufficiale spagnuolo e dal Governatore, doveva in breve perdere sempre piú la via.
Ormai la scialuppa si distingueva benissimo, anche perché attraversava una zona d’acqua fosforescente. L’indiano era a poppa ed arrancava con due remi, mentre il Governatore ed il suo compagno lo secondavano meglio che potevano, uno a bordo e l’altro a tribordo.
A quattrocento passi il Corsaro si alzò una seconda volta armando l’archibugio e gridò con voce tuonante:
— Arrendetevi o faccio fuoco!...
Nessuno rispose, anzi la scialuppa nemica virò bruscamente di bordo dirigendosi non piú al largo, bensí verso le paludi della costa, forse per cercare un rifugio nel rio Catatumbo, che non doveva essere molto lontano.
— Arrenditi, assassino dei fratelli miei!... — urlò ancora il Corsaro.
Anche questa volta non ottenne risposta.
— Allora muori, cane!... — tuonò il Corsaro.
Puntò l’archibugio e mirò Wan Guld che si trovava a soli trecentocinquanta passi; l’ondulazione però che era diventata fortissima a causa dei colpi precipitati dei remi, gli impediva di mirare con qualche speranza di buona riuscita.
Tre volte abbassò l’arma e tre volte la rialzò, puntandola verso la scialuppa. Alla quarta fece fuoco.
Lo sparo fu seguito da un urlo ed un uomo cadde in acqua.
— Colpito?... — gridarono Carmaux e Wan Stiller.
Il Corsaro rispose con un’imprecazione.
L’uomo che era caduto non era il Governatore; era l’indiano.
— L’inferno lo protegge adunque? — chiese il Corsaro, con furore. — Avanti, miei bravi!... Lo prenderemo vivo!...
La scialuppa non si era arrestata; priva ormai dell’indiano non doveva però correre molto tempo ancora.
Non era che questione di minuti, poiché Carmaux e Wan Stiller erano in grado di arrancare per parecchie ore, prima di cedere.
Il Governatore ed il suo compagno, comprendendo di non poter lottare contro i filibustieri, si erano diretti verso un’alta isoletta che distava da loro cinque o seicento metri, sia con l’intenzione di sbarcare, sia per passarvi dietro e mettersi al riparo dai colpi del loro formidabile avversario.
— Carmaux, — disse il Corsaro, — obliquano verso l’isolotto.
— Vogliono prendere terra adunque?...
— Lo sospetto.
— Allora non ci sfuggiranno piú. Lampi!...
— Fulmini!... — gridò Wan Stiller.
— Cosa avete?...
In quell’istante si udí una voce gridare:
— Chi vive?...
— Spagna!... — urlarono il Governatore ed il suo compagno.
Il Corsaro si era voltato. Una massa enorme era improvvisamente comparsa dietro un promontorio dell’isolotto, che si avanzava nel lago. Era un vascello di grandi dimensioni, e che a tutte vele spiegate veniva incontro alle due scialuppe.
— Maledizione!... — urlò il Corsaro.
— Che sia una delle nostre navi? — chiese Carmaux.
Il Corsaro non rispose. Curvo sulla prora della scialuppa, con le mani raggrinzite attorno all’archibugio, coi lineamenti alterati dalla collera, guardava con due occhi che scintillavano come quelli d’una tigre la grossa nave che si trovava già vicina alla scialuppa del governatore.
— È una caravella spagnuola!... — urlò ad un tratto. — Sia dannato quel cane, che ancora una volta mi sfugge!...
— E che ci farà appiccare, — aggiunse Carmaux.
— Ah!... Non ancora, miei bravi, — rispose il Corsaro. — Lesti, arrancate verso l’isolotto prima che quel legno ci scarichi addosso i suoi cannoni e ci sfondi la scialuppa.
— Lampi!...
— E tuoni!... — aggiunse l’amburghese, curvandosi sul remo.
Il canotto aveva virato di bordo sul posto e si era diretto verso l’isolotto, il quale non distava che tre o quattrocento passi. Avendo scorto una linea di scogli, Carmaux ed il suo compagno manovrarono in modo da mettersi al riparo dietro quelli, onde non farsi fulminare da una scarica di mitraglia.
Intanto il governatore ed il suo compagno si erano issati a bordo della caravella ed avevano probabilmente informato tosto il comandante del pericolo corso, poiché un istante dopo si videro i marinai bracciare precipitosamente le vele.
— Lesti, miei bravi!... — gridò il Corsaro, a cui nulla era sfuggito.
— Gli spagnuoli si preparano a darci la caccia.
— Non siamo che a cento passi dalla spiaggia, — rispose Carmaux.
In quell’istante a bordo della nave balenò un lampo ed i tre filibustieri udirono fischiare in aria un nembo di mitraglia, i cui proiettili andarono a sgretolare la cima d’uno scoglio.
— Presto!... Presto!... — gridò il Corsaro.
La caravella aveva allora sorpassato la lingua di terra e si preparava a virare di bordo, mentre i suoi marinai mettevano in acqua tre o quattro scialuppe per dare la caccia ai fuggiaschi. Carmaux e Wan Stiller, tenendosi sempre al riparo degli scogli, raddoppiarono gli sforzi e pochi istanti dopo si arenavano a tre o quattro passi dalla spiaggia.
Il Corsaro fu pronto a slanciarsi in acqua, portando con sé gli archibugi, e a guadagnare i primi alberi, mettendosi al riparo dietro ai tronchi. Carmaux e Wan Stiller, vedendo brillare una miccia sulla prora della caravella, si lasciarono cadere dietro il bordo esterno della scialuppa, coricandosi sulla sabbia.
Quella manovra li salvò. Un istante dopo un altro nembo di mitraglia spazzava la spiaggia, massacrando i cespugli e le foglie delle palme, mentre una palla di tre libbre, scagliata da un piccolo pezzo d’artiglieria che si trovava sull’alto cassero, fracassava la poppa della scialuppa.
— Approfittate! — gridò il Corsaro.
I due filibustieri, scampati miracolosamente a quella doppia scarica, si arrampicarono rapidamente sulla spiaggia e si cacciarono in mezzo agli alberi, salutati da una mezza dozzina di archibugiate.
— Siete feriti, miei bravi? — chiese il Corsaro.
— Costoro non sono filibustieri per non mancare ai colpi, — disse Carmaux.
— Seguitemi e senza perdere tempo.
I tre uomini, senza piú preoccuparsi dei colpi d’archibugio dei marinai delle scialuppe, s’inoltrarono rapidamente sotto le fitte piante, per cercare un rifugio.
Quell’isolotto, che doveva trovarsi dinanzi alla foce del rio Catatumbo, piccolo corso d’acqua che si scarica nel lago al di sotto del Suana, e che scorre in mezzo ad una regione ricca di laghi e di paludi, poteva avere un circuito di un chilometro.
S’alzava in forma di cono, toccando un’altezza di trecento o quattrocento metri ed era coperto da una folta vegetazione, composta per la maggior parte di bellissimi cedri, di alberi di cotone, di euforbie irte di spine e di palme di varie specie.
I tre corsari, giunti alle falde del cono, senza aver incontrato alcun essere vivente, s’arrestarono un momento per riprender lena, essendo completamente sfiniti, poi si cacciarono in mezzo ai cespugli spinosi e sotto le piante che crescevano fittissime sui pendii, decisi di raggiungere la cima per poter sorvegliare le mosse dei nemici e deliberare, senza venire sorpresi, sul da farsi.
Ci vollero due ore di aspro lavoro, essendo stati costretti ad aprirsi il passo a colpi di sciabola fra quegli ammassi di vegetali; però finalmente poterono giungere sulla vetta, la quale si rizzava quasi nuda, non avendo intorno che pochi cespugli e delle rocce. Essendo sorta allora la luna, poterono distinguere benissimo la caravella.
Essa si era ancorata a trecento passi dalla spiaggia, mentre le tre scialuppe si erano arrestate nel luogo ove era stata fracassata la piroga indiana.
I marinai erano già sbarcati, però non avevano osato inoltrarsi sotto i vegetali, per tema forse di cadere in qualche imboscata, e si erano accampati sulla sponda, attorno ad alcuni fuochi, accesi forse per non farsi succhiare vivi dalle miriadi di feroci zanzare che volteggiavano, in nubi sterminanti, sulle coste del lago.
— Aspetteranno l’alba per darci la caccia, — disse Carmaux.
— Sí, — rispose il Corsaro, con voce sorda.
— Fulmini! La fortuna protegge troppo quel furfante di Governatore!
— O il demonio?
— Sia l’una o l’altro, ecco la seconda volta che egli ci sfugge di mano.
— Non solo, ma che sta per averci in mano sua, — aggiunse l’amburghese. —
— Ah! questo lo si vedrà, — disse Carmaux. — Siamo ancora liberi ed abbiamo le nostre armi.
— E che cosa vorresti fare, se tutto l’equipaggio della caravella muovesse all’assalto di questo cono? — chiese Wan Stiller.
— Anche a Maracaybo gli spagnuoli hanno assalito la casa di quel povero notaio, eppure abbiamo trovato il modo di andarcene senza venire disturbati.
— Sí, — disse il Corsaro Nero. — Questa però non è la casa del notaio, e non vi è qui un conte di Lerma per aiutarci.
— Che siamo destinati a terminare i nostri giorni sulla forca? Ah! Se l’Olonese venisse in nostro soccorso!
— Egli sarà occupato a saccheggiare ancora Maracaybo, — rispose il Corsaro. — Io credo che per il momento non dobbiamo pensare a lui.
— E che cosa sperate, rimanendo qui?
— Non lo so nemmeno io, Carmaux.
— Sentiamo, comandante; credete che l’Olonese si fermerà molto tempo ancora a Maracaybo?
— Dovrebbe essere già qui: tu sai però che egli è avido e si sarà fermato per inseguire gli spagnuoli che si sono rifugiati nei boschi.
— Voi gli avete dato un appuntamento.
— Sí, alla foce del Suana od a quella del Catatumbo, — rispose il Corsaro. — Allora abbiamo la speranza che egli un giorno o l’altro venga qui.
— E quando?
— Eh! per mille tuoni! Non si fermerà dei mesi a Maracaybo!... Egli ha tutto l’interesse di affrettarsi per sorprendere Gibraltar.
— Lo so.
— Dunque verrà e forse presto.
— E saremo noi ancora vivi e liberi? Credi tu che Wan Guld ci lasci tranquilli sulla cima di questo cono? No, mio caro: egli ci stringerà da tutte le parti e tutto tenterà per averci in sua mano, prima dell’arrivo dei filibustieri. Egli mi odia troppo per lasciarmi tranquillo, e forse a quest’ora sta facendo appendere, a qualche pennone, il laccio che dovrà appiccarmi.
— Non gli è dunque bastata la morte del Corsaro Verde e quella del Corsaro Rosso? È un cane idrofobo, quel miserabile vecchio?
— No, non gli è bastata, — rispose il Corsaro con voce cupa. — Egli vuole la distruzione completa della mia famiglia; però non mi ha ancora in sua mano e non dispero di vendicare i miei fratelli. Sí, forse l’Olonese non è lontano e se potessimo resistere alcuni giorni, chissà! Forse Wan Guld potrebbe pagare i suoi tradimenti ed i suoi delitti.
— Che cosa si deve fare, capitano? — chiesero i due filibustieri.
— Resisteremo piú a lungo che potremo.
— Qui? — chiese Carmaux.
— Sí, su questa cima.
— Bisognerebbe trincerarsi.
— E chi ce lo impedirà? Abbiamo quattro ore di tempo prima che spunti l’alba.
— Tuoni!... Wan Stiller, amico mio, non c’è tempo da perdere. Gli spagnuoli, appena sorto il sole, verranno certamente a scovarci.
— Sono pronto, — rispose l’amburghese.
— A noi, mio caro, — disse Carmaux. — Mentre voi, capitano, vigilate, noi alzeremo delle trincee che metteranno a dura prova le mani ed i dorsi dei nostri avversari. Vieni, amburghese mio!
La cima della collina era sparsa di grossi macigni, staccatisi certo da una rupe che si alzava proprio al culmine, a guisa di osservatorio.
I due filibustieri si misero a rotolare i piú grossi, formando una specie di trincea circolare, bassa sí, ma sufficiente per riparare un uomo coricato o inginocchiato.
Quel lavoro assai faticoso durò due ore, però i risultati furono splendidi, perché dietro quella specie di muricciolo massiccio i filibustieri potevano opporre una lunga resistenza e senza tema di venire colpiti dalle palle degli avversari.
Carmaux e Wan Stiller non erano ancora soddisfatti. Se quell’ostacolo era sufficiente a difenderli, era incapace d’impedire un assalto improvviso. Per ottenere completamente il loro scopo scesero nella foresta, ed improvvisata, con alcuni rami, una specie di barella, portarono sulla cima del cono degli ammassi di piante spinose, costruendo una siepe, la quale poteva diventare pericolosa anche per le mani e le gambe dei nemici.
— Ecco una piccola fortezza che darà da fare anche a Wan Guld, se vorrà venire a scovarci, — disse Carmaux, stropicciandosi allegramente le mani.
— Manca però una cosa, che è necessaria ad una guarnigione per quanto sia poco numerosa, — notò l’amburghese.
— Che cosa vuoi dire?
— Che qui non vi è la dispensa del notaio di Maracaibo, amico Carmaux.
— Mille fulmini! Dimenticavamo di non possedere nemmeno un biscotto da sgretolare.
— Come già saprai, noi non possiamo convertire questi sassi in altrettanti pani.
— Batteremo il bosco, amico Wan Stiller. Se gli spagnuoli ci lasciano tranquilli, noi andremo in cerca di provviste.
Alzò il capo verso la rupe, dove il Corsaro Nero s’era messo in osservazione per spiare le mosse degli spagnuoli, chiedendogli:
— Si muovono, capitano?
— Non ancora.
— Allora approfittiamo per andare a caccia.
— Andate pure, veglio io.
— In caso di pericolo datecene avviso con un colpo d’archibugio.
— Siamo d’accordo.
— Vieni, Wan Stiller, — disse Carmaux. — Andiamo a saccheggiare gli alberi e cercheremo anche di abbattere qualche capo di selvaggina.
I due filibustieri presero la barella, che era servita loro per trasportare lassú le spine e scesero il cono, cacciandosi sotto i boschi.
La loro assenza durò fino all’alba, però tornarono carichi come muli.
Avendo trovato un pezzo di terra dissodato, forse da qualche indiano venuto dalla vicina spiaggia, avevano saccheggiato le piante fruttifere che colà erano state piantate. Portavano dei cocchi, degli aranci, due cavoli palmisti che potevano surrogare il pane, ed una grossa testuggine palustre che avevano sorpresa presso un laghetto.
Economizzando le provviste, vi era da vivere per lo meno quattro giorni.
Oltre alle frutta ed al rettile, avevano poi fatto una scoperta importante, che poteva essere loro di molto giovamento per mettere i nemici fuori combattimento, almeno per un certo tempo.
— Ah! ah! — esclamò Carmaux, che pareva in preda ad una irrefrenabile allegria. — Mio caro amburghese, noi faremo fare delle brutte boccacce al Governatore ed ai suoi marinai, se salterà loro il ticchio di assediarci regolarmente. Vivaddio! In questi climi la sete vien presto e non andranno certo a bere sulla caravella, né si porteranno dietro delle botti d’acqua. Ah! Ah! Sono furbi gl’indiani! Il niku farà miracoli!
— Sei proprio certo di quello che dici? — chiese Wan Stiller. — Io non ho molta fiducia.
— Tuoni! L’ho provato io, e se non sono crepato dai dolori, è stato un vero miracolo.
— Verranno poi a bere gli spagnuoli?
— Hai veduto altri laghetti in questi dintorni?
— No, Carmaux.
— Allora saranno costretti a dissetarsi in quello che noi abbiamo scoperto.
— Sarei curioso di vedere gli effetti del tuo niku.
— A suo tempo ti offrirò lo spettacolo di una banda di uomini straziati da atroci dolori di ventre.
— E quando avveleneremo le acque?
— Appena avremo la certezza che i nostri nemici muovono all’assalto della collina.
In quel momento il Corsaro, abbandonata la cima della rupe, che gli era servita da osservatorio, scese nel piccolo campo trincerato, dicendo:
— Le scialuppe hanno circondata l’isola.
— Si preparano a bloccarci? — chiese Carmaux.
— E rigorosamente.
— Noi però siamo pronti a sostenere l’assedio, capitano. Dietro a queste rocce ed a queste spine, potremo resistere lungamente, forse fino all’arrivo dell’Olonese e dei filibustieri.
— Sí, se gli spagnuoli ci lasceranno il tempo. Ho veduto sbarcare piú di quaranta uomini.
— Ahi!... — fe’ Carmaux con una smorfia. — Sono troppi, però conto sul niku.
— Che cosa è questo niku? — chiese il Corsaro.
— Volete seguirmi, capitano?... Prima che gli spagnuoli giungano qui, saranno necessarie almeno tre o quattro ore ed a noi può bastarne una sola.
— Che cosa vuoi fare?
— Lo vedrete mio capitano. Venite, Wan Stiller rimarrà a guardia della nostra rocca.
Si armarono dei loro archibugi e scesero la collina cacciandosi in mezzo ai boschi di cedri, di palmizi, di simaruba e di alberi del cotone, ed aprendosi il passo attraverso a miriadi di liane.
Scesero cosí circa centocinquanta metri, fugando colla loro presenza bande di pappagalluzzi ciarlieri e qualche coppia di scimmie rosse, e giunsero ben presto al bacino che Carmaux aveva pomposamente chiamato laghetto, mentre invece non era che un semplice stagno, avente un circuito di forse trecento passi.
Era un serbatoio naturale, poco profondo a quanto pareva ed occupato da un gran numero di piante acquatiche, specialmente di mucumucú, le quali formavano dei veri boschetti.
Sulle rive di quel bacino, Carmaux fece notare al Corsaro delle masse di certi gambi sarmentosi, dalla corteccia brunastra e che somigliavano a liane. Crescevano in numero straordinario, aggrovigliati gli uni agli altri come se fossero serpenti o piante di pepe, prive di sostegno.
— Ecco i vegetali che procureranno agli spagnuoli delle coliche terribili, — disse il filibustiere.
— Ed in qual modo? — chiese il Corsaro, con curiosità.
— Lo vedrete, capitano.
Cosí dicendo il marinaio aveva snudata la sciabola d’abbordaggio e si era messo a tagliare parecchi di quei gambi sarmentosi, che gli indiani del Venezuela e delle Guiane chiamano niku, ed i naturalisti robinie, ed aveva formato parecchi fasci che poi depose su di una roccia, che scendeva nello stagno quasi a picco.
Quand’ebbe radunati trenta o quaranta fasci, andò a recidere due lunghi e solidi rami e ne porse uno al Corsaro, dicendogli:
— Battete queste piante, capitano.
— Ma che cosa vuoi fare, adunque?...
— Avvelenare le acque del bacino, mio capitano.
— Con questa specie di liane?...
— Sí, signore.
— Tu sei pazzo, Carmaux.
— Niente affatto, mio capitano. Il niku ubriaca i pesci e agli uomini produce delle coliche tremende.
— Ubriaca i pesci?... Eh va?... Quali storie mi racconti, Carmaux?...
— Non sapete adunque come fanno i Caraybi, quando vogliono prendere i pesci?...
— Si servono delle reti.
— No, capitano. Lasciano colare, nei laghetti, il succo di queste piante e poco dopo gli abitanti delle acque vengono a galla, contorcendosi disordinatamente e lasciandosi prendere colla miglior grazia del mondo.
— E tu dici che agli uomini produce delle coliche?...
— Sí, capitano, e siccome su questo cono non vi sono altri bacini né sorgenti, gli spagnuoli che vorranno assediarci saranno costretti a venire qui a bere.
— Sei furbo, Carmaux. Ubriachiamo adunque l’acqua del serbatoio.
Diedero mano ai bastoni e si misero a picchiare con gran vigore, schiacciando i gambi sarmentosi, dai quali usciva un succo abbondante che colava a poco a poco nel laghetto.
Le acque si colorirono ben presto, prima di bianco, come se si fossero mescolate a del latte, poi presero una splendida tinta madreperlacea, la quale, però, non tardò a dileguarsi. Ad operazione finita, la limpidezza del bacino era ritornata e nessuno avrebbe di certo sospettato che quel liquido, cosí promettente, nascondesse una sostanza, se non pericolosa, certamente poco gradevole.
I due filibustieri, precipitati nel laghetto gli avanzi dei gambi sarmentosi, stavano per allontanarsi, quando videro contorcersi numerosi pesci.
I poveretti, ubriachi dal niku, si dibattevano disperatamente, cercando di sfuggire a quelle acque che non facevano piú per loro, e parecchi si dirigevano verso le rive come se preferissero una lenta asfissia sulle sabbie, all’esaltazione, probabilmente dolorosa, che procurava loro il succo di quelle strane piante.
Carmaux, che ci teneva ad ingrossare le provviste, onde non correre pericoli di dover piú tardi soffrire la fame, si slanciò verso la riva e con poche randellate poté impadronirsi di due grosse raie spinose, di un piraia e d’un pemecru.
— Ecco quanto ci occorreva!... — gridò, lanciandosi verso il capitano, che si era cacciato sotto le piante.
— Ed anche questo!... — gridò una voce.
Uno sparo rintronò.
Carmaux non mandò né un grido né un gemito; cadde in mezzo ad una macchia di legno di cannone, e rimase immobile, come se la palla lo avesse fulminato.