Il Circolo Pickwick/Capitolo 2

Il primo giorno di viaggio e le avventure della prima sera con le relative conseguenze

../Capitolo 1 ../Capitolo 3 IncludiIntestazione 14 agosto 2010 75%

Charles Dickens - Il circolo Pickwick (1836)
Traduzione dall'inglese di Federigo Verdinois (1904)
Il primo giorno di viaggio e le avventure della prima sera con le relative conseguenze
Capitolo 1 Capitolo 3

Quel servo fedele di ogni lavoro, che è il sole, s’era appunto levato ed avea incominciato a spandere la sua luce sul tredicesimo giorno di maggio milleottocentoventisette, quando il signor Samuele Pickwick sorse come un altro sole dai suoi riposi; e spalancata che ebbe la finestra di camera sua, gettò uno sguardo collettivo sul mondo sottoposto. La via Goswell gli stava ai piedi, la via Goswell si stendeva alla sua destra, la via Goswell si sviluppava verso sinistra per quanto l’occhio portava, e di faccia a lui si apriva appunto e si dilungava la via Goswell. "Tali sono" pensò il signor Pickwick "gli angusti criteri di quei filosofi i quali tenendosi paghi all’esame delle cose direttamente tangibili, non guardano alle verità che vi si nascondono. Allo stesso modo, io potrei esser soddisfatto di contemplare per sempre questa via, senza fare alcuno sforzo per penetrare nelle misteriose regioni che da ogni lato la circondano." E così, dato sfogo a questa bella riflessione, il signor Pickwick procedette alla duplice operazione di metter la propria persona nei suoi vestiti e i suoi vestiti nella valigia. Ben di rado i grandi uomini sono molto scrupolosi nella cura della persona; sicchè il radersi, il vestirsi e il sorbire del caffè fu fatto in men che non si dica; e di lì ad un’ora, il signor Pickwick, con la valigia in una mano, il cannocchiale nella tasca del soprabito, il libro degli appunti nel taschino della sottoveste a ricevere tutte quelle scoperte che fossero degne di particolare menzione, era arrivato alla piazza delle vetture di San Martino il Grande.

— Ehi, cocchiere! — chiamò il signor Pickwick.

— Eccoci qua, signore, — rispose uno strano esemplare della razza umana, in giacca e grembiule di tela, e con al collo una piastra di rame numerata, che lo facea parere classificato in una collezione di rarità. Era il fattorino di piazza. — Eccoci qua, signore. Ehi, a te, prima carrozzella!

Il primo cocchiere della riga fu subito scovato dalla bettola dove se ne stava fumando la sua prima pipa, e il signor Pickwick e la relativa valigia furono caricati nel veicolo.

— Golden Cross, — disse il signor Pickwick.

— Corsa d’uno scellino, Tommy, — gridò il cocchiere di malumore per informazione speciale dell’amico fattorino, mentre la vettura partiva.

— Che età può avere cotesto cavallo? — domandò il signor Pickwick, strofinandosi il naso con lo scellino che teneva pronto per pagar la corsa.

— Quarantadue anni, — rispose il fiaccheraio, sbirciando di traverso il suo passeggiero.

— Come! — esclamò il signor Pickwick correndo subito con la mano al suo libro degli appunti. Il cocchiere ripetette la sua affermazione. Il signor Pickwick lo guardò fiso, ma la faccia di quell’uomo rimase impassibile, sicchè la singolare informazione fu subito registrata.

— E quanto tempo alla volta lo tenete attaccato? — domandò il signor Pickwick, cercando sempre di accrescere il tesoro delle sue cognizioni.

— Tre o quattro settimane, — rispose il cocchiere,

— Settimane! — esclamò stupefatto il signor Pickwick; e da capo tirò fuori il libro degli appunti.

— Quando sta a casa sua a Pentonville, alla stalla, — disse il cocchiere con la massima calma, — ma a casa lo si porta di rado, a motivo della debolezza.

— Della debolezza! — ripetette il signor Pickwick sempre più perplesso.

— Non c’è caso! quando lo si stacca, cade di sicuro. Ma quando è sotto, lo tengo su stretto e con la briglia corta, di cadere non se ne parla; poi di ruote come queste non se ne trovano, che vanno sole, appena le si toccano; sicchè, capite, quando il cavallo si muove gli corrono dietro, e la bestia ha da andare avanti per forza.

Il signor Pickwick registrò parola per parola questa comunicazione, con l’idea di darne parte al Circolo come un singolare esempio della vitalità dei cavalli in circostanze tutt’altro che favorevoli. Aveva appena terminato di scrivere quando arrivò a Golden Cross. Il cocchiere balzò dalla cassetta, mentre il signor Pickwick scendeva dalla vettura. I signori Tupman, Snodgrass e Winkle, i quali erano lì ad aspettare l’arrivo del loro illustre condottiero, gli si strinsero intorno per fargli festa.

— Ecco per voi, — disse il signor Pickwick porgendo lo scellino al cocchiere.

Ma quale fu lo stupore dell’insigne uomo, quando quell’essere indefinibile, gettando a terra la moneta, dichiarò in termini figurati ch’egli voleva soltanto avere il piacere di vedersela un po’ con lui, e di scontare a pugni il suo scellino.

— Siete matto, — disse il signor Snodgrass

— O ubbriaco, — disse il signor Winkle.

— O l’uno e l’altro, — disse il signor Tupman.

— Andiamo via, fatevi avanti, — gridava il cocchiere allargando le gambe e tirando in aria vari pugni preparatori, — fatevi avanti tutti e quattro.

— Bravo, bravo! — gridarono una mezza dozzina di fiaccherai. — Piglia, Sam, piglia! — e fecero cerchio intorno alla brigata.

— Che c’è, Sam? — domandò un signore vestito di nero.

— Che c’è, che c’è! e perchè ha voluto il mio numero, eh?

— Io non v’ho domandato il vostro numero, — disse l’attonito signor Pickwick.

— E perchè ve lo siete pigliato allora?

— Ma io non l’ho pigliato niente affatto!

— Potreste mai credere, — proseguì il fiaccheraio, appellandosi alla folla, — potreste mai credere che uno di cotesti spioni se ne vada attorno nella vettura di un galantuomo, e non solo se ne pigli e se ne scriva il numero, ma scriva poi per giunta tutte le parole che gli escono di bocca? — (Un lampo rischiarò la mente del signor Pickwick; si trattava del libro degli appunti).

— Come! questo ha fatto? — domandò un altro cocchiere.

— Altro se l’ha fatto! e poi dopo avermi provocato perchè gli dessi addosso, fa trovare quei tre testimoni per provarlo. Ma gliela faccio vedere io, avesse anche a costarmi sei mesi di gattabuia. Orsù, a noi! — e il vetturino, fuori di sè, con uno sprezzo eroico pei suoi effetti privati, scaraventò il cappello a terra, fece saltare in aria gli occhiali del signor Pickwick, e seguitò l’attacco con un colpo sul naso del signor Pickwick, e poi con un altro colpo in petto al signor Pickwick, e con un terzo nell’occhio del signor Snodgrass, e con un quarto, per amor di varietà, nel panciotto del signor Tupman, e poi saltò in mezzo alla strada, e poi di nuovo con un balzo tornò sul marciapiedi, e finalmente s’afferrò al signor Winkle in maniera da fargli uscir lo spirito dai polmoni — e tutto questo in una mezza dozzina di minuti secondi.

— Non c’è nemmeno una guardia? — disse il signor Snodgrass.

— Sotto la pompa, sotto la pompa, — suggerì un pasticciere, — metteteli sotto la pompa.

— Me la pagherete cara, — gridò quasi soffocato il signor Pickwick.

— Spie, spie! — gridò la folla.

— Avanti, fatevi avanti! — sbraitava il cocchiere, che non avea smesso intanto di tirar pugni in aria.

La folla aveva fino a questo punto assistito passivamente alla scena; ma non appena fu sparsa la voce che i Pickwickiani erano delle spie, s’incominciò a ventilare con molto calore l’opportunità di tradurre in atto la proposta del violento pasticciere; e non si può dire a quali atti di personale aggressione si sarebbe trasceso, se alla disputa non avesse inaspettatamente messo termine l’intromissione di un nuovo venuto.

— Che diamine succede qui? — domandò un giovane lungo e secco, vestito di verde, sbucando all’improvviso dall’ufficio delle vetture.

— Spie, spie! — urlò di nuovo la folla.

— Non è vero! — gridò il signor Pickwick in un tono che avrebbe subito convinto qualunque spassionato ascoltatore.

— Non è vero, eh? proprio non è vero? — domandò il giovane, parlando al signor Pickwick ed aprendosi una via fra la folla col processo infallibile degli spintoni e delle gomitate.

Quell’uomo insigne in brevi ed affrettate parole espose lo stato reale delle cose.

— Venite via, dunque, — disse quegli dal vestito verde, traendosi dietro a forza il signor Pickwick, e senza smettere di parlare. — Qui, a voi, numero 924, questa è la corsa, prendete, levatevi dai piedi. Persona rispettabile. Lo conosco io. Non facciamo sciocchezze. Di qua, signore, di qua. Dove sono i vostri amici? Vedo, vedo, non è che un equivoco — poco male — cose che accadono a tutti — nelle famiglie più regolate — a tutto c’è rimedio meno che alla morte — bisogna farsi animo. Citatelo, per bacco. Pigli questa e se la fumi, se gli va. Canaglia.

E spifferando una coroncina interminabile di simili sentenze a singhiozzi, il giovane introdusse il signor Pickwick e i compagni suoi nel salotto dei viaggiatori.

— Cameriere! — gridò poi, dando una fiera strappata al cordone del campanello, — dei bicchieri per tutti; ponce caldo, forte, bene inzuccherato, e in abbondanza. Avete male all’occhio, signore? Cameriere! una bistecca cruda per l’occhio del signore. Eccellenti le bistecche per le contusioni. Anche il freddo del fanale è ottimo, ma un po’ incomodo. Strana posizione quella di stare nella pubblica via per mezz’ora con un occhio attaccato alla colonna di un lampione. Ah, ah! davvero non ci si può pensare senza ridere. Ah, ah!

E il giovane, senza ripigliar fiato, ingollò d’un tratto un mezzo litro di ponce scottante, e si sdraiò in una seggiola con tanto abbandono e tanta disinvoltura come se niente di strano fosse accaduto.

Mentre i suoi compagni andavano esprimendo la loro gratitudine alla nuova conoscenza, il signor Pickwick ebbe agio di esaminarne il costume e l’aspetto.

Non era che di mezzana statura, ma la magrezza della persona e la lunghezza delle gambe lo facevano parere molto più alto di quel che in effetto non era. L’abito verde era stato già una giubba elegante al tempo dei vestiti a coda di rondine, ma disgraziatamente aveva dovuto servire ad un uomo molto più piccolo del nostro sconosciuto, visto che le maniche maculate e sbiadite gli giungevano appena ai polsi. Era gelosamente abbottonato fin sotto al mento, a rischio di creparsi da un momento all’altro nella schiena. Un vecchio fazzoletto, senza alcun indizio di solino, gli circondava il collo. Un par di calzoni tra il nero e il rossastro mostravano qua e là di quelle magagne che rivelano il lungo e fedele servizio, ed erano per via delle staffe bene stirati sopra un paio di scarpe rattoppate, come per nascondere le calze non affatto pulite, le quali nondimeno erano visibilissime. I capelli lunghi e neri sfuggivano in ciocche ribelli di sotto ad un cappellaccio posto di sghembo. Tra l’orlo dei guanti e le rivolte delle maniche si aveva di tratto in tratto una rapida visione di polsi nudi. Aveva il viso magro e sparuto; ma un’aria ineffabile di allegra impudenza e di perfetta sicurezza emanava da tutto lui.

Tale era l’uomo, al quale guardava il signor Pickwick di dietro gli occhiali (che per buona sorte avea potuto ricuperare), e al quale volle rendere in termini scelti, quando già gli amici suoi s’erano profusi in espressioni di gratitudine, le sue più calde grazie pel soccorso recente che aveva loro prestato.

— Niente, niente, — disse il giovane tagliando corto. — Basta così. Canaglia quel cocchiere. Che pugni, perbacco! Fossi stato nei panni del vostro amico verde! l’avrei stritolato; altro se l’avrei! ed anche il pasticciere. Una sola schiacciata, un boccone.

Questo discorso molto coerente fu interrotto dalla comparsa del vetturino di Rochester, il quale veniva ad annunziare che Il Commodoro era pronto a partire.

— Commodoro! — esclamò il giovane sconosciuto balzando in piedi. — La carrozza mia. Posto già preso. Imperiale. Pensino lor signori a pagare il ponce. Dovrei barattare un pezzo da cinque. Non c’è prudenza che basti. Tanto d’occhi. Monete false a staia. Non mi ci pigliano, non è affare che va, eh?

E crollò la testa con aria di persona accorta.

Ora il caso volle che il signor Pickwick e i tre suoi compagni avessero appunto pensato a Rochester come prima fermata; sicchè avendo accennata questa avventurata coincidenza al loro novello amico, si accordarono di occupare il posto dietro la diligenza, dove si poteva star tutti insieme.

— A noi, su! — disse il giovane sconosciuto, aiutando il signor Pickwick a montar sull’imperiale con tanta fretta e violenza, da danneggiare materialmente la gravità di quell’uomo insigne.

¾ C’è bagaglio? — domandò il vetturino.

— Chi, io? Nient’altro che un fagotto. Tutto l’altro bagaglio spedito per mare. Cassoni legati e inchiodati, alti come case. Pesano un buscherio, — rispose il giovane, cercando di cacciarsi in tasca un suo fagotto che presentava molti indizi sospetti di non contenere che una camicia e un fazzoletto.

— La testa, la testa, badate alla testa! — gridò il loquace viaggiatore, mentre la diligenza passava sotto l’arco del cortile. — Un orrore; non si celia mica. L’altro giorno per la più corta. Cinque bambini e una madre. Un pezzo di donna, capite. Mangiando biscottini, non badò all’arco. Crak! Che è, che non è? I bambini si guardano intorno. Spiccato il netto il capo della mamma. Col biscottino in mano e senza più bocca per mangiarlo. Un capo di famiglia a terra. Orribile, spaventevole. Guardate a Whitchall, signore? Bel palazzo, piccola finestra. Anche lì un altro capo spiccato dal busto, eh? E nemmeno lui era stato attento. Eh, non vi pare?

— Pensavo, — disse il signor Pickwick, — alla strana mutabilità delle cose umane.

— Ah, vedo, vedo! Oggi sul portone, domani alla finestra. Filosofo?

— Un semplice osservatore della natura umana, mio caro signore.

— Io pure; come lo sono molti quando hanno poco da fare e meno da guadagnare. Poeta, signore?

— Il mio amico Snodgrass ha una pronunciata disposizione alla poesia, — rispose il signor Pickwick.

— Come me, come me. Poema epico; diecimila versi; rivoluzione di luglio; composto sopra luogo. Marte di giorno, Apollo di notte. Il fucile e la lira, uno sparo e un accordo.

— Vi trovaste a quella scena gloriosa? — domandò il signor Snodgrass.

— Se mi ci trovai! altro che! Un colpo di moschetto e un’idea. Corro nella cantina, la scrivo, di nuovo al fuoco, pin pan! un’altra idea, da capo la cantina, calamaio e penna, fuori, fendenti e stragi, bell’epoca, caro signore, bell’epoca quella lì. Cacciatore? — volgendosi di botto al signor Winkle.

— Un poco, — rispose questi.

— Bell’esercizio, signore, bell’esercizio. Cani, eh?

— Proprio in questo momento, no.

— Ah! dovreste tener dei cani. Bell’animale, intelligente, sagace. Ne avevo uno io. Un cane di punta. Un istinto da sbalordire. Un giorno vado a caccia. Entro in una difesa. Fischio. Il cane non si muove. Rifischio: Ponto! Niente. Ponto ha messo radici. Lo chiamo ancora: Ponto, Ponto! Tutto inutile. Cane pietrificato, fisso davanti una scritta. Alzo gli occhi, leggo: "Il guardacaccia ha ordine di tirare a qualunque cane si troverà in questa difesa." Ponto non voleva passare. Bestia sorprendente. Inapprezzabile, unica.

— Davvero che il caso è straordinario, — disse il signor Pickwick. — Permettete che ne pigli appunto?

— Fate, fate, servitevi. Cento altri aneddoti dello stesso animale. Bella ragazza, signore! — proseguì il forestiero volgendosi al signor Tupman, il quale andava lanciando certe sue occhiate tutt’altro che pickwickiane ad una giovanetta che passava da un lato della via.

— Bellissima, — rispose il signor Tupman.

— Le Inglesi non valgono le Spagnuole: nobili creature, capelli d’ebano, pupille di fuoco, forme scultorie; creature dolci, irresistibili!

— Siete stato in Ispagna, signore? domandò il signor Tracy Tupman.

— Dei secoli, dei secoli.

— Molte conquiste, signore? — domandò il signor Tupman.

— Conquiste? a migliaia. Don Bolaro Fizzgig. Grande di Spagna. Figlia unica, donna Cristina, creatura splendida. Innamorata cotta di me, padre geloso, ragazza ostinata, bell’Inglese. Come si fa? Disperazione di donna Cristina. Acido prussico. Piglio una pompa aspirante, che ho nel mio bagaglio. Detto fatto, l’operazione riesce. Il vecchio don Bolaro, in estasi. Consente alle nozze, congiunge le mani, torrenti di lagrime. Una storia romanticissima.

— E la signora trovasi ora in Inghilterra? — domandò il signor Tupman, sul quale la descrizione di quelle grazie aveva prodotto una profonda impressione.

— Morta, signore, morta! — esclamò in un gemito il giovane viaggiatore, applicandosi all’occhio diritto l’avanzo di un vecchio fazzoletto di battista. — Non si riebbe più dalla operazione. Costituzione minata. Vittima.

— E suo padre? — domandò il poetico Snodgrass.

— Rimorso e miseria, — rispose il giovane. — Sparizione improvvisa. Che è, che non è, tutti ne parlano, si cerca dappertutto, niente. Di botto la fontana pubblica nella piazza non dà più acqua. Passano delle settimane. Altra fermata. Si mandano degli operai a pulir la vasca, si vuota. Trovano mio suocero nel condotto maestro, col capo in giù, e una piena confessione nello stivale destro. Lo tirano fuori, e dalla fontana zampilla meglio che mai.

— Permettete che pigli nota di questo piccolo romanzo? ¾ disse il signor Snodgrass, vivamente commosso.

— Servitevi, signore, servitevi. Altri cinquanta, se vi piace. Una strana vita la mia, curiosa anzi che no, niente di straordinario, ma singolare, molto singolare.

Su questo tono seguitò a discorrere il loquace viaggiatore, interrompendosi solo per ingurgitare un bicchiere di birra, a guisa di parentesi, alle varie poste di cavalli; sicchè quando furono giunti al ponte di Rochester, i libri di appunti così del signor Pickwick come del signor Snodgrass erano completamente riempiti di una scelta delle sue avventure.

— Magnifiche rovine! — esclamò il signor Augusto Snodgrass con quella foga poetica ch’era tutta sua, quando ebbero davanti il vecchio castello.

— Che studio per un antiquario! — furono le precise parole che il signor Pickwick, adattandosi all’occhio il suo telescopio, si fece sfuggire dalle labbra.

— Ah! un bel posto, — soggiunse lo sconosciuto. — Splendido edifizio, mura accigliate, archi cadenti, biechi nascondigli, scale crollanti. Vecchia cattedrale anche, odore terrigno, i gradini consumati dai piedi dei pellegrini, porticine sassoni, confessionali, come il botteghino di un teatro. Curiosi cotesti frati, papi e tesorieri, e altro vecchio ciarpame, facce rosse e nasi smozzicati; ne dissotterrano tutti i giorni. Dei giachi di pelle anche, degli archibugi, sarcofaghi, bel posto, antiche leggende, storie curiosissime, magnifico!

E lo sconosciuto continuò il suo monologo fino a che la diligenza non si fermò, sulla via maestra, davanti all’Albergo del Toro.

— Rimanete qui, signore? — domandò il signor Nataniele Winkle.

— Qui? no davvero. Voi sì, farete bene. Buona casa, letti eccellenti. Troppo caro l’albergo accanto. Mezza lira di più sul conto, soltanto per aver guardato in viso il cameriere. Conto più salato se vi permettete di desinare da un amico che se non uscite dall’albergo. Bei tipi, davvero.

Il signor Winkle si accostò al signor Pickwick e gli bisbigliò qualche parola all’orecchio. Un mormorio passò dal signor Pickwick al signor Snodgrass, dal signor Snodgrass al signor Tupman, e dei segni di assenso furono scambiati. Allora il signor Pickwick, volgendosi al forestiero:

— Voi ci avete reso stamane un grande servigio, caro signore, — disse; — vorreste permetterci di offrirvi un lieve attestato della nostra gratitudine domandandovi il favore della vostra compagnia a pranzo?

— Volentierissimo. Non pretendo mica imporre i miei gusti, ma polli arrosto, funghi, squisito! A che ora?

— Vediamo, — disse il signor Pickwick, tirando fuori l’orologio. — Adesso son le tre. Vi accomoda per le cinque?

— Egregiamente. Cinque in punto. Fino allora, vi lascio in libertà; — e sollevatosi di qualche pollice il cappello dalla testa in segno di saluto e aggiustatolo sulle ventiquattro, lo sconosciuto traversò svelto svelto il cortile e voltò nella via, avendo sempre fuori della tasca metà del suo fagotto di carta grigia.

— Un gran viaggiatore, senza dubbio, ed un arguto osservatore degli uomini e delle cose. — disse il signor Pickwick.

— Mi piacerebbe dare un’occhiata al suo poema, — disse il signor Snodgrass.

— Quanto avrei voluto vedere quel suo cane! — disse il signor Winkle.

Il signor Tupman non disse niente; ma pensava a donna Cristina, alla pompa, alla fontana, e gli si empivano gli occhi di lagrime.

Dopo aver fissato una camera da pranzo privata, esaminati i letti, e ordinato il desinare, i nostri viaggiatori uscirono per visitare la città e le sue vicinanze.

Noi non troviamo, da un’attenta lettura delle note del signor Pickwick sulle quattro città, Stroud, Rochester, Chatham e Brompton, che le sue impressioni in proposito differiscano gran fatto da quelle di altri viaggiatori che abbiano percorso le medesime regioni. Si può riassumere in poche parole la sua descrizione.

"I prodotti principali di queste città" scrive il signor Pickwick "pare che siano soldati, marinai, Ebrei, calce, gamberi, ufficiali e impiegati della marina. Le merci poste in vendita sulla pubblica via sono specialmente roba marinaresca, biscotto, mele, baccalà ed ostriche. Le vie presentano un aspetto animatissimo, in grazia soprattutto del buon umore dei militari. È veramente uno spettacolo delizioso per un animo filantropico il vedere quei bravi soldati, presi da un accesso combinato di spiriti animali ed artifiziali, andar qua e là ciondoloni come battagli; tanto più quando si pensi che divertimento innocente e poco dispendioso essi offrano alla popolazione dei ragazzi che corre loro dietro e scherza con essi. Non c’è nulla (aggiunge il signor Pickwick) che possa agguagliare la loro allegria. Appunto il giorno prima del mio arrivo, uno di essi era stato villanamente insultato in una bettola. La ragazza che faceva da tavoleggiante gli avea negato chiaro e tondo dell’altro vino. Al che, per semplice scherzo, egli avea tratto la sua baionetta; ed avea ferito la ragazza alla spalla. E nondimeno, questo bravo ragazzo si presentò la mattina appresso alla bettola, e fu il primo a dichiarare di esser pronto a non pensarci più e a dimenticare quanto era accaduto!

"Il consumo del tabacco in queste città (continua il signor Pickwick) dev’essere straordinario; e l’odore che invade le strade non può riuscire che deliziosissimo agli amatori del fumo. Un viaggiatore superficiale potrebbe trovare a ridire sulla mota costante che è la speciale caratteristica di quelle; ma per coloro che la guardano come un indizio del traffico e della prosperità commerciale, la cosa è assolutamente consolante."

Alle cinque in punto si presentò il giovane invitato, e poco dopo fu servito in tavola. Il fagotto di carta grigia non c’era più, ma nessun mutamento era avvenuto nei vestiti del viaggiatore, e tanto meno nella sua loquacità che era anzi divenuta più notevole che mai.

— Che roba è questa? — domandò mentre il cameriere sollevava uno dei coperchi.

— Sogliole, signore.

— Sogliole? ah! Stupende. Tutte le sogliole vengono da Londra. I proprietari di diligenze mettono su a posta dei banchetti politici; pel trasporto, capite. Carichi di sogliole, canestri a dozzine. Gente che sa il fatto suo. Un bicchier di vino, signore?

— Grazie, volentieri, — rispose il signor Pickwick; — e il forestiero prese del vino; prima con lui, e poi col signor Snodgrass, e poi col signor Tupman, e poi col signor Winkle, e poi con tutta la brigata, con quella medesima rapidità con la quale parlava.

— C’è un vero diavoleto per le scale, cameriere, — disse lo sconosciuto. — Seggiole, panche vanno su e giù, falegnami, lumi, bicchieri, strumenti, un’arpa. Che diamine succede?

— Un ballo, signore, — rispose il cameriere.

— Per sottoscrizione?

— Signor no, signore. Un ballo di beneficenza, signore.

— Sapete che vi siano molte belle donne in questa città? — domandò con vivo interesse il signor Tupman.

— Splendide, magnifiche. Kent, caro signore. Tutti conoscono Kent: mele, ciliege, luppoli e donne. Un bicchiere di vino?

— Volentieri, — rispose il signor Tupman

Lo sconosciuto empì e vuotò in meno di niente.

— Ci andrei con molto piacere, — disse il signor Tupman, ripigliando a parlare del ballo, — con moltissimo piacere.

— I biglietti si vendono su, alla porta, signore, — disse il cameriere; — mezza ghinea, signore.

Il signor Tupman manifestò nuovamente un gran desiderio di assistere alla festa; ma non incontrando alcuna risposta nell’occhio velato dell’amico Snodgrass o nello sguardo astratto del signor Pickwick, si diè con molta forza al vino di porto e alle frutta che appunto erano state portate in tavola. Il cameriere si ritirò, e la brigata fu lasciata a godersi quel paio d’ore di dolce abbandono che sogliono succedere al desinare.

— Domando scusa, signore, — disse lo sconosciuto. — La bottiglia sta in ozio, fatela girare, come il sole, una corsa, Giosuè a rovescio, — e vuotò il bicchiere che due minuti prima aveva riempito; e se ne versò subito un altro col fare di chi è abituato a questa specie di lavoro.

Il vino passò e disparve, e se n’ordinò dell’altro. Lo sconosciuto discorreva, i Pickwickiani ascoltavano. Il signor Tupman si sentiva sempre più disposto pel ballo. Sulla fisionomia del signor Pickwick brillava una certa luce di filantropia universale; e i signori Winkle e Snodgrass dormivano saporitamente.

— Incominciano lassù, — disse lo sconosciuto. — Sentite il calpestio; accordano i violini; questa è l’arpa; eccoli che si slanciano.

I suoni svariati che venivano dalle scale annunziavano in fatti che la prima contradanza era incominciata.

— Come ci vorrei andare! — ripetette il signor Tupman.

— Ed anch’io, — disse lo sconosciuto. — Maledetto bagaglio; ritardo del postale; nulla da mettere; curiosa, eh?

Ora, la benevolenza universale era uno dei tratti principali della teoria pickwickiana, e nessuno più del signor Tupman era dotato di una così nobile qualità. Scorrendo i processi verbali del Circolo, si è vivamente sorpresi in vedere quante volte questo dabben’uomo mandò dai suoi colleghi quegli sventurati che si rivolgevano a lui per averne dei vestiti usati o dei soccorsi pecuniari.

— Sarei lietissimo di prestarvi un abito per quest’occasione, — disse al suo interlocutore, — voi siete piuttosto magro, ed io...

— Piuttosto grasso. Bacco al riposo, senza pampini, lasciata la botte e infilati i calzoni. Bellina, eh? non mi dispiace. Ah, ah! Passate il vino.

Non è ancora un fatto bene assodato se il signor Tupman fosse alquanto indignato al tono perentorio col quale lo sconosciuto lo pregava di passare il vino, che poi in effetto facea passare così rapidamente, o se giustamente si sentisse scandalizzato in vedere applicato ad un membro influente del Circolo Pickwick quell’ignominioso paragone di un Bacco smontato dalla botte. Passò il vino, tossì due volte, e guardò fiso allo sconosciuto con un certo contegno severo; ma visto che lo sconosciuto non si commoveva punto sotto quello sguardo scrutatore, s’andò calmando a grado a grado, e tornò all’argomento del ballo.

— Volevo appunto farvi notare, signore, — gli disse, — che se i miei vestiti vi starebbero troppo larghi, quelli del mio amico Winkle vi calzerebbero forse a pennello.

Lo sconosciuto prese con una semplice occhiata la misura del signor Winkle, ed esclamò tutto soddisfatto: — Proprio il fatto mio!

Il signor Tupman si guardò intorno. Il vino, che aveva esercitato la sua influenza soporifera su Snodgrass e Winkle, aveva anche ottenebrati i sensi del signor Pickwick. Questo egregio uomo era gradatamente passato pei vari stadi che precedono il letargo prodotto da un buon desinare. Avea subito le solite transizioni dall’eccesso dell’allegria alla più profonda tristezza, e dalla più profonda tristezza all’eccesso dell’allegria. Come un fanale a gas, nella via, quando un po’ d’aria s’è intromessa nel becco, egli avea spiegato a momenti uno splendore straordinario; poi era caduto così basso che appena lo si vedeva; dopo un breve intervallo, era tornato a splendere, a vacillare, a scoppiettare, e finalmente s’era spento a dirittura. Aveva il capo piegato sul petto, e un russare non interrotto, con qualche sordo grugnito di tanto in tanto, erano i soli indizi della presenza del grand’uomo.

La tentazione di assistere al ballo e di formarsi una prima idea delle bellezze di Kent, poteva molto sull’animo sensibile del signor Tupman. Non meno forte era l’altra tentazione di tirarsi dietro lo sconosciuto. Era nuovo del paese, non vi conosceva nessuno; e l’altro invece mostrava di essere perfettamente informato di tutto, come se ci avesse vissuto fin dall’infanzia. Il signor Winkle dormiva, e il signor Tupman avea tanta esperienza di queste cose da sapere che, secondo l’ordinario corso della natura, l’amico suo appena destato sarebbe cascato a letto come un ceppo. Era indeciso.

— Empitevi il bicchiere, e passate il vino, — disse l’infaticabile commensale.

Il signor Tupman obbedì; e bastò a determinarlo lo stimolo addizionale dell’ultimo bicchiere.

— La camera di Winkle, — disse, — dà nella mia; — io non potrei fargli capire quel che voglio da lui, se lo destassi ora. So però che ha un vestito nuovo completo nella sacca da notte. Supposto che ve lo metteste voi per il ballo e ve lo toglieste al ritorno, lo potrei rimettere a posto senza disturbarlo punto punto.

— Stupenda! — esclamò lo sconosciuto. — Piano famoso. Maledetta posizione, ridicola. Quattordici vestiti nel bagaglio, obbligato a indossare quello d’un altro. Curiosa davvero.

— Dobbiamo prendere i biglietti, — disse il signor Tupman.

— Non val la pena barattare un pezzo da cinque. Giuochiamo a chi li pagherà tutti e due. Capo o croce. A voi; così. Donna, donna, incantevole donna! — e la moneta, lanciata in aria dal signor Tupman, cadde e mostrò capo, cioè il Dragone, che per cortesia era chiamato donna.

Il signor Tupman suonò il campanello, comprò i biglietti, ed ordinò due candele. Di là ad un quarto d’ora, lo sconosciuto era completamente coperto delle spoglie del signor Nataniele Winkle.

— È un abito nuovo, — disse il signor Tupman, mentre il suo compagno si contemplava con una certa soddisfazione in uno specchio a bilico. — Il primo abito fatto col bottone del Circolo, — e richiamò l’attenzione di quello ai grossi bottoni dorati che avevano in mezzo il busto del signor Pickwick e le iniziali P. C. dai due lati.

— P. C. — disse lo sconosciuto. — Curiosa. Il ritratto del vecchiotto e P. C. Che è P. C.? Uniforme? Molto curioso.

Il signor Tupman, con indignazione crescente e non poco sussiego, spiegò la mistica divisa.

— Un po’ corto di vita, eh? — domandò l’altro torcendosi e cercando di guardarsi dietro per vedere nello specchio i bottoni che gli salivano a mezza schiena — Press’a poco, un’uniforme di postiglione; strani vestiti quelli lì; si fanno per appalto, senza misura, misteriosa distribuzione della Provvidenza; a tutti i piccoli toccano i soprabiti lunghi, e a tutti i lunghi i soprabiti corti.

Seguitando a discorrere su questo tono, il compagno del signor Tupman si aggiustò alla meglio il suo vestito, o piuttosto il vestito del signor Winkle; e, in compagnia del signor Tupman, montò le scale che menavano alla sala da ballo.

— I nomi, signore? — disse il cameriere alla porta. E il signor Tracy Tupman si faceva avanti per annunziare i propri titoli, quando il suo compagno lo prevenne.

— Niente nomi. — Poi gli sussurrò all’orecchio: — Che serve? poco conosciuti; nomi distintissimi nel loro genere, ma non illustri. Eccellenti per una piccola riunione, nessuna impressione in una gran società. Incogniti fa al fatto nostro. Signori di Londra, forestieri di conto, quel che vi piace.

La porta fu aperta a due battenti, e il signor Tracy Tupman col suo compagno entrarono nella sala da ballo.

Era un salone lungo, fornito di panchettini cremisi e di candele di cera in lumiere di cristallo. I musicanti stavano relegati al sicuro sopra un palco; e da tre a quattro quadriglie venivano regolarmente intrecciate da un certo numero di danzatori. Due tavolini da giuoco erano messi su nella stanza contigua, intorno ai quali due paia di vecchie signore con un numero corrispondente di ben pasciuti cavalieri eseguivano il whist.

Terminato il finale, i ballerini si sparsero passeggiando per la sala, e il signor Tupman col suo compagno si situarono in un angolo per fare le loro osservazioni.

— Belle donne, — disse il signor Tupman.

— Aspettate. Or ora viene il bello. Non sono ancora arrivati i sopracciò del luogo. Curioso paese questo qui. Gli impiegati superiori della marina non se la fanno con gli impiegati inferiori; gli impiegati inferiori non se la fanno con la piccola borghesia; la piccola borghesia non se la fa col commercio; e il Commissario del governo non se la fa con nessuno.

— Chi è quel ragazzetto coi capelli biondi e gli occhi rossi, e con un vestito di fantasia? — domandò il signor Tupman.

— Zitto, fate il piacere. Occhi rossi, vestito di fantasia, ragazzetto, via, via! È un sottotenente del 97° L’on. Wilmot Snipe. Gran famiglia gli Snipe. Sicuro.

— Sir Tommaso Clubber, lady Clubber, e le signorine Clubber! — annunziò con voce stentorea l’uomo alla porta. Una viva impressione produsse in tutta la sala l’entrata di un signore lungo in soprabito turchino e bottoni lucidi, accompagnato da una grossa signora vestita di seta turchina, e da due signorine delle medesime proporzioni in abiti molto vistosi dello stesso colore.

— Commissario, capo della marina, grand’uomo, molto grande, — bisbigliò nell’orecchio di Tupman l’amico suo, mentre il Comitato di beneficenza accompagnava sir Tommaso Clubber e la famiglia fino in capo alla sala. L’onorevole Wilmot Snipe ed altri distinti gentiluomini fecero ressa intorno alle signorine Clubber; e sir Tommaso Clubber se ne stava ritto impalato, guardando maestosamente alla società di sopra alla sua cravatta nera.

— Il signor Smithie, la signora Smithie, e le signorine Smithie, — gridò di nuovo l’annunziatore.

— Chi è questo Smithie? — domandò il signor Tracy Tupman.

— Qualche cosa nella marina, — rispose l’amico.

Il signor Smithie s’inchinò con deferenza a sir Tommaso Clubber, e sir Tommaso Clubber consentì amabilmente ad accorgersi del saluto. Lady Clubber sbirciò dall’alto in basso con le lenti la signora Smithie e relativa famiglia, mentre la signora Smithie alla sua volta guardava con aria di protezione ad un’altra qualunque signora, il marito della quale non apparteneva niente affatto alla marina.

— Il colonnello Bulder, la signora colonnella Bulder, e la signorina Bulder — annunziò la voce.

— Capo della guarnigione, — disse lo sconosciuto rispondendo allo sguardo interrogatore del signor Tupman.

La signorina Bulder fu con molta affettuosità accolta dalle signorine Clubber: i saluti fra la colonnella Bulder e lady Clubber furono dei più cordiali; il colonnello Bulder e sir Tommaso Clubber si offrirono a vicenda una presa di tabacco, conservando sempre quel loro contegno alto e stecchito che li faceva rassomigliare ad un paio di Alessandri Selkirk, "Re di quanto avevano sott’occhio".

Mentre l’aristocrazia del luogo — i Bulder, i Clubber ed i Snipe — badavano così a tenere alta la loro dignità ad uno dei capi della sala, le altre classi della Società ne imitavano fedelmente l’esempio nelle altre parti di essa. Gli ufficiali meno aristocratici del 97° si dedicavano alle famiglie dei funzionari subalterni della marina. Le mogli degli avvocati o la moglie del negoziante di vino capitanavano un’altra casta (la moglie del vinaio era in visita con le Bulder); e la signora Tomlison dell’ufficio postale sembrava per tacito consenso essere stata scelta a capo del partito commerciale.

Uno dei personaggi più popolari nel proprio circolo era un ometto pingue, con una corona di capelli neri ritti come stecchi intorno ad un piano lucido di estesa calvizie. Il dottore Slammer, chirurgo del 97°. Il dottore prendeva tabacco con tutti, discorreva con tutti, rideva; ballava, scherzava, giocava al whist, faceva ogni sorta di cose, e si trovava dappertutto. A queste capacità, per svariate che fossero e molteplici, il piccolo dottore ne aggiungeva un’altra più importante di tutte; egli era cioè infaticabile nel dimostrare la più viva ed assidua sollecitudine ad una vedovetta di mezza età la quale dall’abito sfarzoso e dalla profusione degli ornamenti si presentava come una desiderabile aggiunzione ad una rendita limitata.

Sul dottore e sulla vedova gli occhi del signor Tupman e del suo compagno erano stati fissati per qualche tempo, quando questi ruppe il silenzio.

— Fiumi di danaro, vecchia zitella, tipo d’un dottore, bell’idea, amena, — furono le frasi smozzicate che gli uscirono dalle labbra. Il signor Tupman lo guardava intanto con aria interrogativa.

— Ballo con la vedova, — disse quegli.

— Chi è? — domandò il signor Tupman.

— Ignoro, mai vista, taglio fuori il dottore, avanti!

E, detto fatto, il giovane magro traversò la sala, s’appoggiò alla mensola d’un caminetto, e incominciò a contemplare con una sua ammirazione piena di rispetto e di malinconia il viso rotondo della vecchietta. Il signor Tupman guardava da lontano pieno di stupore. Il suo amico faceva rapidi progressi; il piccolo dottore ballava con un’altra dama; la vedova si lasciò cadere il ventaglio; quegli lo raccolse, glielo porse; un sorriso, un inchino, un grazie, poche parole di conversazione. Lo sconosciuto andò arditamente dal maestro di cerimonie, e ritornò con lui verso la vedova; breve pantomima di presentazione; e lo sconosciuto e la signora Budger presero posto in una quadriglia.

La sorpresa del signor Tupman a questo processo sommario, per grande che fosse, fu di molto sorpassata dalla maraviglia del dottore. Lo sconosciuto era giovane, e la vedova era lusingata. Le attenzioni del dottore rimanevano inosservate, e l’indignazione del dottore non faceva nessunissimo effetto sull’imperturbabile rivale. Il dottor Slammer pareva colto da paralisi. Lui, il dottor Slammer del 97°, essere schiacciato in un momento da un uomo che nessuno aveva mai visto, che nessuno conosceva nemmeno adesso! Il dottor Slammer! respinto lui, soppiantato lui, il dottor Slammer del 97°! Impossibile! non poteva essere, no! Eppure, sì, il fatto era evidente; eccoli là tutti e due. Come! anche presentargli l’amico? Poteva il dottore prestar fede ai propri occhi? Guardò di nuovo, e fu dolorosamente costretto ad ammettere la veracità dei suoi nervi ottici; la signora Budger ballava appunto col signor Tracy Tupman. Non c’era mica da sbagliare. Ecco la vedova, proprio lei, balzando qua e là gravemente e con insolito vigore; ecco il signor Tupman saltando di su e di giù, con un viso pieno di solennità e ballando (come a tanti si vede fare) come se una quadriglia non fosse una cosa da ridere, ma invece una dura prova dei propri sentimenti da non potersi affrontare senza un proposito fermo ed inflessibile.

Silenziosamente e pazientemente il piccolo dottore sopportò tutto questo; e sopportò anche, sempre tacendo, le galanterie assidue dello sconosciuto, le offerte di ponce, il portar via dei bicchieri, il precipitarsi sui biscotti, e tutte le smancerie che ne seguivano. Ma, pochi minuti dopo che lo sconosciuto fu scomparso per accompagnare la signora Budger fino alla sua carrozza, egli si slanciò fuori della sala ed ogni particella della sua effervescente indignazione, troppo a lungo tappata, sembrò sfuggirgli da tutti i pori della faccia in un terribile sudore di sdegno.

Lo sconosciuto tornava in compagnia del signor Tupman. Parlava basso e rideva. Il piccolo dottore era assetato del suo sangue. Lo vedeva gonfio di gioia, trionfante.

— Signore! — disse il dottore con voce terribile, porgendo un biglietto di visita e ritirandosi in un angolo del passaggio; — il mio nome è Slammer, dottor Slammer, signore, 97° reggimento, quartiere di Chaltham. Il mio biglietto, signore, il mio biglietto.

Avrebbe voluto aggiungere dell’altro, ma lo strozzava lo sdegno.

— Ah! — rispose freddamente lo sconosciuto. — Slammer, dottore; obbligatissimo; molto cortese; grazie, sto bene; quando no, picchierò all’uscio vostro.

— Voi.... voi siete un intrigante, signore! — esclamò sbuffando il furibondo dottore; — un poltrone, un vigliacco, un bugiardo, un.... un.... Insomma, mi darete il vostro biglietto, signore?

— Ah, vedo, vedo! — disse a mezza voce lo sconosciuto. — Troppo forte il ponce; distribuzione larga. Imprudenza. Molto meglio la limonata. Calore della sala, persone d’una certa età, ne risentono gli effetti, anche il giorno appresso. Dispiacevole, dispiacevole! — e fece uno o due passi per allontanarsi.

— Voi alloggiate qui, signore, — riprese l’indignato dottore. — Adesso, si vede, siete ubbriaco, signore; domani ce la vedremo, signore, domani. Vi troverò io, vi troverò.

— Niente difficile, — rispose con la medesima calma lo sconosciuto. — A casa o fuori mi si trova sempre. Più fuori che a casa.

Il dottor Slammer schizzava ferocia e distruzione, calcandosi il cappello in capo con un colpo pieno di sdegno; e lo sconosciuto e il signor Tupman rientrarono nella camera da letto del secondo, per rimettere al posto le penne prese a prestito dall’inconscio signor Winkle.

Il signor Winkle dormiva profondamente; l’operazione fu presto compiuta. Lo sconosciuto si trovava nella più amena disposizione di questo mondo; e il signor Tracy Tupman, eccitato più che mai dal vino, dal ponce, dai lumi, e dalle signore, non poteva pensar senza ridere al fatto di poco fa, che gli pareva un graziosissimo scherzo. Il suo nuovo amico tolse commiato, e dopo avere incontrato una certa difficoltà nel trovare l’orifizio del suo berretto da notte, destinato in origine a contenere la sua testa, e rovesciando finalmente la candela nei suoi sforzi per mantenerla ritta, il signor Tracy Tupman si studiò di cacciarsi fra le lenzuola con una serie di complicate evoluzioni, e subito dopo chiuse gli occhi al sonno.

Le sette del giorno appresso erano appena scoccate, quando la vasta intelligenza del signor Pickwick fu destata dal torpore, nel quale il sonno l’aveva sprofondata, da un forte bussare all’uscio della sua camera

— Chi è? — domandò il signor Pickwick, balzando in mezzo al letto.

— Cameriere, signore.

— Che volete?

— Scusate, signore, mi fareste la finezza di dirmi chi dei vostri porta un vestito turchino coi bottoni d’oro e le lettere P. C.?

— L’avrà dato a spazzolare, — pensò il signor Pickwick, — l’uomo ha dimenticato a chi appartiene. — Il signor Winkle, — disse poi alzando la voce, — due camere appresso, a destra.

— Grazie, signore, — disse la voce di fuori, e si allontanò.

— Che c’è? — gridò il signor Tupman destato di botto da un fiero colpo dato alla porta di camera sua.

— Posso parlare al signor Winkle? — domandò di fuori il cameriere.

— Winkle, Winkle! — chiamò il signor Tupman verso la camera contigua.

— Chi mi vuole? — rispose una voce debolissima di sotto alle lenzuola.

— Vi cercano, — qualcuno alla porta, — e compiuto lo sforzo di articolar tutto questo il signor Tracy Tupman si voltò dall’altra parte e si addormentò di nuovo.

— Mi cercano! — disse il signor Winkle, saltando giù dal letto e vestendosi in fretta. — Mi cercano! a questa distanza dalla città! chi diamine può cercar di me?

— Un signore nel caffè da basso, — rispose il cameriere, mentre il signor Winkle apriva la porta per veder chi era; — dice che non vi tratterrà più di un minuto, ma che v’aspetta senz’altro.

— Curiosa davvero! — disse il signor Winkle. — Vengo subito.

Si avvolse frettolosamente nella sua veste da camera e in uno scialle da viaggio, e discese. Una vecchia e due camerieri pulivano e rassettavano la bottega del caffè, e un ufficiale in piccola tenuta guardava fuori della finestra. Si voltò all’entrata del signor Winkle e salutò con un cenno del capo. Quindi, mandata via la gente di servizio e chiusa la porta con molta cura, disse:

— Il signor Winkle?

— Precisamente, signore.

— Non sarete sorpreso, signore, quando vi avrò detto ch’io sono qui da parte del mio amico, il dottor Slammer del 97°.

— Il dottor Slammer! — esclamò il signor Winkle.

— Il dottor Slammer, per l’appunto Egli mi incarica significarvi la sua opinione che la vostra condotta di ieri sera è stata indegna di un gentiluomo, e che un gentiluomo non può sopportarla in pace.

Era così vivo, così evidente lo stupore del signor Winkle da non poter sfuggire all’amico del dottor Slammer; epperò egli proseguì:

— Il mio amico, dottor Slammer, mi ha pregato di aggiungere esser lui fermamente convinto che durante una parte della serata voi eravate un po’ brillo, e probabilmente inconscio della gravità dell’insulto del quale vi rendeste colpevole. Mi ha incaricato di dirvi che se questo particolare potesse in certo modo servir di scusa alla vostra condotta, egli consentirebbe ad accettare delle scuse per iscritto, delle quali io stesso vi detterei il tenore.

— Delle scuse per iscritto! — ripetette il signor Winkle col tono della più profonda maraviglia.

— Naturalmente, — replicò con molta calma l’ufficiale, — conoscete l’alternativa.

— Siete stato incaricato di questo messaggio per me, nominativamente? — domandò il signor Winkle le cui facoltà mentali erano scosse stranamente da questo straordinario colloquio.

— Io non ero presente alla scena, — riprese l’ufficiale, — e in conseguenza del vostro reciso diniego di dare il vostro biglietto di visita al dottore Slammer, fui pregato da lui di identificare il proprietario di un vestito molto notevole; soprabito turchino e bottoni dorati con un busto e le iniziali P. C.

Il signor Winkle si sentì quasi venir meno dallo stupore, udendo una così minuta descrizione del proprio costume. L’amico del dottor Slammer proseguì:

— Dalle indagini fatte qui nella casa, son venuto a sapere che il proprietario del vestito in questione era arrivato ieri con tre signori. Ho mandato subito da quel signore che mi veniva indicato come il capo della brigata; ed è lui che m’ha diretto a voi.

Se la gran torre del castello di Rochester sollevatasi di botto dalle fondamenta si fosse venuta a situare di faccia alla finestra del caffè, la sorpresa del signor Winkle sarebbe stata meno che niente, paragonata a quella che lo colpiva udendo un discorso così fatto. La sua prima impressione fu che gli avessero rubato il vestito.

— Vorreste aver la cortesia di attendermi un momento? — disse.

— Certamente, — rispose il malaugurato ufficiale.

Il signor Winkle in due salti fu in camera sua, e con mano tremante aprì la sacca da viaggio. L’abito turchino stava al suo solito posto; ma, esaminato bene da vicino, mostrava più segni di essere stato adoperato la notte avanti.

— Dev’essere così, — disse il signor Winkle, lasciandosi cadere l’abito dalle mani. — Ho bevuto troppo dopo desinare e mi pare, così come in sogno, di essere andato attorno per le vie e di avere anche fumato un sigaro. Il fatto è che una buona cotta l’avevo presa; debbo aver mutato di vestito; sarò andato chi sa dove; ed avrò insultato qualcuno. Non può essere altrimenti, ed eccone ora la terribile conseguenza in questa sfida

Così dicendo da sè a sè il signor Winkle tornò al caffè col bieco e triste proposito di accettare la sfida del dottor Slammer e di affrontarne tutte le più funeste conseguenze.

A questa determinazione era spinto il signor Winkle da molti riflessi; primo dei quali era la sua riputazione presso il Circolo. Egli era stato sempre considerato come un’autorità di conto in tutti gli esercizi del corpo, offensivi difensivi ed inoffensivi; e se ora, proprio alla prima occasione, egli avesse dato indietro sotto gli occhi del suo condottiero, la sua posizione nel Circolo, era bell’e spacciata. D’altra parte si ricordava di avere inteso susurrare dalla gente poca pratica di queste faccende, che per un segreto accordo fra i secondi le pistole non si caricano sempre a palla; e pensò inoltre che se si rivolgeva al signor Snodgrass perchè gli facesse da secondo, e gli dipingeva il pericolo con termini molto vivaci, questo bravo amico avrebbe probabilmente comunicata la cosa al signor Pickwick, il quale senza dubbio non avrebbe messo tempo in mezzo per darne avviso alle autorità del luogo, ed impedire che il suo seguace fosse ucciso o storpiato.

Tali erano i suoi pensieri tornando al caffè, e per queste ragioni espresse il suo proposito di accettar la sfida del dottor Slammer.

— Vorreste indirizzarmi ad un vostro amico per accordarci sull’ora e il luogo dello scontro? — chiese l’ufficiale.

— Perfettamente inutile, — rispose il signor Winkle; — fissate da voi stesso, ed io condurrò meco il mio testimone.

— Ebbene, stasera? verso il tramonto, — disse l’ufficiale in tuono indifferente.

— Va benissimo, — rispose il signor Winkle, pensando dentro di sè che andava malissimo.

— Conoscete il fortino Pitt?

— Sì; l’ho veduto ieri.

— Se volete prendervi il disturbo di voltare nel campo che costeggia la trincea, prendere il sentiero a sinistra, quando siete all’angolo della fortificazione, e camminar diritto fino a che non mi vediate; io stesso vi guiderò ad un certo posto appartato, dove l’affare si potrà sbrigare senza timore d’interruzione.

— Timore d’interruzione! — pensò il signor Winkle.

— Non c’è altro da aggiustare, mi pare, — disse l’ufficiale.

— Nient’altro, credo, — rispose il signor Winkle.

— Buon giorno. — Buon giorno, — e l’ufficiale girò sui talloni zufolando un’arietta allegra.

La colazione di quella mattina passò senza notevoli incidenti e senza allegria. Il signor Tupman non era in grado di lasciare il letto, dopo l’orgia della sera innanzi, il signor Snodgrass pareva travagliato da una poetica depressione di spiriti; e perfino il signor Pickwick dimostrava un attaccamento insolito al silenzio ed all’acqua di soda. Il signor Winkle aspettò con ansia il momento opportuno, e non dovette aspettar molto. Il signor Snodgrass propose una visita al castello, e poichè il signor Winkle era il solo membro della brigata disposto a far quattro passi, così uscirono insieme.

— Snodgrass, — disse il signor Winkle, quando furono fuori della città, — Snodgrass, amico mio, posso contare sulla vostra discrezione?

E nel dir questo egli nutriva la più calda speranza, di non poterci contare niente affatto.

— Certamente, — rispose il signor Snodgrass. Io giuro...

— No, no! — interruppe Winkle, spaventato alla sola idea che il suo compagno ingenuamente si impegnasse a non parlare; — non giurate, non giurate; è assolutamente inutile.

Il signor Snodgrass abbassò la mano che, in uno slancio di poesia, aveva alzato verso le nuvole, e si raccolse in atto di ascoltare.

Ho bisogno del vostro aiuto, amico mio, in un affare di onore, — riprese a dire il signor Winkle.

— Lo avrete, — rispose il signor Snodgrass, stringendo forte la mano dell’amico.

— Con un dottore; il dottor Slammer del 97°, — disse il signor Winkle cercando di dare alla cosa la maggiore solennità possibile; — un affare con un ufficiale assistito da un altro ufficiale questa sera sul tramonto, in un campo solitario dietro al fortino Pitt.

— Vi accompagnerò, — disse il signor Snodgrass.

Era un po’ sorpreso, ma niente affatto commosso. È incredibile con quanta freddezza possa entrare in tali faccende qualunque persona che non sia la parte principale. Il signor Winkle avea dimenticato questo. Egli avea giudicato dai propri sentimenti dei sentimenti del suo amico.

— Le conseguenze possono essere terribili, — disse.

— Spero di no, — rispose il signor Snodgrass.

— Credo che il dottore sia un eccellente tiratore.

— Come la maggior parte di questi militari, — osservò con calma il signor Snodgrass; — ma anche voi tirate bene, non è vero?

Il signor Winkle rispose affermativamente; e accorgendosi di non aver abbastanza allarmato il suo compagno, mutò subito di terreno.

— Snodgrass, — riprese a dire con voce tremante dall’emozione, — se mai soccombo, voi troverete in un pacchetto che vi consegnerò una lettera per... per mio padre.

Anche questo degli attacchi andò a vuoto. Il signor Snodgrass si mostrò compunto, ma s’incaricò volentieri della consegna della lettera, come se a dirittura fosse stato un fattorino postale.

— Se soccombo io, — disse il signor Winkle, — o se soccombe il dottore, voi, caro amico, sarete chiamato come testimone e vi troverete compromesso. Dovrò io esser causa che il mio amico sia esiliato.... probabilmente a vita?

Il signor Snodgrass tentennò un poco a questa idea, ma il suo eroismo la vinse.

— Nella causa dell’amicizia, — esclamò con calore, — io sfiderei tutti i pericoli.

Come maledisse il signor Winkle la devota amicizia del suo compagno, mentre per alcuni minuti seguitarono a camminare l’uno a fianco dell’altro, immerso ciascuno nelle proprie meditazioni. Il giorno volgeva al suo termine; egli si vedeva sempre più disperato.

— Snodgrass, — esclamò, arrestandosi di botto, — non mi venite meno in questa faccenda, non ne informate le autorità locali, non provocate l’intervento degli ufficiali di pace, per fare arrestare me o il dottor Slammer, del 97° reggimento, quartiere di Chatham, ed impedire così questo duello; vi ripeto, Snodgrass, non lo fate.

Il signor Snodgrass afferrò con calore la mano dell’amico, e rispose con entusiasmo:

— Non lo farò, per tutto l’oro del mondo!

Un fremito percorse le membra del signor Winkle, quando lo assalse il terribile pensiero che non aveva nulla da sperare dai timori del suo amico, e che era pur troppo destinato a divenire un bersaglio vivente.

Spiegato formalmente al signor Snodgrass lo stato delle cose, e presa a nolo da una fabbrica di Rochester una scatola di pistole da duello, con soddisfacente corredo di polvere, palle e capsule, i due amici tornarono all’albergo. Il signor Winkle si ritrasse a ruminare sullo scontro imminente; e il signor Snodgrass se n’andò a mettere in ordine gli strumenti di guerra perchè potessero servire immediatamente.

Era una sera uggiosa e malinconica, quando uscirono di nuovo per la loro bieca escursione. Il signor Winkle era tutto avvolto in un gran mantello per sfuggire ad ogni osservazione; e il signor Snodgrass portava sotto il suo gli strumenti di distruzione.

— Avete tutto? — domandò il signor Winkle con voce malferma.

— Tutto, — rispose il signor Snodgrass. — Munizioni in abbondanza, chi sa mai ce ne fosse bisogno. Nella scatola c’è tre once di polvere e mi son messo due giornali in tasca per le cariche.

Queste senza dubbio erano prove di amicizia per le quali non ci poteva essere gratitudine bastevole. È però da credere che la gratitudine del signor Winkle fosse tanto profonda da non poter trovare una via di uscita. Non disse verbo e seguitò a camminare con una certa lentezza.

— Ci troviamo proprio in tempo, — disse il signor Snodgrass, passando il muro del primo campo; — il sole tramonta.

Il signor Winkle alzò gli occhi a guardare l’astro cadente, e pensò dolorosamente alla non lontana probabilità di un altro tramonto tutto personale.

— Ecco l’ufficiale; — esclamò, dopo che ebbero fatti pochi altri passi.

— Dove? — domandò il signor Snodgrass.

— Laggiù; quel signore col mantello turchino.

Il signor Snodgrass guardò nella direzione indicata dal dito dell’amico, e notò appunto una figura avvolta in un gran mantello. L’ufficiale mostrò di essersi accorto della loro presenza facendo con la mano un lieve saluto; e i due amici, a breve distanza, gli tennero dietro.

La sera si faceva sempre più scura e triste, e il vento s’andava lamentando attraverso i campi deserti, come un gigante lontano che chiamasse col fischio il suo cane. La tristezza della scena incombeva fieramente sui sentimenti del signor Winkle. Varcando l’angolo della trincea trasalì; il fortino aveva l’aspetto di una tomba immane.

L’ufficiale lasciò di botto il sentiero; e dopo avere scavalcato una bassa palizzata e poi una siepe, entrò in un campo appartato. Due gentiluomini stavano lì ad aspettare: un ometto grasso dai capelli neri, ed una specie di colosso chiuso in un cappotto di munizione e seduto tranquillamente sopra uno sgabello di campagna.

— Il primo avversario ed un chirurgo, mi figuro, — disse il signor Snodgrass. — Prendete un sorso di acquavite.

Il signor Winkle diè di piglio alla bottiglia che l’amico gli porgeva e bevve tutto d’un fiato.

— Il mio amico Snodgrass, signore, — disse il signor Winkle all’ufficiale. L’amico del dottor Slammer s’inchinò, e tirò fuori una scatola simile a quella portata dal signor Snodgrass.

— Non abbiamo altro da aggiungere, mi pare, — disse freddamente aprendo la scatola; — delle scuse sono state recisamente negate.

— Nient’altro, signore, — disse il signor Snodgrass, il quale per verità incominciava a non sentirsi troppo bene.

— Vogliamo misurare il terreno? — domandò l’ufficiale.

— Certamente, — rispose il signor Snodgrass.

Il terreno fu misurato e i preliminari aggiustati.

— Troverete queste migliori delle vostre, — disse il secondo avversario offrendo le sue pistole. — Me le avete viste caricare. Avete nulla in contrario?

— No, di certo, — rispose il signor Snodgrass. L’offerta lo toglieva da un grave imbarazzo; poichè le sue nozioni sul modo di caricare una pistola erano piuttosto vaghe e confuse.

— Possiamo dunque situare i nostri uomini, credo, — osservò l’ufficiale, con una completa indifferenza, come se i due primi fossero stati due pezzi di scacchi, e i secondi i giocatori.

— Credo che lo possiamo, — rispose il signor Snodgrass, il quale avrebbe detto di sì a qualunque proposta, perchè non ne capiva un’acca di questa sorta di faccende. L’ufficiale andò verso il dottor Slammer, e il signor Snodgrass si avvicinò al signor Winkle.

— Tutto è pronto, — disse, porgendogli la pistola. Datemi il vostro mantello.

— Vi ho dato il pacchetto, mio caro amico, — disse il povero Winkle.

— Non pensate, — disse il signor Snodgrass. — State saldo e mirate bene.

Pensò il signor Winkle che questo consiglio somigliava molto a quello che gli astanti non mancano mai di dare al più piccolo dei monelli in una baruffa: "Avanti, e vinci!" bellissima raccomandazione, se si sapesse soltanto come metterla in pratica. Si levò nondimeno il mantello senza far motto; pigliava sempre molto tempo questa operazione, ed accettò la pistola. I secondi si ritirarono in disparte, il gentiluomo dallo sgabelletto fece lo stesso, e i belligeranti si avanzarono l’uno contro l’altro.

Una delle qualità più notevoli del signor Winkle era sempre stata una singolare gentilezza di animo. È però da credere che questo suo ritegno a far male di proposito deliberato ad un prossimo suo, fosse cagione ch’ei chiudesse gli occhi quando fu arrivato al punto fatale; e che questo fatto speciale gl’impedisse di osservare la condotta veramente straordinaria ed inesplicabile del dottor Slammer. Il dottore trasalì, diè un passo indietro, si stropicciò gli occhi, gli sbarrò smisuratamente; e finalmente gridò: — Ferma, ferma!

— Che vuol dir ciò? — disse il dottor Slammer; mentre il suo amico e il dottor Snodgrass correvano verso di lui; ¾ non è questa la persona, non è lui.

— Non è lui! — disse il secondo del dottore.

— Non è lui! — balbettò il signor Snodgrass.

— Non è lui! — esclamò il gentiluomo col suo sgabello in mano.

— No di certo, — riprese il piccolo dottore. — Non è questa la persona che m’ha insultato ieri sera.

— È stranissimo! — esclamò l’ufficiale.

— Stranissimo, — ripetette il signore dallo sgabello. — La sola questione sta in questo, se il signore, trovandosi sul terreno, non debba essere considerato, sotto il rispetto delle. formalità, come la persona che ha insultata ieri sera il nostro amico dottor Slammer, sia o non sia egli quella persona.

E dopo aver dato questo suggerimento con un’aria molto saviente e misteriosa, il signore dallo sgabello annusò una abbondante presa di tabacco, e girò intorno uno sguardo profondo con l’aria di un’autorità inappellabile in tali materie.

Il signor Winkle aveva intanto aperto gli occhi e gli orecchi, all’udire che il suo avversario domandava una cessazione delle ostilità; ed accorgendosi dal seguito della conversazione che qualche grosso equivoco ci doveva essere, capì di botto quanto lustro maggiore ne sarebbe venuto alla sua fama, celando il vero motivo dall’accettazione della, sfida da parte sua. Si avanzò dunque arditamente, e disse:

— Io non sono la persona, lo so.

¾ Questo dunque, — disse il signore dallo sgabello, — è un affronto al dottor Slammer ed un motivo sufficiente per procedere senza altri indugi..

— State cheto, Payne, — disse il secondo dottore. — Perchè non me l’avete detto stamane, signore?

— Sicuro, sicuro, — disse il signore dallo sgabello con viva indignazione.

— Vi prego, Payne, di star cheto voi, — disse l’altro. — Posso ripetere la mia domanda, signore?

— Perchè, signore, — rispose il signor Winkle, che ci aveva intanto pensato sopra, — perchè, signore, voi parlaste di una persona ubbriaca e sconveniente vestita di un’uniforme, che io ho l’onore non solo di portare ma anche di avere inventato, — l’uniforme, signore, del Circolo Pickwick di Londra. Io mi sento in dovere di mantenere l’onore di quell’uniforme, epperò, senza chiedere altro, accettai la sfida che mi portavate.

— Mio caro signore, — disse il piccolo dottore porgendogli la mano, — io stimo grandemente il vostro valore. Permettetemi, signore, di esprimervi tutta la mia ammirazione per la vostra condotta, e sono dolentissimo di avervi procurato il disturbo di questo incontro senza scopo di sorta.

— Vi prego, signore, di non parlarne neppure, — disse il signor Winkle.

— Sarò superbo della vostra amicizia, signore, — disse il piccolo dottore.

— Sarò lietissimo di fare la vostra conoscenza, signore, — disse il signor Winkle.

Dopo di che il dottore e il signor Winkle si strinsero la mano, e poi il signor Winkle e il luogotenente Tappleton (secondo del dottore), e poi il signor Winkle e il signore dallo sgabello, e finalmente e sempre il signor Winkle e il signor Snodgrass; quest’ultimo in un eccesso di ammirazione per la nobile condotta del suo eroico amico.

— Si potrebbe andar via, mi pare, — disse il luogotenente Tappleton.

— Certamente, — rispose il dottore.

— A meno che, — venne su il signore dallo sgabello, — a meno che il signor Winkle non si senta offeso dalla sfida; nel qual caso mi permetto di fare osservare che egli ha diritto ad una riparazione.

Il signor Winkle, con grande abnegazione, si dichiarò pienamente soddisfatto.

— O anche, — riprese il signore dallo sgabello, — il secondo del signore potrebbe chiamarsi offeso di alcune osservazioni che sono sfuggite a me sul principio di questo scontro; se la cosa sta così, io sarò lieto di dare a lui soddisfazione immediatamente.

Il signor Snodgrass si affrettò a professarsi obbligatissimo alla graziosa offerta del signore, offerta che la piena soddisfazione di tutto l’affare gl’impediva di accettare. I due secondi aggiustarono e chiusero le scatole, e tutta la brigata lasciò il terreno molto più allegramente che non vi fosse venuta.

— Vi trattenete qui a lungo? — domandò il dottor Slammer al signor Winkle, mentre se n’andavano amichevolmente insieme.

— Credo che partiremo domani l’altro.

— Spero che avrò il piacere di veder voi e il vostro amico a casa mia, e di passar con voi una piacevole serata, dopo questo malaugurato equivoco, — disse il piccolo dottore, — siete impegnati per questa sera?

— Abbiamo qui alcuni amici, — rispose il signor Winkle — e non vorrei veramente lasciarli soli stasera. Se non vi dispiace, voi e gli amici vostri potrete venir da noi, all’Albergo del Toro.

— Volentierissimo, — disse il piccolo dottore — sarebbe troppo tardi alle dieci, per una mezz’oretta?

— Oh no, vi pare! — disse il signor Winkle. — Sarò lietissimo di presentarvi ai miei amici Pickwick e Tupman.

— Ne avrò gran piacere, — rispose il dottor Slammer, poco sospettando chi fosse il signor Tupman

— Venite di sicuro? — domandò il signor Snodgrass..

— Oh, senza dubbio.

Erano intanto arrivati sulla via maestra. Si accomiatarono con molta cordialità, e la brigata si sciolse. Il dottor Slammer e i suoi amici presero la volta del quartiere, e il signor Winkle con l’amico Snodgrass tornarono al loro albergo.