Il Chirone
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VI
IL CHIRONE
AL SERENISSIMO GRAN DUCA DI TOSCANA
FERDINANDO II.
Mentre dell’Arno tuo l’acque lucenti,
E di Fiesole antica il vago monte
Da lunge bramo, e suoi gelati rivi,
Per l’alma Clio nuovo Castalio fonte,
5Che dirti deggio, Ferdinando, a cui
Flora s’inchina, e colle mani eburne
Di fulgida corona orna la fronte?
Per certo il suon dell’Acidalia cetra,
E volgar canto prenderesti a sdegno:
10Dunque in Parnaso è da pigliar consiglio,
E rimembranza far con note antiche
De i veri pregi, onde s’illustra un regno.
Ascolta, o del buon Cosmo amabil figlio,
Cosmo, per cui fra noi tutte fioriro
15L’alme virtù, che abbandonando gli anni
Il bel titolo d’or già dispariro.
Sedeva un giorno il giovinetto Achille
Là, dove apriva il sen grotta ederosa
Presso il mar di Tessaglia, e stava intento
20All’onda, che d’argento era spumosa;
Quando veloce in su cerulee rote
A lui sen venne Galatea giojosa:
Ella scese dal carro in sull’arena,
E giunta nello speco il gran fanciullo
25Riverì con inchini, ed indi aperse
Della tenera bocca i bei rubini,
E disse: Germe del guerrier Peleo,
L’amor di Teti, onde ho ripieno il core
Fa, che a te mi conduca, e che m’ingegni,
30Con sì fatti presenti, a farti onore:
Prendigli in grado, e sì dicendo porge
Un candido monil; gran meraviglia!
Perle più scelte, che del mare in grembo
Unqua non vide oriental conchiglia:
35Indi soggiunge: Apparirà stagione
In che tu gioirai d’almi imenei,
Allora adornerai della consorte
L’alta bellezza, e cingerai l’avorio
Del suo collo gentil co’ doni miei;
40E quinci serberai la rimembranza
Pur del mio nome. Ella qui tace, e torna
Al nobil carro, e lascia in preda all’aure
L’increspato tesor aelle sue chiome,
E l’azzurro de’ veli, onde s’adorna.
45Trovossi ivi Chiron, nobil Centauro,
Famoso guidator del giovinetto,
E ben conobbe all’affissar del guardo
Ne’ ricchi arnesi, ch’egli aveva in pregio
Quegli ornamenti, e ne prendea diletto:
50Quinci compose colla mano i peli
Della barba canuta, e gravemente
Cotali accenti fece uscir dal petto:
O figliuol di Peleo, figliuol di Teti,
E d’Eaco nipote ad altro segno,
55Che alle vaghezze di gentil donzella
Voglio che sian rivolti i tuoi pensieri;
Sei nato a scettri, e del paterno regno
Nelle tue mani ha da recarsi il freno:
Fa dunque sì, che di real corona
60Fama immortal deggia gridarti degno,
Ed altieri desir chiudi nel seno.
In prima Dio sinceramente adora;
Dio, che all’altrui bontà serba corona;
Dio, che disperde l’adoprar degli empi,
65E loro incontra fulminando tuona:
Poscia con larga man, fatto cortese,
Della tua gente le vaghezze adempi;
E sopra ogni tesor gradisci Astrea:
Nè disprezzar, come i villani ingegni
70Han per usanza, l’onorate Ninfe
Del bel Parnaso, compagnia Febea;
Ma ria speranza non ti ponga in mente,
Che, neghittoso riposando in piume,
Goder tu deggia i lor nettarei canti:
75Amano spirto di virtute ardente,
Che de i pensier della viltà s’annoi,
E che tra’ rischi ami di farsi eterno;
E per sì fatta via corser gli Eroi.
Rammenta d’Argo il singolar drappello,
80Nocchier sì chiari: ei non cangiò sembiante
Per lo sembiante d’Oceáno ignoto,
Ma l’orgoglio domò de i nuovi mari,
E del barbaro Fasi in sulla riva
Pose a giogo famoso i fieri tori,
85Dalla cui fronte usciva, aspro a mirarsi,
Etna d’ardori, e con altiero sguardo
Rimirò per incanti aste lucenti
Crudelmente vibrar falange avversa,
Nati guerrier di seminati denti:
90Al fin mal grado dell’orribil belva,
Che n’era guardia, depredaro l’oro
All’alta selva, indi al paterno lito
Volsero i remi, ove per fama eterna
Ebbero il vanto degli onor supremi.
95Così per calle, ove si traccia onore,
Sudor si spande; ed abborrendo l’ozio,
Alma vien grande. In guisa tal Chirone
Svegliò la gioventù del fier Pelide
Alla virtute, e con nettaree note
100Robusta fea l’infermità degli anni;
E quel giovane cor facea conserva
Degli alti detti, e diveniva amico
Al bel desir degli onorati affanni.
Quinci ei nudriva spirti, onde tempesta
105Sorse di Marte, ed inondò Scamandro
Fatto sanguigno su’ Dardanei campi;
Ed ei con asta ad Ilïone infesta
Fu trionfante dell’Ettorea spada,
Perchè tra’ venti la superba Troja
110Polve divenne, e sua dorata Reggia
Rimase albergo a’ falciator di biada.
Ma tu, che sorgi degli Imperj Toschi,
Eccelsa speme, ed ammirato erede
De i regi alti dell’Arno, i cui vestigi
115Nobilemente imprimi, ed in cui splende
Insieme d’Austria e di Loreno il sangue,
Legnaggi in terra oltra il pensier sublimi,
Non hai mestier d’altro Chiron: tua stanza
Cosparsa d’ôr, l’incomparabil Pitti
120Son per te fatti di Tessaglia l’antro:
A che teco svegliar la rimembranza
Dall’Argo Argiva; e raccontare in Colco
I dati a morte celebrati mostri
Dell’antico Giasone alta possanza?
125Campo maggior di perigliosi mari
Aran tuoi legni, e più dorato vello
Tolgono al Drago i tuoi guerrieri armati,
Rompendo il corso a’ predatori avari.
Sommo trofeo, spezzar ceppi ferrati,
130Onde la gente franca orni gli altari,
Onde le spose rasciugando i pianti
Gridino Ferdinando: onde Livorno
Si faccia noto ad orfanelli infanti,
Che si crescean d’ogni speranza in bando.