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del chiabrera | 221 |
E fuor degli occhi sfavillava ardente
125Orribilmente. Quella nobil turba
Ivi d’intorno rimirando il mostro,
Da subito terror non si difese,
Se ne difese il coraggioso Alcide,
Che non mai di viltade apprese l’arte,
130Nè giammai del terrore entro la scola:
Sorrise, e poscia, come tal che scherna,
Fe’ dal petto volar queste parole:
Misero me, se mi veniva incontra
Sì formidabil angue in val di Lerna.
135Non disse più, ma colle braccia aperte
Avventossi alla belva, indi circonda,
Ed indi stringe la viperea gola,
Strinsela sì, che al trasformato amante
Ogni speranza del suo bene invola;
140Però del serpe abbandonò le larve
E fier toro mugghiante ivi divenne.
Qui stette alquanto riguardando, e parte
Come annojato incollerossi Alcide,
E colle man di bronzo, onde la fronte
145Portò sì spesso d’almo lauro adorna,
Mosse a rinnovellar sue prove eccelse.
Diede di piglio alle mal nate corna,
E contorse la testa, e dal profondo
Delle schernite tempie ei glie le svelse.
150In quel momento il Calidonio fiume
Diessi per vinto, e ratto fe’ partita.
Ma fino al ciel si sollevava il nome
Del chiaro vincitor, come è costume.
Infra quegli atti d’allegrezza sorse
155Schiera di Ninfe, e con le man cortesi
Da terra il corno fortunato colse,
Ed all’alma abbondanza il fece sacro:
Di vaghi fiori a coronarlo prese,
E de’ più cari, che la terra Argiva
160Allora avesse frutti appien l’ornaro,
Crescendo i doni pur di mese in mese.
O bella Euterpe, e sull’eburnee spalle,
Cosparso il crin, metrodorato Apollo,
Ne’ Toschi Regni non cogliean le Ninfe
165E di frutti, e di fior pregio più grande?
Certo nembi d’odor, salvo men cari,
La greca Primavera unqua non spande:
Ove di sì vaghissimo vermiglio
Rosa risplende? ed ove appar giacinto
170Con simil pompa di cerulee foglie?
E per quali altre valli apresi il giglio,
Che in paragon con la più fresca neve,
Di più fredda stagion non sia mai vinta?
Qual Tempe fia, che di Carano al pregio
175Osi agguagliarsi? e qual sì nobil piaggia
In nomar Pratolin non viene oscura?
Che del Trebbio dirò? che dell’apriche
Pendici d’Artemin, ia cui bellezza
Per ingegno mortal non si misura?
180Qui mai sempre ridendo ogni Napea
Smalta la terra, ed oggidi più lieta
L’imperla più, più che giammai l’innostra;
Unqua non visto aprile aura vi crea;
Perchè degna di loro aggia ghirlanda
185La chioma d’ôr della reïna nostra.
Alma reïna, al mio Signor diletta,
Onde più lieto, e più superbo è l’Arno
Per l’alta prole, che da lei s’aspetta.
VI
IL CHIRONE
AL SERENISSIMO GRAN DUCA DI TOSCANA
FERDINANDO II.
Mentre dell’Arno tuo l’acque lucenti,
E di Fiesole antica il vago monte
Da lunge bramo, e suoi gelati rivi,
Per l’alma Clio nuovo Castalio fonte,
5Che dirti deggio, Ferdinando, a cui
Flora s’inchina, e colle mani eburne
Di fulgida corona orna la fronte?
Per certo il suon dell’Acidalia cetra,
E volgar canto prenderesti a sdegno:
10Dunque in Parnaso è da pigliar consiglio,
E rimembranza far con note antiche
De i veri pregi, onde s’illustra un regno.
Ascolta, o del buon Cosmo amabil figlio,
Cosmo, per cui fra noi tutte fioriro
15L’alme virtù, che abbandonando gli anni
Il bel titolo d’or già dispariro.
Sedeva un giorno il giovinetto Achille
Là, dove apriva il sen grotta ederosa
Presso il mar di Tessaglia, e stava intento
20All’onda, che d’argento era spumosa;
Quando veloce in su cerulee rote
A lui sen venne Galatea giojosa:
Ella scese dal carro in sull’arena,
E giunta nello speco il gran fanciullo
25Riverì con inchini, ed indi aperse
Della tenera bocca i bei rubini,
E disse: Germe del guerrier Peleo,
L’amor di Teti, onde ho ripieno il core
Fa, che a te mi conduca, e che m’ingegni,
30Con sì fatti presenti, a farti onore:
Prendigli in grado, e sì dicendo porge
Un candido monil; gran meraviglia!
Perle più scelte, che del mare in grembo
Unqua non vide oriental conchiglia:
35Indi soggiunge: Apparirà stagione
In che tu gioirai d’almi imenei,
Allora adornerai della consorte
L’alta bellezza, e cingerai l’avorio
Del suo collo gentil co’ doni miei;
40E quinci serberai la rimembranza
Pur del mio nome. Ella qui tace, e torna
Al nobil carro, e lascia in preda all’aure
L’increspato tesor aelle sue chiome,
E l’azzurro de’ veli, onde s’adorna.
45Trovossi ivi Chiron, nobil Centauro,
Famoso guidator del giovinetto,
E ben conobbe all’affissar del guardo
Ne’ ricchi arnesi, ch’egli aveva in pregio
Quegli ornamenti, e ne prendea diletto:
50Quinci compose colla mano i peli
Della barba canuta, e gravemente
Cotali accenti fece uscir dal petto:
O figliuol di Peleo, figliuol di Teti,
E d’Eaco nipote ad altro segno,
55Che alle vaghezze di gentil donzella
Voglio che sian rivolti i tuoi pensieri;
Sei nato a scettri, e del paterno regno