Il Baretti - Anno III, n. 1/Galleria degli imbalsamati

Galleria degli imbaslamati

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Ritratto romantico di Ibsen Il Roccolo
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Galleria degli imbalsamati

F. T.


Cantiamo il precursore. Cantiamo il nostro uomo rappresentativo. Rivendichiamolo contro tutti i plagi. Il puro genio della stirpe; il difensore della latinità a Bolzano o a Tokio.

Lo proclameremo in Campidoglio maestro autentico dai suoi concittadini, fanatico e buontempone, filisteo e patriotta, improvvisatore e avventuriero, mirabile mistificatore internazionale, Conte Gorani in casa di Corrado Brando.

Propagandista, patriotta all’estero. Ha affermato nel mondo la nostra arte contemporanea con la bella violenza dei tenebrosi storici eroi della stirpe. Non per ironia, - per dinamismo è nato l’italianissimo nell’imperiale Alessandria (Africa romana) ed ha scritto in francese la prima dozzina di libri non ancora superdinamici.

★★★


Ma nell’allegria di questa celebrazione sorridente Marinetti diventerebbe ipocondriaco. Egli è un uomo serio e non sa stare all’ironia. La sua vita è votata a una missione, la sua impassibilità ascetica di spirito pratico gli impone in tutti i casi una condotta studiata e appropriata. Ha dovuto uccidere la spontaneità per essere l’uomo rappresentativo di una razza spontanea e irriflessiva.

In terra di condottieri e di eroi è stato pronto a trasformare il dilettantismo della selvaggia avanguardia parigina in fogge e riti di combattimento severo. Ebbe a Milano il circo per la sua giostra: azienda commerciale, ufficio di collocamento, agenzia di chiaccheroni scocciatori e sfacciati, organizzazione di pubblicità reclame, grancassa. Il movimento di corso Venezia fu una nuova disfida di Barletta, moderna, commerciale, romantica. Come Mafarka, creò dal nulla. Nacquero ogni giorno nuove covate, nuovo generazioni futuriste e Marinetti trovava un posto per tutti. Instaurò la religione della velocità, la poesia dello sport; trovò teatri per la forza fisica, il coraggio temerario, la vita, pericolosa. Con Ruscolo intonarumori sportivi e studenti milanesi fecero la loro prima rivoluzione.

Nel condottiero una fantasia africana di immagini fra torbide e luminose, sotto la faccia tosta più imperturbabile; un bisogno «mediterraneo» di espansione sotto il cipiglio severo e sotto l’aforisma sentenzioso. Precursori degli squallidi eroi della nostra generazione, incapaci di confidenza e di intimità, predicatori di energia per paura della solitudine, per paura di dover fare i conti con se stessi. La maschera e il cipiglio dovrebbero nascondere l’aridità. La compromettente e ineducata abitudine di pensare in pubblico vale come illusione e apparenza del pensiero.

Non si può immaginare, senza averla provata, la tristezza di un tête à tête con Marinetti. Se riflette vi dà un’impressione di sforzo e di pena; nulla ha da dirvi e i suoi silenzi ispirano disagio o pietà. La sua grande scoperta artistica è il teatro di varietà, la sua religione il tattilismo. Toglietelo agli artifici di luce del palcoscenico e avrete l’impresario disarmato. Vive di rumori e di trovate. È un oratore smontato se non può ripetere con la folla un dialogo addomesticato. Ha bisogno della grancassa, degli intona-rumori, di un codazzo di adulatori pacchiani e di servi zelanti che gli facciano da coro che lo sollevino dalla sua malinconia da teatro di burattini, che lo aiutino ad esaltarsi. L’accompagnamento della sua banda gli da una garanzia di continuità della sua mistificazione, la sagra o la festa lo proteggono come una schiera di pretoriani.

L’esame del suo stile può confermare la sua incompatibilità con le idee, con la vivacità, con la fantasia. I manifesti hanno la vivacità polemica del più tenace e pedante professore tedesco. Sono insistenti e noiosi, divisi in capitoli e in paragrafi scolastici come un catechismo, schematici come un trattato. Quando s’abbandona all’onda del lirismo allora le parole in libertà e lo proposizioni asintattiche ritraggono la sua anima vuota e sconnessa, le sue doti di osservatore semplicista devoto al più grossolano impressionismo, senza continuità lirica.

Ci ha dato l’arte tipica del commesso viaggiatore, dello studente impaziente, del veloce imbecille, col falso titolo: primitivismo e sana barbarie! Noi ricordiamo poche pagine di Marinetti in cui abbiamo sentito il brullo del deserto, poche immagini di sensualità orientale, chiuse e soffocate tra una fioritura di enfasi, di declamazioni, di africana voluttà impotente. Arte rappresentativa.

MACOUF.


Nei prossimi numeri: 2. Il saraceno Borgese. 3. Bontempelli. 4. Soffici. 4. Fracchia. ecc.