Il Baretti - Anno II, n. 5/Ripresa del Gouncourt
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Gozzano | Propilei | ► |
RIPRESA DEI GONCOURT
Quando Edmond e Jules de Goncourt iniziarono, l’anno 1851, il loro diario, abitavano un modesto appartamentino a Montmartre e precisamente, rue Saint - Georges. Conoscevano poca gente, si annoiavano da morirne, e occupavano la loro giovinezza fabbricando penosamente grossi libri come l’«Histoire de la Société pendant la revolution» e «Portraits intimes du XVIII° siécle». Per inesperienza o poca fama erano anche stati costretti a vendere all’editore Dentu quest’ultima opera formata di 2 volumi, per soli trecento franchi, mentre ne avevano spesi circa tremila in ricerche e autografi. Con un cattivo affare di tal genere si chiudeva l’anno 1856, e finiva il loro noviziato.
Gli amici di cui si parla con familiarità nei primi volumi del Giornale erano sempre Gavarni, Flaubert, Saint-Victor, Gautier. L’ammirazione dei Goncourt era particolare per Gautier loro primo e ultimo maestro e per Gavarni sapiente calcolatore.
Ai tempi di Gavarni e di Gautier i due fratelli sostavano a lungo sulle impressioni di natura e di umanità, dato lo stretto cerchio di amici e il molto tempo da perdere. Le giornate passando in piena solitudine, annoiandosi della loro stessa compagnia come se fossero una sola persona, azionavano meticolosamente cose e persone incontrate e conosciute, si soffermavano volentieri su ogni futilità e decifravano con pazienza i nonnulla. Ma qua e là scaturiscono inaspettati tormenti e forti desideri.
Si erano staccati dalla oscura provincia per tentare la letteratura in un grande centro come Parigi, Edmond non ancora trentenne e Jules compiuto appena il quarto lustro. Un ventennio vissero in comunione di spirito, lavorando allo stesso tavolo, insieme, assiduamente e intensamente. Parteciparono al movimento letterario del loro tempo dimostrandosi con opere critiche e creative osservatori singolari, eruditi coscienziosi, moralisti e romanzieri nuovi. L’uno accanto all’altro conobbero le amarezze e le gioie della vita letteraria, molto più le amarezze che le gioie. Indimenticabile l’insuccesso di «Henriette Marechal» al Théâtre Francis, l’anno 1865.
Quando dal modesto appartamentino di Montmartre i due lavoratori avevano potuto confinarsi nell’ampia villa di Auteuil acquistata col frutto delle loro quotidiane fatiche cerebrali, realizzando così uno dei sogni più belli, al precoce Jules il destino non concedeva che poco tempo per godere la quiete c la felicità della ricca dimora, dove si sarebbe dato tutto con gioia alle serene creazioni.
Fino al giorno che i due fratelli e preziosi collaboratori furono sani e pieni di vita segnarono il fenomeno più interessante della letteratura dei loro tempi. Le doti dell’uno supplivano alle manchevolezze dell’altro. Vivevano una vita intensa e aristocratica che destava intorno invidia e curiosità. Spentosi il fratello minore a soli quarant’anni, Edmond visse a lungo da sopravvisuto centenario. Non perdette, perchè innata, la volontà di scriver libri, ma fu un altro nei rapporti col mondo Forse non era andata via per sempre la migliore parte di se stesso? Vagò sperduto e malaticcio. Continuava in lui a vivere il lavoratore tenace, ma nella sua opera mancò sempre la scintilla che un tempo veniva fuori al contatto delle due diverse intelligenze. La nota gaia dello spirito di Jules de Goncourt non si ritrova più nelle innumerevoli pagine lasciate dal fratello rimasto. Ora è dovunque l’incubo, l’attesa della morte imminente. Il più giovane e più ardente esercitava i suoi benefici effetti sulla natura riflessiva e grave del fratello maggiore. Da tale contrasto scaturiva la prosa agile e colorita; nella intensa lotta delle due anime avveniva la tormentata selezione delle idee. Edmond e Jules de Goncourt non erano una sola penna o un solo cervello che funzionava, ma due coscienze diverse. I primi tre volumi del Giornale furono scritti quasi per intero da Jules. In seguito Edmond prese la penna caduta dalla mano del povero prezioso fratello. E si vede chiaro che i primi tre volumi sono roba diversa dal resto, specchio della loro intelligenza associata, ove in realtà può ammirarsi il singolare spirito dei Goncourt.
Jules era accidioso, indolente, mentre Edmond era metodico, nemico dell’ispirazione, dotato di forte volontà. La mattina di buon’ora il fratello maggiore già in piedi, pronto a lavorare, quasi sentisse una responsabilità paterna sulla comune opera, andava a svegliare il fratello per riprendere insieme le faticose carte. Jules dormiva ancora quando il severo collaboratore, la pipa accesa, saliva fin nella cameretta di sopra a toglierlo quasi bruscamente dal mondo dei sogni. Si levava mal volentieri nelle ore mattutine e, come lo stesso Edmond ci narra, veniva trascinato a forza al tavolo del lavoro. Ma la volontà del fratello maggiore s’imponeva su quella del più piccolo che, fiero e cosciente della sua missione e spinto da un forte orgoglio di mestiere, finiva sempre con ubbidire. Meccanicamente Jules riprendeva la pagina del romanzo lasciata nelle prime ore del mattino ancora calda di vita; l’ispirazione veniva man mano che i fogli ripieni si accumulavano sotto la sua penna. Scrisse sempre lui di suo pugno, finché visse, i libri ideati in compagnia di Edmond. La sua era una grande fatica. Il fratello maggiore a sua volta non si sentiva capace di lavorare senza sentirsi accanto l’indolente collaboratore; abitudine che giocoforza dovette abbandonare, avvenuta la morte del fratello. Edmond era molto più letterato di Jules, per lui la letteratura formava l’unico scopo della vita: il bel libro sopra ogni cosa. E tale mestiere esercitava con scrupolosa esattezza.
Ma l’evidente contrasto dei caratteri doveva intimamente ridurre infelici i due fratelli. E Jules dotato di fibra meno resistente soggiacque alle torture di Edmond. La sua morte causata da uno sforzo continuo di volontà lo dimostra. Troppo tardi il più savio si accorse di aver logorato la esistenza del gentile compagno, quando già questi, toccato mortalmente dalla fatica, negli inaspettati bagliori della coscienza, smanioso di luce c di vita sana, aveva preso a odiare i libri e il fratello; le due sole cose predilette nella sua breve vita, ora, durante la lenta e penosa agonia, gli apparivano quali suoi mortali nemici.
Cosi aristocratico, cosi padrone di sè Edmond de Goncourt durante la compagnia di Jules, dopo la morte di quest’ultimo, scese ogni giorno sempre più verso l’umanità, bisognoso di conforto e di fraterna amicizia. Cercò i frivoli successi frequentando teatri affumicati; esaltò guitti e romanzieri d’appendice; alla ricerca continua di un altro uomo che potesse occupare nella sua casa il posto lasciato vacante dall’affettuoso collaborare. In tale ricerca finì anche con lo sciupare quel po’ di buono rimasto in lui. Fraternizzò con i Daudet credendoli famiglia di genio, con Antoine e con altri fondatori o rinnovatori di teatro, dando agio a tutti di speculare sul fascino e sulla notorietà del suo nome. Lasciò portare alla «rampe» quasi intera la sua intangibile opera di romanziere, da « Germinie Lacerteux » a «Les frères Zemganno». Poiché aveva visto man mano Zola, Loti, Maupassant staccarsi dall’ombra, giungere all’immenso successo, alla fantastica fortuna, il desiderio di arrivare al fanatismo delle masse aveva preso anche lui. Sperava allora che l’apparente insuccesso dei suoi romanzi dovesse mutarsi in grande trionfo al teatro. Vecchio e sofferente volle ritornare alle battaglie della giovinezza, dare a tutti la sensazione di non essere caduto negli anni, si dedicò anima e corpo a inseguire la capricciosa chimera, ma lo spirito e la forza venivano a mancargli. S’illudeva di rivivere le giornate di « Henriette Marechal » solo perchè all’Odeon o al teatro di Antoine i suoi romanzi dilaniati suscitavano un’ira infernale nella sala. Il morbo del teatro lo aveva preso forte negli ultimi anni, tanto da fargli perdere completamente la testa. Il solitario disertava allora l’ampia villa di Auteuil, per correre dalla mattina alla sera da un impresario a un altro — una vera e propria via crucis — a vigilare sulla sorte dei suoi lavori, da mettere in iscena; ansia, febbre, trepidazione, gran tic-tac di cuore alle premières e alle riprese, non dormire più, non mangiare più, vivere settimane intere in una prolungata e dannosa tensione di nervi. Egli stesso non riusciva a spiegarsi la ragione di tanta passione per il teatro, ma s’inebriava fino al punto di ubriacarsi, nella speranza di una imminente rappresentazione di un suo lavoro.
Per molti anni Edmond de Goncourt aveva lavorato gettando nel mercato letterario tanti libri ed era anche rimasto nell’amaro silenzio e nella triste solitudine, senza mai chiedere ai suoi ignoti ammiratori e detrattori una sola parola di lode o di biasimo. Ora, quando già era troppo vecchio e a torto si sentiva giovane per aver dimenticato la sua personalità, volle dare sfogo al suo desiderio già imputridito, di chiamare gli uomini a raccolta e farsi battere le mani o farsi insultare personalmente. Li voleva vedere uniti i giudicatori del suo talento singolare, e per diversi anni li fece accorrere nei vari teatri aristocratici e popolari di Parigi. E non disperò mai di ottenere un successo teatrale pari a quello che spesso capitava a Loti, Zola, Daudet, il clamoroso successo seguito da innumerevoli repliche; ma fortunatamente non ebbe mai, e rimase artista dal fascino misterioso e martire incompreso. Nella mania o passione per il teatro portò la cocciutaggine, la tenacia di letterato, la stessa volontà ferrea con la quale aveva ossessionato e reso vittima senza rimedio il fratello. Edmond de Goncourt fu di peso sugli impresari e sugli attori; li oppresse, li confuse, li annichilì con la sua testardaggine. Non lasciò in pace nessuno. L’indulgenza e la bontà con cui veniva trattato erano dovute all’ammirazione rimasta verso il suo passato: e solo in nome del passato egli riuscì a portare sulla scena le sue intangibili creature nate di poesia, di solitudine e di tormento, per avvilirle, confonderle nella mediocre umanità, farle prostrare ai piedi d’una folla alcoolica, macchiarle d’olio di palcoscenico. Un’attrice intelligente e buona come la Réjane fece tutto il possibile per conciliare il talento del curioso scrittore con le pretese del pubblico poco evoluto; diede tutta sè stessa perchè il nome dei Goncourt rimanesse puro anche nella contaminazione delle scene. Cosi non la pensò Sarah Bernhardt. Edmond la circondava di cure, la cercava, la esaltava inutilmente, si umiliava dinnanzi a lei nella speranza che l’idolo della plebe parigina lo interpretasse. La Benardht molto pratica lasciò sospirar invano alla soglia di casa sua l’autore della « Faustin » e non gli confidò mai che la roba apprezzata da lei e dal suo pubblico era fatta dagli escandescenti martelliani del più tarchiato e sano Hugo.
Sperduto, affaticato — lo s’incontrava a ogni svolto di strada. — Edmond de Goncourt invano vagò e si smarrì nella ricerca della felicità e della grossa gloria che la gente del suo secolo avrebbe dovuto dispensargli. Vagamente egli richiamava alla memoria degli uomini, i due aristocratici letterati di un tempo. Solo una volta l’anno, il giorno d’ognissanti, Goncourt si ricordava in realtà del grande fratello scomparso.
Con quanta pazienza e con quanta cura i Goncourt redassero il loro Giornale, questo manuale del perfetto letterato! L’uno e l’altro non avrebbero dovuto finire con l’annoiarsi di registrare indiscrezioni e pettegolezzi da Magny e di notare piccoli e grandi avvenimenti settimanali del mondo spirituale? Per più di quarant'anni Edmond fu fedele alla vita delle sue cronache. Grazie al gradevole almanacco chiunque può familiarizzare con gente che non capita spesso tra i piedi, come Flaubert, Sainte-Beuve, Gavarni, Daudet, Zola, Maupassant, Renan, Turghenief, Taine, Rodin, Gambetta, Loti, Hugo ecc. Le ingenuità sulle abitudini degli uomini lasciate fresche e colorate dalla penna dei due sagaci acuti e lungimiranti fratelli, divertono tanto, che non passa una stagione che il Giornale non ritorni qualche ora in voga alle rive destra e sinistra della Senna, per rianimare le conversazioni dei « boulevardiers ». Appassionano le cronache dei Goncourt in ispecie per le indiscrezioni che vi sono dentro: letteratura amena sarebbe il Giornale secondo la maggioranza. E pensare che i due fratelli erano convinti di aver fatto storia onesta seria scrupolosa, di aver dato una severa testimonianza dei tempi vissuti, a studiarsi nell’avvenire come in alcuni collegi si studiava già l’« Histoire de la Société pendant la revolution ».
Ma in particolar modo gli annali dei Goncourt meritano l’attenzione degli onesti letterati ché, oltre a poter rifare in essi la storia imparziale del tempo, c’è anche da ricostruire attraverso le vive pagine l’intimo dramma delle due anime, che ha inizio e fine tra il 1851 c il 1870, quando i due fratelli creavano con la loro tormentata e legata esistenza letteraria il più schietto romanzo.
Aniante.