Il Baretti - Anno II, n. 3/Lettera di provincia

Guglielmo Alberti

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Lettera di provincia.

Caro Pilade,

Hanno ristampato i versi di Guido Gozzano, il libro, rivestito ahimè! a nuovo, torna per le vetrine; e proprio quest’inverno che nella sua Torino i giorni seguitano così miti e chiari come i suoi abitanti non si rammentano di averli visti mai durare. Clima da riviera. Si consolerebbe, tornasse ora a vita, di tanta luce per le vie, di tanto tepore per l’aria, l’amerebbe lo stesso questa sua città, lui che con tenerezzaa la cantò fra nebbie e nevicate, lei e le sue donne freddolose dai manicotti soffici di pelliccia!

Quante volte tra i fiori, in terre gaie,
sul mare, tra il cordame dei velieri,
sognavo le tue nevi, i tigli neri,
le diritte vie corrusche di rotaie,
l’arguta grazia delle tue crestaie,
o città favorevole ai piaceri!

Serba pur cara, tu che l’hai, la vecchia edizione dei Colloqui: quella con in copertina il disegno di Bistolfi, cosi fastidioso e falso di tono, ma che appunto non doveva sul serio dispiacere a Costano. Il quale, rammentiamoci che germogliò proprio nell’epoca di quel che gli capita di chiamare in un sonetto «il novissimo stile». C’è perfino una data cui rifarsi; quella che segna «il distacco, amaro senza fine» dalla Signorina Felicita, ed anzi, come si conviene, è un verso: «trenta settembre novecentosette».

La nuova ristampa mi duole sapere che non sono i soli editori ad averla curata. Nulla si opporrebbe, così fosse, all’istintivo risentimento nel vedere, innanzi tutto, il titolo stesso, discreto, di Colloqui, gonfiarsi di retorica sentimentale e commemorativa e diventare i primi e gli ultimi colloqui. Ma è il fratello Renato, ci avvertono gli editori in una notizia, ad aver scelto questa ventina di liriche del poeta cosi immaturamente scomparso, tra le più significative de La via del Rifugio da gran tempo esaurita. Le quali, oltre a due finora inedite in volume fanno più fitto in questa, edizione l’antico libretto. Vorrei dire che l’appesantiscono, e aggravano i nativi difetti; non fosse il pio gesto familiare che ricompone i resti mortali anche più oscuri a farmi, se non indulgente, più riguardoso almeno.

Ho riletto dunque questi Colloqui che il nostro bel Guido Gozzano, come Serra quasi a ritrarlo lo chiama nelle Lettere, tenne con guidogozzano, come a più riprese il poeta designa il suo confidente obbligato. Serra scriveva nel 1913 «...è rimasto nei Colloqui... oggi e assente... si riposa. E noi non sappiamo se tornerà, o se ci lascerà solo la sua immagine prima sempre ventenne». Tu, caro Pilade, se ancora sei suscettibile d’immalinconirti per il ricordo di quelle che furono le nostre predilezioni di adolescenti, rileggiti, ma soltanto, La Signorina Felicita, Paolo e Virginia, l’amica di Nonna Speranza. Credi a me che sono andato a rilegger tutto.

L’uomo, tengo presente ch’era ammalato. Più ancora che la sofferenza, lo urgeva, penso, la certezza della condanna. Sano di corpo è facile che si sarebbe sodisfatto della sua città «un po’ vecchiotta, provinciale, fresca — tuttavia di un bel garbo parigino». Questa del Parigi festaiolo e della eleganza delle sue donne, è come l’immagine di un Bengodi di paradisiache raffinatezze che ricorre con frequenza proprio tutta provinciale e borghese, e sfugge all’ironia del poeta — più: tradisce una tendenziosa compiacenza. Rammentati con quanta reciproca effusione di schietta esultanza durante il suo viaggio in India, in mezzo allo splendore esotico, si scontri con due sgualdrinelle francesi, canzonettiste di caffè concerto, che subito gli ridestano in cuore con nostalgia la memoria di Madame Angot. E' il primo raffronto che gli occorre dinanzi alla snellezza della Devadasis danzante è colla Rubinstein.

A questo malato, poco suggerisce il suo male. Vagheggia due rimedi — Amore e Morte ma solo blandamente perché lo dismemorino, lo affranchino del Tempo e dello Spazio. Risanato, è facile che su Arturo e Federico non avrebbe meditato più gran che. Non par tutto distendersi in questo verso «C’è in me la stoffa d’un borghese onesto»?

La morte gli fu infine benevola. E amore? Vedi che mondo è quello delle donne di carne, viventi, da lui rammentate ed evocate. «Se lei sapesse come sono stanco, confessa un giorno alla Signorina Felicita, delle donne rifatte sui romanzi». Francesi, manco male. E altrove: «Mi piaci. Mi faresti più felice — d’un intellettuale gemebonda». Ma frivole, mondane o cerebrali popolano la sua vita quotidiana. Nemanco è un tono di sopportazione; era pur lui a ricercarle. Ci meraviglieremo della irreciprocita sortita!

O non amate che mi amaste, a Lui
invan offersi il cuor che non s’appaga.
Amor non mi piagò di quella piaga
che mi parve dolcissima in altrui.

Di contro a questa schiera la Signorina Felicita poteva solo parere all’avvocato la salvezza, la Felicità. «Lei sola, forse, il freddo sognatore, le dichiara, educherebbe al tenero prodigio». E davvero l’ha dipinta con amorevolezza. Con quella cura minuziosa e casalinga, quel gusto dei colori ripuliti e lustri e degli sfondi di campagna per le finestre (il suo bel Canavese!) che, intorno al viso di lei dal «tipo di beltà fiamminga», suscitano proprio come lo scenario di un interno piemontese dipinto da un Peter de Hooch.

Son sempre scenari, se badi, quelli tra i quali in un certo qual modo si salva — o meglio: ripara. E son perfetti: il salotto di Nonna Speranza, l’isola di Paolo e Virginia. Con un’ironia che non cessa d’esser patetica il poeta rinasce tra le quinte del suo sogno. Come in un balletto, tra la fastosa e variopinta vegetazione tropicale drizzata dalla sua fantasia di scenografo malizioso, rivive il suo dramma. Caro Pilade, se rileggendo la morte di Virginia e il dolore dì Paolo curvo su di lei in riva al mare, ti vien ancor fatto di credervi come si faceva da ragazzi, non posso darti torto.

C’è poi ancora Totò Merumeni, questo pervenu intellettuale, alla spaventosa chiaroveggenza del quale non ci riesce di credere, checché ne dica Gozzano. Ma poi seguita a narrarci:

La vita si ritolse tutte le sue promesse.
Egli sognò per anni l’Amore che non venne,
sognò pel suo martirio attrici e principesse
ed oggi ha per amante la cuoca diciottenne.
Quando la casa dorme, la giovinetta scalza
fresca come una prugna al gelo mattutino
giunge nella sua stanza, lo bacia in bocca.
(balza
su lui che la possiede beato e resupino...

E’ Gozzano che si confessa! E’ lecito pensarlo. Mi piace anzi di scoprirgli qui non solo denti più canini, ma un appetito di più terrestri frutta. Il loro sapore, Pilade, è fra tutti squisito. Di non avervi morso a suo tempo chi si consolerà mai!

Voglimi bene.

Oreste.