Il Baretti - Anno II, n. 3/Foglietti letterari/Pagina bianca
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L’arte è lunga, e la vita breve. Tante cose insegnan gli anni, e tra l’altre questa. Che lo stile d’uno scrittore può e deve, senza perdere nulla della propria dignità, mettere a poco a poco toni più discreti alle proprie riflessioni, e usar modi più affabili, se non altro in considerazione della pazienza del lettore.
Perchè certo importa non riempirgli le tasche di soverchia noia. S’impara allora, quando di tante idee e passioni umane si comincia a vedere il punto dove tramontano, che anche dello scrivere e della invenzione poetica si può fare, non dico una professione, ma un diletto più prudente e meno disperato. Si bada alla salute. Il mondo intero appare sotto un aspetto più calmo e più chiaro: s’aprono prospettive ignote, non è tutt’oro quello che luce: ed è vero che può accadere di svegliarsi un limpido mattino, senza vaghe e pigre illusioni sul destino della giornata. Se qualcosa dispiace, è il pensiero che questo risvegli coincidono di solito col decadere della giovinezza, e sono in certo modo il segno della prima maturità, sempre avara di affetti e circospetta nelle fiducie. Pensiero, che raramente si inganna. Ora e perciò che guardiamo, liberi da inutili tremori e superbe sostenutezze, tratti dell’antica natura, consci d’aver mancato fin qui di quella confidenza e sincerità che solo possono stabilire i termini di ogni onesta e seria relazione. Usavamo salutarci da lontano, e quasi di sfuggita. O compagna del nostro lavoro, come ci troverai cambiati! La nostra è un’amicizia piena di cautele e di reticenze. Sapendo oramai di poter fare l’uno a meno dell’altra, ognuno sta sul proprio. Certi tempi non torneranno più.
Le nostre opere, nate come un sospiro dalla memoria, son di quelle che sempre si ricominciano, creature mortali. L’inclinazione che abbiamo mostrata allo scrivere, anzi questa brutta piega, la rispettiamo, con la stessa onesta e lieta cura che i nostri nonni artigiani e costruttori usavano verso i loro metalli e le loro pietre. Ingenui, da giurar che l’arte vuol rispetto!
Il nostro linguaggio vuol farsi robusto e studiato. Passando il tempo, e profittando noi di ogni paziente calcolo suggerito da un educazione borghese, maliziosa e casalinga, ci riuscì di fargli guadagnare una certa pastosità e morbidezza che unite a una disinvolta cortesia, formano le grazie di ogni creatura adulta. Quanto lo stile d’un libro derivi dai costumi, anche i più materiali ed esterni, di chi l’ha scritto, non saremo cosi incauti da dirlo. Certo però, qui era in questione una pazienza così insistita e abusata da suggerire di quei particolari e di quelle rifiniture che si adempiono con un sorriso sfatto e un gusto maledettamente ironico. Forse saranno anche le incalcolabili distanze di questa nostra pianura a render naturale un mode di calmo ragionamento, le strade lunghe, le grandi campagne. Sta il fatto che le cose, o prima o poi, arrotondano per — cosi dire i loro spigoli, si fanno cedevoli, lasciano il passo, e, come l’uomo rimettono sempre d’un poco il momento della propria comparsa. Nostro destino e diletto è quello di tornare infinitamente sul già fatto, cioè di raccostarci al cuore e alla memoria queste pagine scritte, e ancora guardarle da una lontananza vasta e patetica, quanto più ce le sentiamo distaccate e quasi anonime.