Il Baretti - Anno II, n. 16/L'ultima morte
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L’ultima morte
Volsero i secoli, e qui ai miei occhi
si scoverse un orrido quadro;
andava la morte su la terra, su l’acqua,
compivasi il vivente destino.
Dov’erano gli uomini, dove? ascondevasi nelle tombe!
Come vetuste colonne ai confini
le ultime famiglie imputridivano;
ruine erano le città,
per i pascoli insalvatichi vagavano
senza pastori le impazzata gregge:
con gli uomini per esse sparve il nutrimento;
io udivo il lor famelico belare.
E silenzio profondo bentosto
solennemente ovunque imperò,
e la selvaggia porpora dei prischi tempi
la sovrana natura rivesti.
Maestosa e triste era la vergogna
delle deserte acque, selve, valli e montagne.
Come prima vivificando la natura,
su l’orizzonte l’astro del giorno sali;
ma su la terra nulla al suo sorgere
dare il saluto poteva:
solo la nebbia, sovressa azzurreggiando, fluttuava
e come vittima espiatrice fumava.
A. Baratinskij
(Traduzioni letterali di A. Poliedro).