Il Baretti - Anno II, n. 14/Il pio Renan
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IL PIO RENAN
Renan è di quei gridi di anima che esplodono in un’apparizione e rovinano il mondo come una guerra. La vita di questi pericoli di anima si divide in due parti: la prima è di maledizione e di geenna, qui si ricercano, si torturano, si esplorano; la seconda è di benedizione e di amore qui, scendono il monte.
Si laureano discepoli quando han lasciata la cattedra di professori spietati. Dal Collegio di San Supplizio passano a collaborare alla nascita della Libertà di pensare che non è proprio o solo un giornale con la quarta pagina.
— Qu'on fasse plus de lumière — è la loro divisa.
Vengono per lo più di fuori.
Rousseau, Chateaubriand, Lamennais, non sono, come non Renan, della Firenze di Francia, che dà la chiarezza e la facilità di Descartes e Voltaire.
Questi esplosivi di mattina, che si son macerati per lunghi anni senza aver chiaro lo scopo, come voluti da una volontà più sicura, sono eterni erranti senza terra. Sono poesia che ha marcita ogni metrica in suo azzurro. Vuol dire che ha fatto ben ginnastica prima! Non possiedono nulla e sono, come dice Renan, di sè — semplici locatarii della terra, e traversano il mondo, senza serio attaccamento al mondo, «Dio ci ha dato l'usufrutto dell'universo» così ripete Renan.
Prima, erano forse professori di greco. Cosi, Zarathustra! Prima, erano una disciplina linguistica o una Teologia di Beranger, studiata in classe. Ora, s’accendono in sommità di lirici rischi, vedono il vero, in un lampo. I versi sono sempre schiavi anche se s'alzano a liberi! Schiavi, come un mezzo. Ciò che è libertà, è poesia, quando è nata! Due ispirazioni, ci sono. L'una è la improvvisa, contro cui si scaglia Verlaine nel finale di Sagesse, la colomba che si aspetta con le braccia in croce sul nulla del cuore. L'altra è la subitanea che suppone prove e cilizii, e mille Saint Nicolas, Saint Supplice, Stanislas, collegi di metrica e di stile. Allora l’ispirato, che è anche predestinato, elude ogni cosa, dissolve ogni fermezza nemica di Vaticani e di ombro, scrive le Origini ed i Popoli, liquefa le tavole della lettura ormai superstiti. Ripristina la lirica, da tutti i teatri, che son Pirandello e sera o politica di figura. Dove Chateaubriand, persa ormai la nascita del cristianesimo, raccomanda la fede per ragioni nulla inerenti all'essenza di lei, come la pompa delle cerimonie e la decenza delle ispirazioni fornite all'arte oratoria e rivendica o belli atti compiuti da singoli, e i turpi destini dei nemici del Cristianesimo, come se ciò argomentasse in favore di una verità e non fosse questa un assorbire continuo l'aggettivo inutile, momentaneo, nella musica deserta anonima della strada rettilinea, tutta un risveglio di radici inassopite, — Renan filtra la sua spia di saggio e dissipa la gran multa della notte. Quando l'opera è compiuta, certo una rovina si esprime, da questo gioco di nevi di profumo. Non solo il dogma è diluito in domani senza pigli, non solo il miracolo è deposto in un razioncinio che ha la virtù dell'incanto, come se le fate della sua Fontana di giovinezza, zampillassero, nelle fantasia di Renan, una gioia di luce; non solo la salvezza e volatilizzata in imprecisa nuance, e inafferrabile tremito di giorno; — ma anche le virtù elementari han persa la loro radice di dovere, e il fenomeno universo non è che uno spettacolo ameno che Dio si concede per divertimento. Il romanticismo di Lamartine e della passionalità di iungla furente della prima metà del secolo aveva lasciato il luogo a una grande curiosità del vero, a una illimitata fiducia nell’Avvenire della Scienza, e nella infallibilità della critica positiva. Il genio che aveva abbracciato lo spazio e tornate poi le braccia vane al petto, si era deciso, con la stessa fede, a prender partito per la ragione, a desiderare il tragico della verità a ogni costo. Non era più il tempo delle tentennate di Voltaire contro il concreto e il sodo del Cattolicesimo e dei miracoli. Voltaire suffit. E’ il pensiero di Renan, che come tutti i lirici, che non fan mai versi, odia il supplizio di Mesenzio e il disconoscimento del limite, che, se lo strapazzi, ne viene il cavallo divoratore di terre, perchè non giunge il centro. Al morto il morto! utilissima la carica sbrigante e plebea di Voltaire contro ogni mistero, pane da gonzi, — ma, se gli prolunghi il momento, ipostatizzi il mezzo morire che è sempre da morire ove arriva. Tutto è poi, niente è sempre e pure l’aggettivo isterico strilla stridulo che non morrà mai! E lo carezza già, il mare del continuo. Voglio vincere la corsa! — s'impenna l'aggettivo fuori via... La macchina resta al palo, e la divina musica della strada fiumana continua il suo desto sognare...
Lo chiama controversista, lo ammette grand'uomo. Nelle due lettere a Strauss ne fa lodi più giuste. Ma, di Voltaire, pariginissimo, come un idea nata e un abbaglio di paradosso, percuziente di sorpresa che passa, brillantissima, non dovette, Rènan, mai essere tanto devoto. Fu, un mezzo: e i mezzi possono anche riconoscersi utili, senza levar loro il cappello! Anche l'ombra ha il suo da fare nell'economia della luce. Non vuol dire che ci si abbia a iscrivere al suo partito. Renan nota che Voltaire lavorò la guerra con la guerra, e fece bene! Ora, si tratta di andar oltre, c’è qualcosa di meglio dà fare. Disfare il fatto, senza opporvisi, inutili! — pel suo meglio, di là. Ciò dice molto anche per intendere il senso particolarissimo e inconfondibile, che ha Renan della Storia, la fantasia di Dio. Per noi, che ascoltiamo l'Enrico IV di Pirandello, e siamo stati avvezzi alle strepitose manovre sulla storia, compiute dalla buon’anima, in termine sincero, di Carducci, la Storia ci pare un lenzuolo funerario, un po' sempre. Gli è che leggiamo la lettera. Invidiamo quasi, il riposo di quelle date e di quei dati di fatto, che non debbono più avvenire, che sono forma perfetta, dunque: morte. E invece ogni storia è sacra, in quanto dietro il dorso del leggibile e del fatto, avviene, eterna, la gran logica equorea, il fluido di risvegli, della linea di Dio. L'eterno Ritorno è la cantonata di Nietzsche. L’ha scontata, pure!
Questo senso della storia, chiaroveggenza responsabilissima, nella quale ogni coscienza deve sentirsi non credersi, centro vivido, anche della più stupida materia morta e lontana, che riposa, per vivere, su tutte le stelle ferite di occhi del firmamento sommerso sotto il santo oceano laico di Dio, e non è dunque materia, ma condizione dell'Invisibile, per esistere, e la precisa distinzione, è l'aristocrazia sincera, di Renan, che chiamo, senza contraddire storicolirico.
I varii Mariano che scrivono le opere cantate, dalla carta liscissima, trovano che Renan indulse tanto alla Ipotesi, che il polso dei fatti e le prove dei risultati sono quasi futili, nella sua Storia di Origini, di Popolo, di Religioni, di cori umani laici e santi. C’è del vero, nell’appunto. Renan fu laboriosissimo, conobbe l'ebraico alla perfezione, tutta la vita dedicò alla conoscenza, alla curiosità esigentissima, e rivolse i suoi fiumi d’anima verso le tende eterne del mare di Israele, il popolo, per noi, antipraticissmo (ha ragione Cecchi e Cardarelli ha ragione), per Weininger, femmino, per Herder, poeta, per lui, Renan, morale di sua essenza. Se avesse un'altra vita, Renan la dedicherebbe alla divinazione del popolo Greco, il re dei miti! Sta di fatto che Renan scelse il più antico... E non fu per questo. Il sangue brettone, sveglissimo nel figlio di Treguier, dove è in vista il Capo Finisterre e la nascita lirica del puro mare, rende, sospetto, Renan contro la rettorica del sentimento, che troppo famigliare giudica alle stirpe latine, e dalle quali, isola con un senso aristocratico del limite e della primizia di quelli che, tra le persecuzioni, han saputo durare, la propria terra, timida, riservata — è lui che dice, — tutta vivente in profondo, comunicativa poco, ma sensibilissima come un trasalito filo di raggio, e una maschilità inespansiva, ma perforatrice, impresibile. Ce n’è abbastanza, quando si aggiunge la simpatia della strada e dell'Instabilità alla cosa, morta sempre, al concreto caduco, che fece desiderare a Renan la poesia degli infiniti e i viaggi senza ritorno, — (fu in Siria, Fenicia, Palestina, Egitto, tutta Europa cercò) — , ce n'è abbastanza per giustificare la preferenza data al popolo della tenda, straniero alla terra, e nato del cielo. Le corpulente percosse sono sempre i Monti di lettere, i Vaticani maestri, Satana, cioè, e intrigo. Ma perchè un'idea duri quaggiù, non basta l'originalità fontana, occorre il sussidio dell'aiuto, e che San Francesco sia compiuto dal Frate Elia briccone, — l'esperienza è di Renan! Egli non ha avuto il suo Frate Elia; — il suo Gesù non ha avuto l'ultimo paragrafo dell’ultimo Vangelo, il Vangelo non lirico; perchè, salvo a farlo apposta, il lirico è sempre sinottico, e non mica il filosofo, come Platone voleva! Per questo, Renan si accorge che la sua azione sul mondo sarà breve, e non avrà che divertito un momento i suoi coetanei. Non si lamenta; sorride. Non saprebbe abdicare al suo sorriso marino e sovrano. Ma chi si ferma a questo, e non legge il sommerso di questo Veniero dell'anima che fuori è tanto gaio e dentro è strazio, dimentica che anche il fiore del mare su cui scherzano i bimbi dello zefiro, — di un'eruzione del suolo, e, dopo il frutto!... Lamaitre si ferma troppo al ritratto di Renan, nel suo taccuino di corsa. Faccia episcopale, succulenta, rabelaisiana, va bene! Ma chi è dentro, è il centro, e non volle Renan, e il tondo papa lo multò d'infamia, scongiurando l'immagine achei ropoiete di respingere la rovina dell'Anticristo, dalla città del dogma, la città tutta una mammella, dove il Vaticano ha ragione! A Roma, nel 1872, Renan scrisse l'ultimo volume delle Origini ( l'Anticristo ) fu ospitato da Cavour. Due origini si riconoscevano. L’origine d'Italia, improvvisamente laica, come il cielo sparato dalla breccia della murata difesa di Porta Pia; l'origine dell’anima dalla morte del dogma tutto un sonno. Dilettantismo, quello di Renan! Intendersi bene su questo! La parola è di Bourget nei suoi saggi. Da prima, Renan fu un filosofo industre, un adoratore della scienza sperimentale, religiosa del vero. Quando lo destituiron nel 1864, si doleva perchè la sua cattedra era non orazione e giaculatoria, era esame scientifico, matematica d'anima; dunque, non aveva scopo di disturbare coscienze, ma di dire il vero. Fin dal Collegio di Issy, i lavori di linguistica lo trattengono, insonne, dalla questione dell'ortodossia, che affronta, dopo. La tecnica preparata è l'esercizio su tema, che non sente, questi sono i suoi scogli. Tutti gli abati Duchesue, brava gente, si meravigliano in coro che un alunno cosi intelligente scriva cosi male! Non capiscono che c’è un coraggio invisibilissimo nel non procedere che da sè, distruggendo i piani, — e conosce assai bene, e ha ben marciti di azzurri tutti i versi delle metriche e i paragrafi delle stampe e gli alfabeti distrutti, chi dice, il raggio e fa il vestito tutta una verità con l'anima, non deponibile fuori... Il centro di Dio esplode in mondo, ma non ritorna, questo, dall'origine, se non per perdersi fuori, in capostorni ed in lussurie di terre, che i cavalli di Giobbe col boccone divorano e non giungono il centro, l'ho scritto. L’uno sta, certo, prima. E' centro. E dissolve ogni fuori. E, se esplode, spara tutte le grammatiche della natura gentile. Va bene, che quelle poi ricompongono l'origine in un organismo concreto. E il prete di Nemi che vuol disfare la lettera, se non provvede in tempo, muore giusto al quint’atto. Il dramma è di Renan.
Franco.