Il Baretti - Anno II, n. 10/Il Parnaso e Verlaine

Luca Pignato

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L'ottocento francese

IL PARNASO E VERLAINE

I quaderni del Parnasse cominciarono a pubblicarsi nel '66. La serie fu aperta, molto significativamente, dal Gauthier. Il romanticismo che nel 1830 era iniziativa di un cenacolo, ora è l’educazione di tutta una generazione. Hugo è diventato un mito, politico e letterario. «On était — dice il Lapelletier nel suo libro su Verlaine — plus hugolâtre en 1860 qu’après 1830. Les Contemplations nous semblaient la Bible même de la poésie».

Il Parnaso nasce come espressione di questa larga educazione, e fonde in una preoccupazione di compostezza formale tutte le influenze di un trentennio: Hugo, Leconte, Baudelaire, Gauthier, Banville.

Il mondo accademico, universitario, ha contestato al primo romanticismo il diritto di cittadinanza nella letteratura tradizionale, perchè esso era, dal punto di vista della forma, un caos. Non era un nuovo regime letterario. I parnassiani lavorano a formar questo. Nella compiutezza espressiva è implicita un’esigenza di realismo: dunque un certo superamento, rispetto al vasto sommovimento oggettivistico dell’Hugo, era la necessaria premessa del Parnaso. Le comedie del Dumas, i saggi del Taine, i romanzi di Flaubert avevano assolto questa funzione. Il nuovo romanticismo si avantaggia di cotesta esperienza.

E’ stato notato (1) che non c’è un poeta, sia pur mediocre, che non abbia dato saggi di squisita fattura al Parnasse: come nel periodo dell’Arcadia, poiché si lavora su elementi limitati, la perfezione è cosa facile, e attingibile da tutti. Il canone di questo periodo è la «pura bellezza» e il verso «che è tutto».

L’arte poetica del tempo consiste nell’adattare, con sapienza, i provvedimenti creativi dei predecessori, nel purificare il loro materiale, nell’accademizzare il più possibile. Nella scelta degli elementi non si bada: basta la lima. Ripulire è il segreto del successo.

I Poèmes Saturniens documentano questo aspetto, concreto e sostanziale, del Parnaso. Si va foggiando una lingua poetica, ricca, sinuosa, squisitamente plastica. Non si scrive più come nel 1830. E’ l’età d’oro della poesia francese: l’età in cui tutta la lingua diventò, nella poesia, oro. Non ci son più metalli vili. Il Sainte-Beuve ferma la sua attenzione su César Borgia, su La Mort de Philippe II: sono cristallizzazioni del mondo decorativo dell’Hugo e di Leconte de Lisle.

In quest’epoca Verlaine pensa a drammi storici su Carlo VI, su Louis V, e — ciò che dimostra l’affinità stretta del Parnaso con il verismo-scientifico — a un lavoro di argomento realistico... tipo Assomoir, come avverte il Lapelletier, che ne era il collaboratore.

Ma il Verlaine legge con troppa passione i Fleur du mal: qui trova una musica più sottile, accenni a leggerezze e suggestioni ritmiche nuove: e poiché egli, composto che sia il patrimonio parnassiano, vorrà risentirne gli echi e dissolverlo in puro suono, si ferma di più sul Baudelaire.

Il miscuglio fu avvertito dal terribile Barbey d’Aurevilly, che definì il Verlaine «un Baudelaire puritain, combinaison funèbrement drôlatique, sans le talent net de M. Baudelaire, avec des reflets de M. Hugo et d’Alfred de Musset, ici et là».

Abbiamo avvertito in alcune modulazioni baudelariane, il punto di attacco col Verlaine:

Mon enfant, ma soeur
Songe à la douceur
D’aller là-bas vivre ensemble!
Aimer à loisir
Aimer et mourir
Au pays qui te ressemble!

Molti accenti verlainiani ricordano questo Baudelaire rarefatto e sazio; e la musica del «pauvre Lelian» è anch’essa espressione di sazietà espressiva, per cui la parola trascorre nell’ineffabile e risente la tristezza di questa sua incapacità sostanziale.

Verlaine intravede la necessità di dissolvei il mondo parnassiano sin dall’inizio della sua opera. Egli segue ancora gli stretti precetti del trattato di versificazione di Teodoro de Banville: la rima ricca, la strofe elastica e sonante, e già contrappone la sfumatura ai vecchi valori visivi e plastici:

Pas la Couleur, rien que la Nuance! e un’esigenza musicale, vaga, indeterminata — ma pregna di novità — gli fa rigettare il «bijou d’un sou qui sonne creux», e che è la rima.

La giovinezza di Verlaine è l’indizio d’un’educazione letteraria generale, matura e per ciò stesso consumata. Il superamento è nei termini stessi di questa pienezza dei risultati della valutazione verbale romantica. Il canone d’impersonalità che si contrappone al sentimentalismo praticistico del 1830, e per obbedire al quale, con fervore giovanile, il Verlaine si preoccupava di pubblicare una poesia

Les petits ifs du cimitière


scritta in occasione della morte del padre, è l’impassibilità accademica realizzata: sarebbe fatica sprecata, la ricerca d’una vera e concreta oggettività e rappresentazione anche in questo primo Verlaine. La musica è esigua, è uscita non dall’intimo della poesia ma dai suoi temi; e, pur rivolta ad aspirazioni modeste, preannunzia le Romances sans paroles.

Les sanglots longs
des violons
de l'automne
blessent mon coeur
d’une langueur
monotone.

Qui si sa tutto: e il ritmo monotono, e il pianto per il ricordo del tempo antico.

Ma Verlaine non seppe mai il perchè della sua poesia: perchè era tristezza letteraria. Il suo mondo era fiabesco, idillico, estraneo alla sua consapevolezza, e più: alla sua grossolonità d’uomo tristo e miserevole. Egli sentiva sé diverso da quel sogno che la poesia gli andava foggiando, ed è in questa sentirla inafferrabile e indicibile, la qualità squisita della sua nostalgia e l’originalità del suo sentimento.

Quel perchè ch’egli si spiega nei Poèmes Saturniens si dissolve, attraverso la Bonne Chanson.

Quelle est celle langueur
Qui pénetre mon coeur?

La pura forma e il puro suono, al limite estremo della coscienza, sono un crepuscolo; e sono, in quanto espressione, e quindi spiritualità, l’idealità musicale. Con la tristezza che non viene da una concreta vita sentimentale. — spiegazione che pesa in alcune parti:

Tout suffoquant
Et blème, quand
Sonne l'heure.
Je me souviens
Des jours anciens
Et je pleure.


ma che ha origine nell’ineffabile, nell’ansia d’una interiorità che non celebra e resta soffocata:

C'est la pire peine
De ne savoir pourquoi
Sans amour et sans haine
Mon coeur a lant de peine!

Le Romances sans paroles esprimono integralmente il Verlaine che, dissolto il Parnasse e il suo oggettivismo, si è sperduto in una zona velata

... la chanson grise
Où l'Indécis au Précis se joint


e non può trapassare senza artifizio all’affermazione d’un pieno ed ardente soggettivismo. I contorni delle cose ch’egli vede son già fluidi, e l’evasione fiabesca compiuta con le Fêtes galantes è il segno della sola realizzazione possibile in un mondo verbale che ha perduto tutti i suoi appoggi. Sagesse ci offre gli elementi di una degenerazione oratoria e documenta uno sforzo — nel suo determinarsi autobiografico e drammatico — a uscire dalle Romances sans paroles. Quel che c’è di più vivo, è l’ingenuità grezza del poeta che vorrebbe riporsi un problema tutto nuovo e varcare le sue colonne d’Èrcole.

Sagesse è una contaminazione, e chi ci ha voluto vedere il capolavoro di Verlaine, è stato indubbiamente sedotto da un rispettabile desiderio di non lasciar fuori dalla storia del poeta un documento di religiosità, che è tuttavia estraneo al di lui mondo lirico. Il cielo di Verlaine è un cielo d’acquerello, e non l’espressione di un mondo redento.

Le ciel est, par-dessus le toit.
Si bleu, si calme!

Un arbre, par-dessus le toit.
Berce sa palme.

La cloche, dons le ciel qu’on voit
Doucement tinte.

Un oiseau, dans le ciel qu’on voit
Chante sa plainte.

Mon Dieu, mon Dieu, la vie est là,
Simple et tranquille.

Cette paisible rumeur - là
Vient de la ville.

— Qu’as-tu fait, ŏ toi que voilà
Pleurant sans cesse,

Dis, qu'as-tu fait, toi que voilà.
De la jeunesse.

I due Verlaine stanno attaccati con un filo esile, l’uno all’altro; quello delle Romances e quello di Sagesse: le prime tre strofe e la quarta; quello delle Fêtes galantes e quello di Mon Dieu m’a du. L’elemento fiabesco invade anche il cielo:

Je ris, je pleure, et c’est comme un appel aux armes
D’un clairon pour des champs de balaille où je vois
Des anges bleus et biancs portés sur des pavois.
Et ce clairon m’enlève...

Purificata dei suoi sforzi oratori. Sagesse si riduce agevolmente nelle sue parti vive alle Romances e alle Fêtes. Il Poeta talvolta si contenta di preludiare:

Ecoutez la chanson bien douce...
Qui ne pleure que pour vous plaire.
Elle est discrète, elle est légère:
Un frisson d’eau sur de la mousse!

Rime femminine, assonanze al mezzo, abbandono d’ogni concretezza espressiva. Gli accordi sono deliziosi e non dicono nulla. Si aspetta la musica che talvolta, come in questo capo, non viene.

Ma la saggezza di Luigi Racine (le lezioni di Rollin, il tramonto del gran secolo, le cuffie di lino della Maintenon, poeta e dottore che servono la messa e cantano gli uffizi, e a primavera se ne vanno a cogliere rose nelle Auteils...), essa ci riporta alle Fêtes galantes; ed è la sola saggezza, che liricamente — e purtroppo anche come uomo — il Verlaine potesse attingere. Amour vorrebbe epicizzare il mondo di Sagesse, in alcuni aspetti, ma è, al più, di esso un modesto sbocco letterario. Grande poeta dell’anima (2), il Verlaine non fu e non poteva essere. (L’involuzione fu la conseguenza logica di questa saggezza impossibile. Il Saggio, fatto prudente all’infinito, sciupato in qualche pagina polemica, ritorna a «seguire la canzone del vento», se vuol ritornare poeta; e «preferisce i paesaggi alla civiltà» incomprensibile: un po’ come rifarsi parnassiano. Sono le pagine belle di Sagesse:

Le son du cor s'afflige vers le bois


e il lupo che piange in questa voce, la neve, il tramonto sanguigno, l’aria che è così dolce da parere un sospiro d’autunno, e il paesaggio che si assopisce. Notazioni che si sciolgono in respiri; impressionismo. Appunto l’impressionismo — nella pittura, nella musica, — com’è stato notato — è la dissoluzione intima della forma che cerca in sé i modi di una rinnovazione e un valore pienamente lirico.

«L’alchimia della parola», come la dirà il Rimbaud, scoppia in seno al Parnasse e all’impressionismo, come l’estetica naturale e significativa, di una situazione che non poteva prescindere da un’esigenza normativa. Un ventennio si è maturato in questa esperienza formale, dal 1866 al 1886. e l’educazione romantica si è risolta in una educazione parnassiana. L’idea che il linguaggio è tutto, è diventata generale in quest’epoca. La pittura cerca di rimuoversi con effetti di colore che mantengono i termini oggettivi anteriori; restano le cose, basterà sfumarle, arricchirle di aloni, sinfonizzare i toni. La musica discioglie il vagnerismo nei mezzi toni, nelle dissonanze, nelle descrizioni verlainiane ricche di sofficità e di ombre. L’interiorità che è esigenza di creazione, non è sentita. Anche Zola fa nel bel mezzo del suo mercato la sinfonia del pizzicagnolo.

Baudelaire aveva detto nelle sue Correspondances che i profumi, i colori e i nomi si rispondono. Wagner aveva predicato l’unità delle arti: la somma dei loro effetti. Un poeta, P. N. Roinard è così persuaso di ciò che prepara e dà al teatro d’Arte una rappresentazione del Cantico dei Cantici, dove poesia, decorazioni e profumi vaporizzati nella sala debbono provocare una concordanza perfetta. Ma l’odor dei gigli, distillati dalle labbra dell’amica di Salomone, fu così violento che il pubblico si sentì turbato! (3). Il realismo oggettivistico aiuta questa mentalità, la sorregge. Un poeta René Ghil, stende un trattato di «strumentazione verbale» che diventa celebre. Il sonetto sulle vocali di Rimbaud

A noir, E blanc, Irouge, U vert, O bleu, voyelles


non può più bastare. Si tratta di una poesia scientifica, ora. I parnassiani stringono la mano ai veristi. Ghil rifà Zola. Una correlazione che era in re. Adesso bisogna accordarsi con la scienza, farne «la base di coscienza, da cui sprigionarsi l’emozione poetica reale, perchè la sola di senso universale». «In una frase passerà la musica della Vita: musica di sapori, di colori, di rumori».

Il romanticismo che ha rinnegato l’oggetto concreto del mondo classico, attraverso il Parnasse è giunto all’idolatria dell’oggetto astratto.

Un conflitto deve scoppiare tra la spirito e la cosa in sè divinizzata, tra la poesia e il «linguaggio in sè».

Questo conflitto ha nome Mallarmé.

Luca Pignato.

  1. P. Bourget - L’esthètique du Parnasse in Etudes et portraits. p. 249.
  2. René Calon - Histoire de la litterature contemporaine, p. 206.
  3. R. De Oourmont - Promenades literaires, quattriéme serie, p. 50.