Iberia/V
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Molti e molti anni dopo il dramma senza data che or finimmo di raccontare, sorgeranno in Ispagna questi avvenimenti:
Un poeta si ricorderà dell’anno 613, quando il re Egica, prosternato colla faccia a terra davanti i vescovi cattolici, si senti sulla nuca premere le calcagna di quei santi.
Un altro poeta si ricorderà dell’anno 730, quando l’Oriente calò sull’Iberia con tutte le sue mollezze e con tutte le sue pestilenze.
Un altro poeta si ricorderà dell’anno 1578, quando l'invincibile armada fu distrutta dal mare, cioè da Dio.
Un altro poeta si ricorderà dell’anno 1879, e un altro si ricorderà anche dell’augusto secolo presente, e sorgerà per la Spagna intera un forte ed armonioso ridestamento d’idee.
S’alzerà un filosofo che parlerà così alle turbe raunate nei giardini di Madrid:
"Spagnuoli! Un cieco istinto di sommissione verso i troni e verso la Chiesa fu il peccato mortale della nostra razza. Noi abbiamo sonnecchiato sei secoli nel culto delle fedi antiche. Guardate com’è già lontana da noi la spira luminosa del progresso.
"Fin dalle prime aurore del 1500 cominciò in Europa l’assalto contro gli errori e i pregiudizi degli avi.
"Mentre l’intelletto umano compiva atti prodigiosi, mentre le scoperte s’accumulavano su tutti i punti dell’orizzonte mercé la indomabile energia del progresso, la Spagna continuava a dormire, impassibile, incurante, vanagloriosa, sull’estremo punto d’Europa, incarnazione letargica del Medio Evo...".
E allora la turba briaca non aspetterà la conclusione del discorso e si getterà a capo chino, come il toro dell’anfiteatro, in una corsa furibonda e feroce. E il severo filosofo rimarrà solo, mesto, deluso, a fronte dell’Idea.
La turba irruente, colla bava dei torrenti alla bocca, armata di scuri e di pugnali, salirà alla devastazione dei troni.
Allora, un truce, un vecchio assassino si ricorderà alla sua volta che sull’alto d’una certa montagna d’Estremadura s’era rifugiata una razza di re discendenti da Urraca di Castiglia.
La turba correrà alla montagna, assalirà gli spaldi, troverà lo scheletro d’un cavallo legato sulla cui gualdrappa si potrà ancora vedere lo stemma castigliano. La turba colle picche in pugno salirà le scale, demente, furente; cercherà nei penetrali più remoti del castello le tracce dei figliuoli dei re.
Finalmente giungerà all’oratorio, spalancherà la porta, invaderà quel tenebroso asilo di preganti, che sarà ad un tratto rischiarato dalle torve faci della rivolta.
Allora appariranno agli sguardi della turba due figure di re, coronate e coperte di porpora e abbracciate l’una all’altra come nello sgomento e nell’amore.
Un rosso demagogo toglierà loro dal capo le corone e palperà loro la testa; poi dirà alla plebe impaziente:
"Gettate pur le mannaie; costoro sono morti da mezzo secolo."
FINE.