I suicidi di Parigi/Episodio primo/XIII
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XIII.
Il giornale del segugio.
La sera, egli covava sua moglie di uno sguardo di desiderio ineffabile.
Giammai e’ non l’aveva trovata così bella. E’ ripentivasi della vigliaccheria di averla sospettata. E’ voleva quasi confessare il suo errore e dimandarle perdono. La prese fra le sue braccia. L’assise sulle sue ginocchia. Le baciò la punta delle dita.
— To’ il bel braccialetto che tu ài lì! — le disse egli. Io ignorava che tu avessi quel gioiello.
— Infatti, è lo zio che mel regalò ieri — ed io obliai mostrartelo.
Sergio ringuainò la confessione espansiva ch’era sul punto di farle, e parlò d’altro.
Sergio aveva compreso che per giudicare la condotta di sua moglie con un po’ d’insieme non bisognava fermarsi ad un sol giorno della vita di lei, ma sorvegliarla per parecchi dì. Laonde, egli aveva pagato per cinque giorni, dicendo a madama Goupil, che andrebbe a prender egli stesso il giornale, o piuttosto il cartolare dell’investigamento.
Vi andò infatti al quinto giorno.
Madama Goupil gli rimise il quadernetto seguente:
«Primo giorno.
«La signora Sergio di Linsac — Sergio non le aveva mica detto il nome — è uscita a mezzodì e cinque minuti. È scesa a piedi per la via Blanche: à parlato con un signore decorato nella Chaussée d’Antin per due o tre minuti, ed è entrata nel negozio della Glaneuse. All’una e mezzo, à traversato i boulevards ed è entrata da Janisset, ove la ànno mostrato dei gioielli. À comprato qualcosa ed è uscita. Quivi à preso una vettura e si è recata dalla contessa di Boisbruns, via di Verneuil, n. 17. Riescita alle quattro e mezzo, à traversato il giardino delle Tuileries a piedi, ove à parlato ancora per cinque minuti con un giovane biondo a barba rossiccia. In seguito per la via della Paix — ove à ordinato qualcosa da Cuvillier — e per la via Caumartin, ella è rientrata in casa, via di Boulogne. Madama di Linsac aveva un abito color castagno chiaro, un Cachemire, un cappello di velluto nero. Non uscita nella sera, fino a mezzanotte.
«Secondo giorno.
«Madama è uscita all’una. Vestiva un abito di moire antico nero, cappellino lilas coverto di un velo nero. À preso una vettura di rimessa giù nella via di Clichy, che l’à condotta alla piazza della Concorde. À pagato ed è passeggiato a piedi per i Champs Elysées, viale Gabriel, fino alla porta dei giardino dell’ambasciata inglese.
«Un cocchiere, sur un coupé, aspettava. Madama à detto un motto. Il cocchiere si è precipitato di predella; à aperto lo sportello. Madama è entrata nel coupé, e sono partiti.
«Madama aveva bassato il velo. Al n. 97 della via di Amsterdam, il cocchiere à dato voce al portinaio. La porta si è aperta. La vettura è entrata. La porta si è rinchiusa, e la signora non è più uscita. Quella palazzina appartiene al principe di Lavandall. Alle cinque e mezzo, una vettura è uscita, portando via un signore solo. La dama è rimasta, se tuttavia non è uscita da un altro lato. La palazzina deve avere due uscite.
«Terzo giorno.
«La signora è sortita dal suo châlet alle nove meno un quarto. À preso un fiacre di rimessa ed è andata dal dottore di Nubo, via di Lille, n. 31. Alle dieci e mezzo è partita di là, à preso un’altra vettura ed è tornata a casa. Molti signori venuti in visita dalle tre alle cinque.
«Quarto giorno.
«Identicamente come il secondo giorno. Solo, il cocchiere del viale Gabriel l’à riconosciuta e le à aperto lo sportello senza dimandare il motto di passo.
«Quinto giorno.
«Uscita alle due, in veste bleue chiaro, à volants, cappello di peluche bleue, mantello di velluto nero. Una vettura, alla via Blanche. Comprato dei fiori, alla Chaussée d’Antin. Poi, come al secondo ed al quarto giorno, è andata al n. 97 nella via d’Amsterdam. È restata quivi. Alle sei, il coupè à portato via lo stesso signore — che è il principe Alessandro di Lavandall. La palazzina à un’altra uscita nella via di Clichy, n. 69.»
Leggendo questo infernale processo verbale, Sergio divenne eccessivamente pallido: e’ si sentiva svenire. Lo rilesse, per avere il tempo di rimettersi.
Avrebbe voluto parlare all’agente che aveva seguito sua moglie, per volgergli mille quistioni sul portamento e l’aria di lei; informarsi se l’era gaia, se l’era sollecita, se sembrava abbattuta, ed altro, ed altro ancora. L’agente non era lì. E d’altronde, per sistema, madama Goupil nol metteva giammai in confronto con i suoi clienti, onde scansare i disordini possibili, cui una conoscenza reciproca poteva poscia occasionare.
Sergio pagò le spese straordinarie ed andò via.
Ne sapeva già abbastanza. Tre volte, in cinque giorni, dal principe di Lavandall, in quella palazzina cui tutta Parigi denunziava come il Parc-aux-Cerfs di sua Eccellenza!
Quando rientrò, all’una del mattino, egli andò ad abbracciare sua moglie, come di uso, ma non fermossi a lungo nella camera di lei. Pretestò un furioso mal di capo per andare a riposare nella sua propria stanza. Pertanto, non coricossi. Passeggiò la notte intera.
Egli giudicava sua moglie!
Alle cinque del mattino, agghiadato a mezzo, Sergio si annicchiò sotto le coverte. Ma il sonno non venne. Nondimanco, egli era calmo oggimai. Aveva preso una risoluzione. Dopo colazione, uscì. Voleva andare ad ispezionare personalmente i luoghi. Voleva, in seguito, prendere un fiacre; rinchiudervisi; bassar le tendinelle; appostarsi in faccia alla palazzina del principe. Passando nella strada, osservò che l’atelier di un pittore suo amico sporgeva proprio sul piccolo giardino che precede la porta interna della dimora del principe — tra giardino e stufa — di guisa che, restando a sentinella nell’atelier, egli poteva vedere tutto ciò che avveniva nella palazzina.
Salì dal suo amico.
Poi, parlando sempre, aprì la finestra dell’atelier e si assicurò ch’aveva ben giudicato della topografia del luogo. S’installò allora vicino la finestra ed allontanò un piccolo lembo di tela verde che figurava da bandinella e temperava la luce. Di questo modo, egli potè vedere liberamente di fuori senza esser visto. Chiacchierò molto col suo amico, mascherato dal cavalletto, e restò in agguato. Ad ogni strepito di carrozza, volgeva il capo dal lato della via.
Alle due, una superba vettura a due cavalli si fermò innanzi la palazzina, li cocchiere vociò: la vettura entrò nel giardino. E Sergio vide il principe, cui conosceva di vista, discendere sotto la marquise.
Mezz’ora dopo, giunse un coupè. Il cocchiere appellò pure: la porta si riaprì; si rinchiuse tosto. E Sergio scorse una dama, celata da un denso velo, saltar fuori d’un lancio, e d’un lancio spiccarsi nella palazzina.
La dama portava un abito verde scuro a strisce nere, un grande sciallo, un cappello nero.
E’ riconobbe sua moglie.
Scambiò ancora qualche parola col suo amico, e ritirossi.
Aspettò Regina, che rientrò alle cinque e mezzo, a piedi, portando lo stesso vestimento della dama della palazzina del principe Alessandro di Lavandall.
— Tu sei incantevole, in quella toilette! — le diss’egli con un sorriso.
— N’è vero, amico mio? La trovan tutti elegante.
— Dove sei stata, ma chèrie?
— O’ fatto un giro pel Bois de Boulogne poi ò passeggiato dieci minuti per i Champs Elysées, e rientro a piedi.
— Chi ài incontrato?
— Molta gente e niuno... Ah! il re.
— Decisamente, andrai tu al ballo delle Tuileries?
— Non ne so nulla, a fè. Credo però che non androvvi. Tu porti il broncio; e me ne vorrebbero forte, al Faubourg.
— Tieni tu tanto all’opinione del Faubourg?
— Mah! l’è il tribunale del mondo elegante di Europa.
— E che si dice, al proposito, di questo conte portoghese che à ucciso sua moglie, perchè innaspava delle relazioni col suo cocchiere?
— Ch’egli è stato uno sciocco...
— Come mo’?
— Di esservisi preso di maniera da compromettersi con la giustizia.
— Ah! il delitto, per un certo mondo, non è dunque che un affare di stile?
— Orbè! la legge stessa non ammette le circostanze attenuanti?
— Veggo bene, diletta mia, che tu ti risenti della ricrudescenza dell’amicizia per tuo zio.
— Via, Sergio, tu ài torto di non amare mio zio. Egli è migliore di ciò che tu penai.
— L’è possibile. Ma in compenso, tu l’ami per due... e mi rubi.
— Saresti tu geloso?
— M’ami tu dunque sempre, ma mie?
Regina si alzò, cacciò le sue dita tra i capelli di suo marito, scartò le ciocche dalla fronte e la baciò dicendo:
— Più che giammai.
Ella uscì.
Sergio la seguì degli occhi, aggrottando terribilmente le sopracciglia, e sclamò lentamente:
— Se avessi potuto dubitare ancora, questa parola sarebbe bastata per condannarla. Ella morrà.
Infatti, le donne infedeli raddoppiano gli attestati di amore e carezzano più teneramente coloro cui tradiscono. Ma Regina non mentiva. Ella amava suo marito.