I suicidi di Parigi/Episodio primo/V

Episodio primo - V. Il conte Gennaro di Nubo

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V.

Il conte Gennaro di Nubo.

Il conte Gennaro di Nubo era il fratello cadetto del fu principe di Nubo di Napoli.

Questa famiglia aveva accettato con entusiasmo le idee repubblicane nel 1799. Aveva poi accolto i conquistatori francesi come liberatori e fratelli. Al reintegramento dei Borboni, quelli della famiglia di Nubo, che non perirono sul palco, furono sterminati dai briganti del cardinal Ruffo. I loro beni furono confiscati; il loro nome, devoluto all’infamia. Due individui però sfuggirono a questo massacro: una bambina, allora a nutrice e che poco dopo morì — Maria Luisa Paolina; ed il conte Gennaro.

Questi aveva previsto che cosa era per avvenire. Avendo dunque scongiurato inutilmente il suo fratello primogenito di espatriare con lui, e’ precedè i francesi — i quali quinci a poco abbandonarono Napoli ed andò a fissarsi a Parigi.

Il conte Gennaro era stato l’allievo, l’amico del famoso dottore Cirillo — il quale, pur egli morì sul patibolo — e che era stato medico della madre del conte... e forse anche altra cosa. Il dottore Cirillo amò il fanciullo; di guisa che, all’età in cui gli altri garzoncelli affogano nella fasce della grammatica greca e latina, sotto la guardia di un gesuita, Gennaro sfogliava le aiuole fiorite della fisiologia e della fisica, ripiene di tante attrattive vaghezze. Giovane ancora, egli si librava di già nelle regioni le più elevate delle scienze naturali.

A Parigi, poi, il conte Gennaro s’invaghì degli studii medicali, trovandosi in contatto con i grandi spiriti della Francia dell’epoca — che era ancora la Francia dell’Enciclopedia e di Voltaire. Infine, e’ prese servigio, come [p. 31 modifica]medico, negli eserciti dell’Impero e seguì la stella di Napoleone, a traverso l’Europa.

Le meditazioni scientifiche non avevano che di poco repressa la sua immaginazione, dalle lunghe e vaghe penne. Ecco perchè, i drammi commoventi, le vicessitudini, l’inaspettato dei campi di battaglia, lo affascinarono al punto, che, potendo per il suo sapere percorrere la carriera civile e pur quella dell’insegnamento, e’ preferì l’agitazione, il subitaneo, il periglioso della vita militare.

E’ dilettavasi sorprendere, colle sue osservazioni sempre un cotal poco sarcastiche, la natura presa alla sprovvista, in tutta la brutalità delle fasi differenti delle battaglie. Egli piacevasi a smussare i suoi sentimenti, la sua sensibilità istintiva, ad atrofizzare la sua anima. Egli erasi persuaso, che bisognava fare una grossa parte al cervello, a spese del cuore, se voleva riescire — in un’epoca in cui la forza fisica governava l’Europa e serviva di regola alle coscienze. Egli pesava i corollari inevitabili del sistema napoleonico: il culto dell’interesse; l’anatema dello spirito; l’annientamento completo di quantunque aveva rapporto con l’ordine morale dell’umanità... E non ne ripugnava.

Infatti, da quel punto, l’uomo non fu più per il dottor di Nubo altra cosa che un subietto a studio, un obietto a traffico. E’ non stimollo più; non amollò più; non lo credè più. Lo commerciò, l’exploita. Divenne quindi scettico. Non trovò più nulla di attivo nè nella sua scienza, nè nella sua coscienza: non più fede di sorta, neppur quella del calcolo — il quale, in realtà, è pur esso una specie di fede ragionata. E’ servivasi degli uomini come di materiali, e considerò le azioni umane come dei segni senza valore intrinseco, di cui si classificava la natura arbitrariamente, secondo la contrada, la latitudine, i secoli, la civiltà — : qui delitto, là deificamento! — E per conseguenza, non vizio, non virtù, non delitto, neppure azioni buone o perverse nella loro propria essenza. Tutto codesto non gli sembrava che una leva di convenzione per agitare il mondo. I nomi potevano esser diversi; l’efficienza era la medesima.

Il conte di Nubo amò le donne con veemenza — ma credendole e stimandole anche meno degli uomini. Egli le [p. 32 modifica]amò dei sensi e del cervello; giammai del cuore. Ed ecco perchè non commise mai sciocchezze, a causa di passione. La donna, secondo lui, rappresentava in società l’ufficio della moneta nel commercio: era un segno mediante il quale si scambiano i servigi sociali — lo scopo, l’intermediario, il salario di tutta la vita. Desiderò dunque la donna, se ne inebbriò, e la spese assolutamente come un pezzo d’oro. La ricevè, valutandone la somma di piaceri che la conteneva; la lasciò, senza rimpianti; la barattò, all’occorrenza.

Non avendo alcuna convinzione, non avendo alcuna tendenza elevata, il conte Gennaro di Nubo non poteva avere alcuna fissità nella vita. Era un eterno viaggiatore annoiato oramai di viaggi, stanco, spossato dal lavoro, dall’età, dalla sazietà. Cominciava perciò a sentire il bisogno di riposo. Ma e’ non aveva trovato ancora nè il ramo, nè la nicchia dove avesse a riposare. Gli mancava quella calma dell’anima che addimandasi confidenza — senza la quale non vi è amicizia, senza la quale non vi è amore, nè famiglia possibili.

Egli spezzava la corrente magnetica che affluiva verso di lui. La sua potente intelligenza abbracciava e vedeva tutto; ma era il polo negativo contro il quale le fascinazioni della vita andavano ad infrangersi. Egli analizzava le tenerezze; indovinava le affezioni, come roba da chimica; e l’incantesimo si dissipava.

Sentendosi per il suo forte organismo della specie dei divoranti — come il leone, l’aquila, il boa — e’ non ebbe più mercè per i deboli. L’istinto è la fatalità degli esseri organizzati; e’ gli lasciò libero corso. Le vittime non lo commovevano più. Lo stesso delitto punto non l’arrestava. Ma la distruzione sgustollo alla fine, e lo usò.

E’ provò allora, nella sua coscienza crepuscolare, una specie d’inquietudine che si avrebbe potuto dire un dubbio. Fece sosta un istante, misurando di uno sguardo l’orizzonte intorno intorno, onde orientarsi ed assicurarsi della via. Poi si rimise in cammino.

— A che pro’ derogare? — pensava egli — La linea retta non è la linea della natura. La linea retta è la più lunga, è la più monotona. La natura ama la curva. Se l’uomo segue dunque la linea della natura — e quella [p. 33 modifica]della bomba — di chi la colpa? Se tale è il suo spirito, perchè pervertirlo? se Dio è che gl’infligge questa direzione, perchè contrariarlo? perchè cangiarlo? L’uomo rettilineo fu in ogni tempo l’uomo sciocco — anche quando se ne fece un Dio!

Ed il dottore studiava il procedere di Napoleone e di Pitt, che, andando entrambi per vie oblique, riescirono all’antitesi: l’uno divenne Imperatore, l’altro rovesciò l’Impero.

Questa vita di allerta necessitava naturalmente un consumo enorme di attività vitale e di energia. Perpetuamente a l’agguato, come gli animali carnivori, questa caccia al debole, questa battuta ai gonzi — che avevan durato circa trent’anni — avevano infine perduto per lui ogni interesse, ogni vaghezza. Non si vive a lungo in una regione elevata senza provar la vertigine ed il malessere.

E l’era proprio la posizione cui il dottore di Nubo occupava in società. E’ si librava sull’ordine sociale. E’ guardava dall’alto in basso le idee, i principii, i pregiudizii, le passioni, gl’interessi, quali, per una convenzione tacita, li si erano stabiliti ed accettati.

Arrogesi a ciò, che quella vita di uccellatore non lo aveva punto arricchito.

Il dottore spendeva con una prodigalità reale. Ora, per soddisfare a questi gusti assorbenti, occorreva una fortuna di Nabab. E’ guadagnava certo, moltissimo, per tutti i mezzi; ma la ricchezza non faceva che traversar le sue mani.

In questa situazione di spirito, in questa posizione sociale, il dottore erasi più di una fiata dimandato:

— «Che addiverrò io nella vecchiaia, quando le mie forze saranno paralizzate, e la mia intelligenza sarà presso a poco ossificata?»

Inclinato al fatalismo, e’ si fermò poco su questa considerazione. Ma dessa ritornava e ritornava poi inesorabile, ed accampava nel suo spirito con altrettanta e maggior persistenza che l’età sua avanzava; che i suoi proventi si assottigliavano; che le sue morali facoltà perdevano della loro sofficità e del loro rimbalzo. Inoltre, i dubbii cumulati poco a poco, goccia a goccia, sul suo conto, cominciavano adesso a pigliar forma, sostanza, ed il carattere di sospetto. [p. 34 modifica]

E’ ritrovavasi precisamente nel parossismo di questa preoccupazione quando vide la gitanina, sulla piazza di Nicastro.

Il dottore insegnava che il pensiero nasce nella polpa grigia del cervello come il fiore dalla terra, e che l’impressione esterna teneva luogo di semenza. Ora, la vita della zingarella; le inquietudini sul suo avvenire; il suo stato di afflievolimento; il disgusto della sua vita equivoca... s’incrociarono nel suo spirito, si compenetrarono a vicenda, formarono una mischianza tenebrosa, informe, nella quale lungo lungo la via, e’ non vide, non comprese assolutamente nulla. Arrivò così alla vetta della montagna di Nicastro.

Che la dottrina del dottore fosse buona o cattiva — ed è pur la nostra — chi à mai scandagliato a che tiene lo zampillar del pensiero, ove allogasi la sede della vita? Ciò che certo è, gli è che l’abbarbagliante lamina di oro — cui, di lontano, il sole ripercosso dal mare fece scintillare ai suoi occhi — dissipò come per incanto il caos ammonticchiato nel suo spirito, ed un’idea lo colpì.

Di un lampo, egli percorse ed acciuffò il suo avvenire; formolò un progetto.

Diede l’ordine di tornare a Nicastro. Ma allo scander misurato del passo del suo cavallo, gli avvenimenti, o, per meglio dire, i disegni, si svilupparono nella sua mente.

— Io sono vecchio — pensava egli. Fra non guari non sarò più in istato di lottare, e meno ancora di spezzare la stolida corrente della società quale essa è. Sono solo. Quando non sarò più forte abbastanza per tenermi in piedi e fuori la portata della folla, io cadrò. Ed altri, che procedono di già sulle mie piste, passeranno sul mio corpo. La miseria, l’umiliazione, forse il castigo, si rovesceranno su me. Io ò bisogno di lusso. O’ abitudini di benessere che esigono una spesa enorme, e quindi dei guadagni eccessivi. Il delitto, l’imbecillità, le passioni, e gl’interessi degli altri àn provveduto fin qui alla mia esistenza. Li ò trafficati e taglieggiati, tenendomi in guardia ed imponendomi quando invitato non ero. Poichè dessi vivevano nel male e del male, che io mi fossi angelo o demone, avevano a subirmi...

Il conte si fermò un istante sul passato. Poi la sua meditazione si slanciò sulle onde dell’avvenire. [p. 35 modifica]

— Fra poco — pensava egli — io non potrò più nulla di tutto ciò, e chi sa? Per una monelleria della provvidenza — come essi la chiamano — lo schifo, sì abilmente condotto per trent’anni, potrebbe naufragare alla fine su quella spiaggia inetta e goffa che si addimanda la polizia correzionale o le Assisi... Fermiamoci a tempo. D’altronde, proviamo un po’ dell’altra linea — di quella che addimandasi retta, perchè tutta la plebe la segue più o meno, e perchè il Codice l’à autorizzata, la religione l’à consacrata. Perchè no? Con l’abilità di un jockey abituato alla corsa sur un cammino accidentato, la corsa sur una via piana potrebbe essere, egualmente profittevole. Ma, ad ogni modo, è mestieri munirsi di un parafulmine e di un paracadute, per qualunque cosa possa arrivare. Quella piccola zingara, la di cui bellezza si annunzia con tante promesse, potrebbe contenere la mia salvezza. Le darò un’educazione brillante e spigliata; le aprirò tutte le porte del gran mondo di Parigi; sarò un mistero per coloro che vorranno scandagliare le mie dovizie... Sia dunque per le speranze che si allogheranno sulla mia successione — speranze cui raddoppierò in raddoppiando di lusso; sia per l’abbagliante bellezza della fanciulla, ella si mariterà riccamente... o soccomberà come una regina. Allora finchè lo potrò, seguirò la mia via. Quando poi sarò stanco, quando il pericolo sarà sicuro, io avrò il mio piccolo nido assicurato nei di lei penati — il mio Hôtel des Invalides — prima del suicidio. Perocchè, se ella guazza fra i milioni, potrei io morire all’ospedale, o avvelenarmi?... I creditori, avendo a traversare i cortili di un palazzo circondato da giardini e popolati di servi, divengono trattabili. Le diffidenze si spunteranno, quando mi si saprà coverto della corazza d’oro di mia nipote.

Questo progetto, materiale, volgare, sviluppato e seguìto in tutt’i suoi dettagli, spinto fino alle conseguenze le più remote dell’abiezione, dell’egoismo, della bassezza, del delitto, fermentò nello spirito del dottore.

E’ lo mise poi in atto, circondandolo di tutte le precauzioni e di tutte le attrattive che dovevano farlo riescire.

Regina rispose a tutto, meravigliosamente. La macchina del conte di Nubo funzionò superbamente. Ella attirò tutti gli sguardi; svegliò tutte le avidità le più sfrenate. Regina [p. 36 modifica]ebbe un successo di voga nel mondo: fu alla moda, fu la lionne della stagione. Gli amorazzi, gli amoretti, le seduzioni, le tentazioni, le dimande in matrimonio piovvero a catinelle.

Il dottore restò saldo.

Regina però aveva indovinato lo scopo del suo allevatore, e con una certa leggerezza calcolata, gaissima d’altronde, glie lo aveva sviluppato un giorno in cui il suo pseudozio mostravasi un pochino più espansivo del consueto. Ella faceva vista, pertanto, di accomodarsi con docilità alla condotta del suo cornac — lo chiamava di questo nome — si lasciò pilotare, e si promise di giungere al porto con lui, combinando le sue proprie aspirazioni con i calcoli del suo exploiteur.

Il conte di Nubo credè avere alla fine trovato il suo desideratum nella persona di Alberto Dehal, il banchiere svedese. Egli analizzò la fortuna del giovane alla lente d’ingrandimento, per suo proprio conto. In seguito, scoprì che Alberto, oltre i milioni, possedeva uno spirito meditativo, poetico, un po’ vaneggiatore, ma colto e fino, un aspetto distintissimo, ed amava Regina alla follia. Con delle condizioni simili, il matrimonio fu subito abborracciato.

Quando tutto fu definitivamente stabilito, il dottore significò il suo piano alla fidanzata.

Regina si sentì profondamente ferita dai procedimenti del conte. Si tacque nonpertanto. Fece anzi sembiante di annuire. Però, nel suo foro interno giurò di liberarsi a proposito.

Noi abbiam già visto ch’ella non vi mancò. E sappiamo ch’ella corre adesso sulla strada d’Inghilterra — non per le messaggerie, ove il dottore avrebbe potuto farla arrestare per telegrafo e dove si sarebbe trovata mista ad un mondo eccessivamente importuno nella sua situazione, ma in una bella sedia da posta, mollemente cullata nelle nuvole d’oro dell’amore.

Sergio erasi fatto precedere da un corriere per preparargli i cavalli da rilievo.


All’ora stessa, il dottore di Nubo, il quale aveva ripreso [p. 37 modifica]tutta la sua calma e si era rassegnato, leggeva al club la lettera di madama Augusta Thibault. E poco dopo, recavasi da lei.