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tutta la sua calma e si era rassegnato, leggeva al club la lettera di madama Augusta Thibault. E poco dopo, recavasi da lei.


VI.

Le consolazioni che non consolano.

La bella vedova giaceva distesa sur una dormeuse, nel suo boudoir, in négligé di mattino, quantunque fossero già le 9 della sera. Ella aveva interdetto la sua porta a tutt’i suoi amici ed aspettava il dottore con impazienza.

Di Nubo tamburinò carezzevolmente sulle belle guance della cameriera che gli aprì la porta del salone e le fe’ segno di ritirarsi. E’ penetrò in seguito nel boudoir, e baciò la sua amica.

— Ebbene, ch’avete voi dunque, bella incantatrice? — dimandò egli. Un novello accidente di maternità contrariata, eh?

— Dottore — disse Augusta con umore — io non ò il capo a scherzi quest’oggi. Abbiatevelo per detto.

— Benissimo — replicò il dottore — E’ non si tratta mica dunque della fine di un imprudente oblio, di un...

— Basta, via...

— Allora, si tratterebbe egli forse di un principio di....

— Ah! voi siete incorreggibile.

— A meraviglia. Non abbiam dunque nè un principio, nè una fine. Tastiamo altra cosa.

— Fatela finita, su! Io sono ammalata.

— Oh! Io vorrei bene veder codesto, veh! che voi disponghiate del vostro corpo per una così villana bisogna — la malattia!

— Ciò è, pertanto.

— In questo caso... quanto codesto vi rende? — domandò il dottore sorridendo.

— Voi mi seccate. Andate pur via.

— Sareste voi dunque ammalata per bene?

— Voi nol vedete, eh?