I racconti della Bibliotechina Aurea Illustrata/Un eroe del mare

Un eroe del mare

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I Robinson del Golfo del Messico

UN EROE DEL MARE


Lo chiamavano mastro Nicola: da dove provenisse, quale altro nome avesse, dove fosse nato, né io, né altri, mai fummo capaci di saperlo. Si buccinava perfino dai marinai, che egli fosse nato in fondo al mare; che questa fosse una fola, non occorre che ve lo dica.

L'avevo conosciuto in non so quale parte dell'India o della Malesia e si era imbarcato con noi.

Era un uomo muscoloso, né giovane né vecchio, con la pelle molto scura, con una barba lunghissima ed arruffata, che forse mai aveva fatta la conoscenza col rasoio d'un barbiere qualunque; aveva poi una capigliatura foltissima e due occhi neri come carbone e che avevano, certe volte, dei lampi da far paura.

Non parlava mai, se non per dare qualche comando ai gabbieri e perciò nessuno aveva potuto sapere chi egli fosse.

Forse il solo capitano ne sapeva qualche cosa, però non aveva voluto soddisfare la nostra curiosità. Quale ne fosse il motivo, io l'ho sempre ignorato, almeno per conto mio.

Che marinaio puro, fanciulli miei, era quel mastro Nicola! Quando la burrasca sconvolgeva l'oceano ed il vento sibilava orrendamente fra l'attrezzatura, sbatacchiando le vele ed i pennoni, quando le oscillazioni della nave rendevano estremamente difficile la salita sugli ultimi pennoni di pappafico o di contropappafico, mastro Nicola non aveva paura.

Sereno, tranquillo, sicuro di sé, andava a sfidare audacemente la morte, spingendosi fino sui più alti pennoni coll'agilità di un gatto: ammirazione dei passeggieri, dei marinai e dei più lesti gabbieri.

Il vento lo sbatteva contro i paterazzi, le folgori scherzavano attorno a lui, le improvvise scosse della nave lo facevano traballare, eppure non cadeva, né mostrava di spaventarsi.

E forse appunto per questo i marinai, gente molto superstiziosa, si erano messi in capo che egli fosse un figlio delle tempeste, uno spirito diabolico, un genio del mare e chi più ne aveva, più ne metteva.

Eravamo partiti da Canton, una grande città della Cina meridionale, abitata da quegli uomini giallastri che portano la coda.

Fra le meraviglie, Canton possiede una cittadella formata da battelli ancorati su un gran fiume e che servono di abitazione a parecchie migliaia di famiglie.

La nostra destinazione era Batavia, un'altra città molto ricca e popolosa, situata sulle coste orientali di Giava, famosa per le sue piantagioni di caffè, di canne da zucchero, di pepe e anche di noci moscate.

La navigazione, cosa piuttosto rara in quei paraggi, era stata tranquillissima. Nessuna di quelle tremende burrasche che in quei mari chiamatisi tifoni e contro le quali ben poche navi possono resistere, e nemmeno venti contrari.

Un tempo sempre splendido, orizzonti infiniti, panorami superbi, offerti dalle numerose isole che incontravamo sulla nostra rotta. Un viaggio più bello, io non l'avevo mai fatto.

Già credevamo di approdare a Batavia senza malanno, quando una brutta notte mastro Nicola mi si avvicina, dicendomi:

– Sapete, signore, che le balle di seta bruciano in fondo alla stiva?

Figuratevi che colpo! Una nave che s'incendia in pieno mare, ha quasi sempre poche probabilità di salvarsi.

Vi sembrerà strano che si possa bruciare in mezzo all'acqua, eppure, ragazzi miei, è proprio così.

Il legname incatramato è un alimento terribile per le fiamme, le povere navi a poco a poco vengono consumate e finiscono coll'affondare. Quando l'acqua del mare spegne il fuoco è troppo tardi per salvare il vascello.

All'annunzio datomi da mastro Nicola, mi sentii rabbrividire. Non era però il momento di perdere la testa, tutt'altro.

Non erano trascorsi due minuti, quando scoppiò alto il grido:

– Alle pompe!... Alle pompe!...

I passeggieri che erano in grosso numero con molte donne e molti fanciulli, erano saliti in coperta fra una confusione indescrivibile. Domande e risposte s'incrociavano fra lamenti di donne e strilli di ragazzi.

– Ho visto del fumo!

– Dove è scoppiato il fuoco?

– Nella stiva!

– No, a poppa!

– E bruceremo tutti?

– E la terra si vede?

– Sì, sta laggiù.

– No, Batavia è ancora lontana.

– Ah, poveri noi!...

– Calma silenzio!... – gridavamo noi. – Invece di chiacchierare, correte alle pompe!...

Era impossibile ottenere subito un po' di calma fra quelle trecento persone spaventate. Tutti urlavano, ognuno diceva la sua ed intanto il fuoco guadagnava.

Era scoppiato verso poppa, fra le balle di seta, per causa sconosciuta, ed il fumo aveva già invaso gli alloggi degli ufficiali costringendoli a fuggire in mutande.

Tenemmo un breve consiglio. Eravamo a circa sessanta miglia da Batavia, quindi forzando le macchine vi si sarebbe potuto giungere in meno di quattro ore.

Fu dunque deciso di continuare la rotta verso quel porto e di cercare intanto di domare o almeno di ritardare il propagarsi del fuoco.

V'era però una grave difficoltà. Il fumo irrompendo dal quadro di poppa, rendeva estremamente difficile la manovra del timone.

I timonieri eran già scappati, temendo di venire soffocati e si rifiutavano assolutamente di ritornare.

Chi mandare a quel posto così pericoloso?

– Un uomo di buona volontà al timone! – aveva gridato il capitano, dominando il tumulto.

Nessuno aveva risposto. Tutti si guardavan l'un l'altro per lo spavento.

Ad un tratto vediamo un uomo fendere violentemente la folla e slanciarsi verso il capitano: era mastro Nicola.

– Eccomi – disse.

– Tu, Nicola? – gridò il capitano.

– Sì, signore.

– E prenderai la ruota del timone?

– Sono deciso.

– Vi è pericolo.

– E vi sono anche trecento e più vite umane da salvare – rispose semplicemente quell'eroe.

– Va' e che Dio ti aiuti.

Il mastro salì lentamente la scaletta del quadro, calmo e tranquillo e lo vedemmo scomparire fra il fumo e le scintille che uscivano con grande impeto dal boccaporto di poppa.

– A tutto vapore! – gridò il capitano agli uomini di macchina. – E voi altri, alle pompe!

Ve n'erano due a bordo e poderose, però era da dubitarsi che bastassero. Per aiutarci i passeggieri avevano formato delle catene passandoci le secchie d'acqua.

Il bastimento aveva accelerato la corsa. Se da una parte quella rapida marcia ci accostava sempre più alla terra sospirata, la corrente d'aria alimentava d'altra parte le fiamme.

Sotto il ponte si udivano cupi rumori. Le balle di seta scoppiavano assieme alle botti di zucchero, ed i puntelli della nave, consumati dal fuoco, cadevano uno ad uno compromettendo la sicurezza dei frapponti.

Le cabine dei passeggieri di poppa dovevano essere già state invase dalle fiamme, poiché il fumo sfuggiva anche attraverso i finestrini.

L'acqua correva a torrenti pel ponte senza molto successo. Ed intanto l'ansietà cresceva di momento in momento e la confusione aumentava.

Tutti avevano perduta la calma: un solo uomo la conservava. Era mastro Nicola. Fermo, dietro alla ruota del timone, piantato solidamente sulle robuste gambe, sfidava intrepidamente il pericolo. Quando il vento abbatteva la nuvola di fumo, lo vedevamo sempre tranquillo, sereno, eppure le scintille cadevano intorno a lui.

Un vero eroe, ve lo dico io, che esponevasi ad una morte certa per salvare i trecento passeggieri che occupavano la nave. Tutti lo ammiravano e quando appariva fra i vortici di fumo lo ringraziavano con le mani.

Il capitano di quando in quando, gridava:

– Nicola...

– Ai vostri ordini, signore – rispondeva il valoroso, senza che un tremito tradisse le sue apprensioni.

– Pericola il cassero?

– No, signore.

– Puoi resistere?

– Lo spero.

Poi la colonna di fumo lo nascondeva ai nostri occhi. Eravamo sicuri che quel bravo marinaio era sempre al suo posto, perché la nave manteneva la sua rotta.

La terra non era molto lontana. Sul tenebroso orizzonte si scorgevan di già a scintillare i due fari di Batavia, eppure quanto sembrava ancora lunga la via che dovevamo percorrere.

Mastro Nicola avrebbe resistito fino là? Ecco la domanda che ci rivolgevamo con angoscia.

L'incendio, non ostante i nostri sforzi, non accennava a scemare, anzi alle colonne di fumo era successa una immensa lingua di fuoco, la quale illuminava sinistramente il mare.

Da Batavia dovevano certo vederla.

Un terrore indescrivibile si era impadronito dei passeggieri, all'apparire di quella lingua di fuoco. Tutti si erano ammassati verso prora, interrompendo le catene dei mastelli e mandando grida acutissime.

Anche i macchinisti ed i fuochisti erano saliti in coperta annunciando che il fumo aveva invaso la sala delle macchine minacciando di asfissiarli. Nessun comando, nessuna minaccia erano stati sufficienti per farli tornare ai loro posti.

E di Nicola che cosa era successo? Alle chiamate del capitano più non rispondeva.

Tutto d'un tratto vedemmo irrompere sul ponte gli uomini di macchina, i fuochisti compresi.

Il capitano si era slanciato verso di loro colla rivoltella in pugno.

– Ridiscendete! – gridò.

– È impossibile, capitano – rispose l'ingegnere di macchina. – Il fumo ha invaso tutta la stiva e minaccia di soffocarci; dalla parte delle corsie il fuoco avvampa rapidamente.

Quella notizia era di una gravità eccezionale. Se i forni, non più alimentati dai fuochisti, si spegnevano, per noi era proprio finita.

Il capitano, uomo energico, volle tentare un colpo supremo.

– Ridiscendete o vi uccido!

– Potete ucciderci, signore, – rispose il capo macchinista freddamente, – morire qui o nella stiva è tutt'uno.


Dinanzi a quella risposta categorica non si poteva più nulla tentare. Comprendemmo che per noi era proprio finita, pure, per non spaventare i passeggieri, ci guardammo bene dall'informarli sulla gravità della situazione.

Il capitano dopo d'aver percorsa la coperta con passo nervoso, s'era nuovamente fermato dinanzi all'ingegnere di macchina.

– Quanto potrà durare il fuoco dei forni? – gli chiese con voce alterata.

– Non più di due ore – rispose l'interrogato.

– Sarà sufficiente la pressione a condurci in vista di Batavia? – domandò uno con ansietà.

Il comandante si volse verso l'ufficiale in prima.

– Quanto distiamo dalla costa? – gli chiese.

– Ancora una trentina di miglia, capitano.

– Troppo – mormorò il comandante.

– Da Batavia vedranno certamente la fiamma che s'innalza verso l'alberatura – gli osservò l'ufficiale.

– Questo è vero.

– E voi sapete che i battelli dei piloti stazionano dinanzi alla baia.

– Confidiamo in Dio – concluse il capitano. – Purché mastro Nicola possa resistere alle scintille ed al calore della fiammata.

Si diresse verso l'albero maestro, s'aggrappò alle griselle ossia alle scale di corda e, malgrado il fumo e le scintille che svolteggiavano in aria, si spinse fino alla crocetta.

La fiammata, che si estendeva fra lui e la poppa della nave come una cortina ardente, subiva di quando in quando delle contrazioni. Ora si allungava con grande impeto toccando il pomo dell'albero di mezzana, ed ora s'abbassava bruscamente, per poi riavvampare di nuovo con maggior furia.

Il capitano attese che si abbassasse e curvandosi innanzi, attraverso uno squarcio del fumo, poté vedere mastro Nicola ancora ritto dietro la ruota del timone. Il valoroso marinaio per ripararsi alla meglio dalle scintille che gli cadevano addosso in gran numero, s'era coperto il capo con un mastello.

– Nicola! – gridò il comandante, facendo portavoce colle mani.

Il marinaio alzò la testa, si levò il mastello protettore e fece al capitano un gesto colla mano.

– Puoi resistere qualche ora ancora? – gridò il comandante.

– Sì, se il cassero non si sprofonda sotto i miei piedi – rispose l'intrepido lupo di mare.

– Brucia il quadro?

– È tutta una fiamma.

– I forni stanno per spegnersi?

Il marinaio fece un gesto di disperazione, poi scomparve dietro la gigantesca fiamma che era tornata ad alzarsi con maggior violenza.

Avendo i fuochisti ed i macchinisti riempiti di carbone i forni prima di abbandonare la stiva, la nave manteneva ancora la sua velocità, portandoci rapidamente verso Batavia, però nessuno di noi aveva la speranza di poter giungere in porto prima che l'elica si arrestasse.

Per colmo di sventura l'incendio aumentava sempre, prendendo proporzioni spaventose. L'acqua che vomitavano le pompe non serviva quasi a nulla; si perdeva in mezzo a quel mare di fuoco vaporizzandosi istantaneamente.

Anche dal boccaporto maestro che metteva nel frapponte e nella sala delle macchine il fumo cominciava a montare disperdendosi per la coperta.

I passeggieri, radunati a prora, erano diventati muti per lo spavento. Le madri si stringevano disperatamente al seno i figli, piangendo silenziosamente.

Noi intanto, dalle griselle, cercavamo di discernere sull'oscura linea dell'orizzonte le coste dell'isola tanto sospirata.

Di quando in quando ci si chiedeva:

– Si vede?

– Non ancora.

– Ma sì, vedo un lume che brilla laggiù.

– È uno dei fari di Batavia.

– No, è un fanale.

– No, è una stella di prima grandezza che tramonta là.

A quella risposta lo scoraggiamento tornava ad impossessarsi di tutti ed a prora s'alzavano pianti e lamenti.

Ed intanto l'incendio si dilatava sempre. Ormai le fiamme avevano invasi gli alloggi di prima classe e nelle splendide sale divoravano tappeti, tendaggi di seta a frange d'oro, spezzavano le ricche specchiere, bruciavano sedie, poltrone e sofà con un puzzo infernale.

Povera nave che aveva costato, ai suoi armatori, tanti tesori!

All'una di notte anche dal boccaporto maestro cominciò ad apparire il fuoco. Una grande fiammata irruppe bruscamente, con violenza inaudita, avvolgendo l'albero maestro ed incendiando le vele rinchiuse nei loro astucci di tela incerata.

Fortunatamente l'alberatura era in ferro e anche la maggior parte delle corde erano formate di zinco ritorto; diversamente tutto ci sarebbe caduto addosso, facendo di noi un vero massacro.

Sul ponte le scintille cadevano fitte, minacciando nuovi incendi e costringendo passeggieri e marinai a muoversi incessantemente per non ricevere delle dolorose bruciature.

Per riparare le donne fu tirato il tendone di prora, riparo però inefficace poiché dopo pochi minuti la grossa tela era diventata un vero crivello.

Mezz'ora dopo, con nostro grande terrore, ci accorgemmo che la nave rallentava gradatamente la marcia. La pressione veniva meno nelle macchine.

– È finita – mi disse il capitano, il quale si mordeva nervosamente i baffi. – Se fra mezzora qualche nave non viene in nostro soccorso, saremo costretti a mettere le scialuppe in mare.

– Non basteranno per tutti – gli risposi.

– Salveremo le donne.

– E gli uomini?

– Ognuno penserà a trarsi d'impiccio come potrà.

– Speriamo ancora, capitano. Batavia non deve essere lontana e questo incendio si deve scorgere ad una grande distanza.

– Ma la nave sta per fermarsi.

Mi lasciò per spingersi verso poppa. Voleva sapere se mastro Nicola era ancora al suo posto.

Si avvicinò alla gigantesca fiammata a rischio di farsi arrosolare dalle scintille e dai carboni ardenti che cadevano tutto all'intorno ed imboccato un portavoce, gridò per tre volte:

– Nicola! Nicola! Nicola!

Solamente gli ultimi rantoli delle semispente macchine risposero al grido.

– È stato asfissiato ed è precipitato nel quadro – mi disse, diventando pallido come un cencio lavato.

– Eppure la nave mantiene sempre la sua direzione – gli risposi. – Se Nicola avesse abbandonata la ruota del timone, la nostra nave a quest'ora avrebbe deviato dalla sua rotta.

– Non risponde più.

– Forse la cortina di fuoco ed il fumo intercetta la vostra voce.

– E non si vede ancora il fanale di Batavia! – esclamò poi, scrutando nuovamente l'orizzonte.

– Non può tardare ad apparire; non dobbiamo essere molto lontani – gli dissi.

Io cercavo di non disperare ancora, ma non erano che semplici illusioni.

Salii sulla grisella di maestro e guardai all'intorno. Nessuna nave appariva in vista, nessun punto luminoso si scorgeva in alcuna direzione.

– È finita – dissi. – Caleremo in mare le scialuppe e si farà quello che potremo.

La morte ci sembrava oramai certa. La pressione delle caldaie veniva meno da un momento all'altro, non essendovi più né fuochisti, né macchinisti dinanzi ai forni.

Ad un tratto un grido altissimo echeggiò fra trecento passeggieri che si affollavano a prora.

– Delle navi! Delle navi!...

Non si erano ingannati. Due piroscafi, usciti da Batavia, ci correvano incontro a tutto vapore.

La gigantesca lingua di fuoco era stata scorta ed il capitano del porto aveva mandato quei due vascelli in nostro soccorso.

In men d'un quarto d'ora le due navi ci abbordano, gran parte dei loro equipaggi salgono a bordo, poi veniamo presi a rimorchio.

Il capitano e parecchi ufficiali si slanciano verso poppa, attraversando di corsa la cortina di fuoco.


Mastro Nicola era caduto. Lo trovammo dietro la ruota del timone, che non aveva abbandonato un solo istante.

La sua camicia bruciava e le scintille gli avevano arrosolato atrocemente le carni.

Eppure non era morto quel valoroso a cui tutti noi dovevamo la nostra salvezza.

Spento l'incendio, fu trasportato all'ospedale di Batavia. Una sottoscrizione aperta fra i passeggieri gli aveva fruttato cinquecento fiorini.

Seppi più tardi che quel valoroso era completamente guarito, che il governo olandese l'aveva decorato e che poi erasi imbarcato, in qualità di mastro d'equipaggio, su una nave dello stato.

Giusto compenso a tanto eroismo!