I racconti della Bibliotechina Aurea Illustrata/Un'avventura in Siberia

Un'avventura in Siberia

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La corriera della California Fra i ghiacci del Polo Artico

UN'AVVENTURA IN SIBERIA


– Quando mi accadde l'avventura che sto per raccontarvi – mi disse una sera Roskoff il siberiano – non ero più un giovanotto, anzi ero diventato un cacciatore famoso in tutta la foce del fiume Obi.

«Anche quell'anno l'inverno era stato freddissimo e moltissimi ghiacci si erano accumulati sulle sponde del mare e presso lo sbocco del fiume. La navigazione era stata completamente interrotta, tutto essendo gelato.

«Io avevo fatto delle frequenti scorrerie fino al mare, colla speranza d'incontrare degli orsi bianchi; ma sempre inutilmente. Quegli insuccessi mi crucciavano non poco, avendo promesso ad un negoziante russo una mezza dozzina di pelli di quei feroci animali.

«Un giorno vedo entrare nella mia capanna un giovane samoiedo, una specie di selvaggio, ma che conoscevo da lunga data, avendomi venduto parecchie volte delle pelli di lupo, di zibellini e di volpi.

«"Papà Roskoff" mi disse, "io so che voi cercate degli orsi bianchi."

«"Ne hai veduto qualcuno, Katiko?" gli chiesi, alzandomi vivamente.

«"Ne ho anzi veduto parecchi, papà Roskoff" mi rispose.

«"E dove?"

«"Sono sbarcati ieri mattina da un grande banco di ghiaccio, spinto dalle onde sulle nostre spiagge."

«Dovete sapere, mio giovane amico, – aggiunse Roskoff – che, quando al polo comincia il gelo, gli orsi bianchi, i quali sono quasi sempre affamati, hanno l'abitudine d'imbarcarsi sui banchi di ghiaccio e di lasciarsi trasportare dalle onde e dalle correnti.

«Ai primi freddi le foche e le morse emigrano verso il sud, sicché gli orsi bianchi, che si cibano di quegli anfibi, sono costretti a seguirli per non morire di fame.

«Il male è che le foche e le morse sono nuotatrici perfette, vivendo quasi sempre in acqua, mentre gli orsi bianchi sono animali terrestri.

«Sono però anche loro buoni nuotatori, essendosene veduti alcuni a trenta e perfino a quaranta miglia dalle terre più vicine. Comprenderete però che non potrebbero percorrere le cinque o seicento miglia che separano la Siberia dal polo.

«Non potendo dunque seguire le foche e le morse nelle loro emigrazioni, come vi dissi, s'imbarcano ad un banco di ghiaccio affidandosi alla sorte. Qualche volta riescono ad approdare sulle spiagge della Siberia. Sovente, invece, il banco di ghiaccio che li trasporta, scende in climi meno freddi, a poco a poco le acque lo rodono, lo consumano ed allora gli orsi finiscono coll'annegarsi.

«Udendo la proposta di Katiko, potete immaginarvi se accettai subito di andar a trovare gli orsi che erano sbarcati. Sapendolo un buon tiratore, gli diedi una carabina a due colpi con parecchie cartucce, ci cacciammo nella cintura dei lunghi coltelli, ci fornimmo di provvigioni e lasciammo la capanna costeggiando la riva destra dell'Obi.

«Il fiume era tutto gelato; fra i banchi di ghiaccio accumulati alla foce c'era un numero infinito di uccelli marini, i quali volteggiavano, facendo un baccano infernale.

«Vi erano legioni di gabbiani, di procellarie, i funesti uccelli delle tempeste, amando trastullarsi fra i soffi poderosi degli uragani, di strolaghe e di pellicani, grossi volatili muniti d'un becco enorme, il quale contiene un sacco dove vengono collocati i pesci, che quegli uccellacci prendono molto destramente.

«Dopo quattro ore di marcia faticosa, io e Katiko giungevamo sulle rive del mare.

«Quale spettacolo offriva l'Oceano Artico!

«Fin dove giungevano i nostri sguardi, non si vedevano che ghiacci colossali, confusamente addossati gli uni agli altri. Vi erano banchi immensi che misuravano parecchie miglia d'estensione, rotti da larghi crepacci che lasciavano vedere l'azzurra tinta del mare, e montagne di forme strane che rappresentavano ora delle arcate, ora dei castelli diroccati, ora delle cupole semisfondate.

«"Io non vedo alcun orso" dissi a Katiko, dopo d'aver osservato attentamente tutti quei ghiacci. "Che abbiano sentito il nostro avvicinarsi?"

«"Tu sai, papà Roskoff, che quegli animali non stanno mai fermi" mi rispose il samoiedo. "Ieri sera ne ho veduto due fra questi ghiacci, accompagnati da due orsacchiotti."

«"Una famiglia intera."

«"Sì, papà Roskoff. Avevano uccisa una foca e stavano divorandosela."

«"Allora li troveremo" dissi. "Costruiamoci un ricovero e aspettiamo che il sole tramonti."

«Il materiale non mancava. Coi nostri coltellacci tagliammo dei blocchi di ghiaccio e li collocammo gli uni sugli altri cementandoli con neve e formammo una specie di cupoletta sufficiente a contenerci entrambi.

«Vi parrà strano, eppure entro quelle casette di ghiaccio ci si sta benissimo e non fa freddo. Il calore dei nostri corpi è sufficiente a rendere la temperatura molto tollerabile.

«Avendo portato con me una lampada a spirito, ci preparammo un thè bollente, poi accendemmo le nostre pipe, aspettando pazientemente che il sole tramontasse.

«Quando le tenebre invasero il mare e la pianura sulla quale ci trovavamo, misi in una scatoletta di latta del grasso e un pezzetto d'esca, la accesi e andai a collocare il recipiente a cinquecento passi dalla nostra casetta di ghiaccio.

«Gli orsi hanno un fiuto meraviglioso e sentono a parecchie miglia l'odore del grasso che brucia. Immaginandosi che delle persone stiano cucinando, accorrono subito per prendere parte al pasto e possibilmente per mangiare i cuochi.

«Non mi ero ingannato sulle mie previsioni. Non era trascorsa un'ora quando Katiko, che spiava i dintorni da un foro aperto nella parete della capannuccia, si volse verso di me, dicendomi:

«"Papà Roskoff, gli orsi si avvicinano".

«"Quanti sono?" gli chiesi.

«"È la famiglia che ho veduta ieri."

«"Due orsi e due orsacchiotti?"

«"Sì, papà Roskoff."

«"Sono troppi per noi, però non ce li lasceremo scappare."

«"Tireremo restando nella capanna."

«"Sì, Katiko" risposi. "Non sarebbe prudente assalirli all'aperto."

«"E se dopo la scarica fuggono?"

«"Ci faremo animo e l'inseguiremo. Lasciami vedere."

«Mi accostai al pertugio e guardai nella direzione indicatami dal samoiedo. Quantunque la notte fosse scesa da qualche ora, il riflesso dei ghiacci spandeva una luce bastante a distinguere qualsiasi oggetto, anche ad una grande distanza.

«Vidi subito la famiglia orsina. Il maschio, che è assai più grosso e meglio sviluppato delle femmine, precedeva il gruppo.

«Era un animale di taglia gigantesca, uno dei più grossi che io avessi veduto fino allora, misurando non meno di tre metri dalla punta del muso al principio della coda.

«S'avanzava lentamente, con diffidenza, scuotendo incessantemente la testa. Ogni dieci o dodici passi si arrestava come se fiutasse l'aria.

«Ad una ventina di metri veniva la femmina assieme ai due orsacchiotti, i quali, ignari del pericolo, di tratto in tratto si saltavano addosso rotolandosi in mezzo alla neve.

«Erano grossi come due cani di Terranuova. Pure, assalendoli, potevano presentare anche loro qualche pericolo.

«"Vengono verso di noi?" mi chiese Katiko.

«"Sì, l'odor del grasso li attira" risposi. "Mi sembrano però molto diffidenti."

«"Vuoi che strisciamo verso di loro, papà Roskoff?"

«"Non commettiamo questa imprudenza, Katiko!" risposi. "Aspettiamo prima che vengano a tiro di carabina."

«Il maschio, di certo un vecchio molto astuto, continuava ad avanzarsi con prudenza. Quando trovava sul suo cammino qualche rialzo di ghiaccio, lo saliva e di là ispezionava la pianura.

«Il furbo doveva essersi accorto della nostra capannuccia e prima di avanzarsi voleva forse essere certo del numero delle persone che conteneva.

«Ad un certo momento parve però che l'appetito fosse più forte della prudenza, poiché vedemmo l'orso affrettare il passo dirigendosi verso di noi o meglio verso la scatola contenente il grasso, già ormai sciolto dall'ultima fiammata.

«"Attento, Katiko" dissi al samoiedo. "Il briccone si avanza."

«"Allora apro un pertugio."

«Col suo coltello scrostò il ghiaccio ed in pochi istanti aprì un finestrino.

«L'orso era già giunto a duecento metri. Trattenuto da un ultimo resto di diffidenza, si fermò qualche minuto, fiutando a più riprese l'aria, poi mosse verso la scatola del grasso che esercitava sul ghiottone un fascino irresistibile.

«Io avevo puntato la carabina e lo prendevo di mira.

«Katiko, invece, mirava l'orsa, la quale si era arrestata alcuni passi più indietro, assieme ai due orsacchiotti.

«"Fuoco!" gridai.

«Due spari rimbombarono quasi istantaneamente. L'orso aveva mandato un urlo acuto ed era caduto avvoltolandosi fra la neve.

«La femmina era pure stata colpita, poiché la vedemmo accostarsi al maschio, zoppicando.

«"Sono nostri" gridai, slanciandomi fuori della capanna.

«Avevo però gridato troppo presto vittoria!

«Gli orsi polari, al pari dei grigi delle Montagne Rocciose dell'America del Nord, posseggono una vitalità straordinaria, difficilmente si riesce ad abbatterli con una sola palla, a meno che non vengano toccati al cuore o al cervello.

«Talvolta resistono ancora con otto o dieci palle nel corpo.

«Appena giunti presso il maschio, lo vedemmo alzarsi di colpo, ergersi sulle zampe deretane e correrci addosso con foga irresistibile. Il suo pelo giallastro era macchiato di sangue, nondimeno la ferita non doveva essere grave.

«Il suo assalto fu così improvviso, che non pensammo subito a scaricargli addosso gli altri due colpi dei nostri fucili.

«Katiko, che si trovava dinanzi a me, fu subito afferrato dal gigantesco animale, il quale se lo strinse subito al petto per soffocarlo contro il fitto pelame.

«Il bravo samoiedo non era però alle sue prime armi. Conoscendo la tattica degli orsi, fu pronto a puntare un ginocchio contro il ventre dell'animale, ed estrasse il coltellaccio.

«Io non ero potuto accorrere in suo aiuto, perché l'orsa mi si era gettata addosso colla speranza di fare altrettanto di me.

«Con un salto però evitai la stretta e, puntato rapidamente il fucile, glielo scaricai sul muso, fracassandole una mascella.

«Vedendola indietreggiare, approfittai per scagliarmi contro il maschio. Impugnato il fucile per la canna gli assestai alcuni colpi così poderosi da costringerlo a lasciare la preda.

«"Fuggiamo!" gridai al samoiedo, quando lo vidi libero.

«Il povero giovane aveva ricevuto delle profonde graffiature sulle spalle ed aveva avuto la giacca lacerata. Nulla però di grave.

«Raccolse il fucile che durante la lotta gli era caduto e fuggimmo tutti e due riparandoci nella capannuccia. Con alcuni massi di ghiaccio turammo l'apertura che ci serviva di porta, poi ci precipitammo verso le due aperture.

«Gli orsi non ci avevano seguito, tuttavia eravamo ben lontani dall'esser tranquilli. Conoscevamo troppo bene quegli animali per illuderci sulle loro intenzioni.

«"Katiko," dissi "prepariamoci a sostenere un assedio in piena regola."

«"Vengono ad assalirci, papà Roskoff?" mi chiese il samoiedo.

«"Di questo sono certissimo" risposi. "Fortunatamente abbiamo dei viveri per un paio di giorni e le cartucce non ci mancano."

«Mentre gli orsi indugiavano ad assalirci, visitai le ferite del giovane samoiedo.

«Aveva ricevuto due graffiature profonde molto dolorose, nondimeno non presentavano alcuna gravità. Le lavai con un po' d'acquavite e le fasciai alla meglio.

«Avevo appena terminato quando vidi i due orsi dirigersi verso di noi, accompagnati dagli orsacchiotti.

«Entrambi avevano il pelo macchiato e lasciavano sulla neve delle impronte sanguinose. Il maschio specialmente, che aveva ricevuto la mia palla in mezzo al petto; pareva assai sofferente a giudicarlo dalle sue urla.

«"Sono stati conciati per bene, tutti e due" mi disse Katiko.

«"Hanno ancora tanto vigore da demolire la nostra casupola" risposi io. "Quelle bestie hanno la pelle molto dura, mio giovane amico. Ah! I furbi!"

«"Cosa succede, papà Roskoff?"

«"Gli orsi girano al largo per non esporsi ai nostri colpi" risposi. "Dovremo aprire nuove feritoie."

«"Apriamole, papà Roskoff."

«"Penso però che indeboliremo la nostra capanna."

«"Cercheremo di rinforzarla."

«Stavamo per metterci all'opera, quando al di fuori udimmo dei sordi grugniti.

«Gli orsi, con una rapida marcia, si erano accostati alla nostra casetta e tentavano di aprirsi un passaggio attraverso i massi di ghiaccio.

«Io cominciavo a diventare molto inquieto. Anche Katiko, pure essendo un uomo molto coraggioso, era diventato pallidissimo.

«"Papà Roskoff," mi disse, con voce alterata "dobbiamo proprio servire di cena a questi animali?"

«"Io conto invece di cenare colle loro carni" gli risposi per incoraggiarlo. "Non siamo uomini da lasciarci mangiare in due bocconi."

«"Cosa fanno gli orsi che non si odono più? Io comincio ad aver paura, papà Roskoff."

«"Staranno cercando il mezzo per poter entrare."

«Vi confesso però che quel silenzio mi preoccupava. Avrei preferito un assalto impetuoso.

«Appoggiai un orecchio alla parete, con mio gran stupore non udii nulla. Guardai attraverso i due pertugi e senza risultato.

«"Che se ne siano andati?" mi chiese il giovane samoiedo, nei cui occhi brillava un lampo di soddisfazione.

«"Non ne sono persuaso" risposi. "Credono certo d'ingannarci colla speranza che noi, convinti della loro partenza, commettiamo l'imprudenza di uscire o stanno intraprendendo qualche lavoro misterioso."

«"Che siano morti? Erano entrambi feriti e abbastanza malamente."

«"Non sperare tanto, Katiko" risposi.

«Ad un tratto fui colpito da un certo stridìo che veniva dall'alto. Istintivamente mi ritrassi verso la parete, dicendo al samoiedo:

«"Guardati!"

«"Cosa succede, papà Roskoff?" chiese il samoiedo con voce atterrita.

«"Gli orsi hanno dato la scalata alla cupola."

«"La sfonderanno."

«"È quello che temo, Katiko."

«"Fuggiamo, papà Roskoff."

«"No, giovanotto mio. Finché la cupola resiste, io non sarò così sciocco da mettere il naso fuori della porta. Tu sai che gli orsi corrono bene, più d'un uomo. Silenzio ed ascoltiamo."

«Degli unghioni grattavano la vôlta, però i massi di ghiaccio, ormai perfettamente uniti, in causa del freddo intenso, resistevano meravigliosamente all'enorme peso dei due mostri.

«Si poteva dire che la nostra capanna formava un blocco solo.

«Le nostre inquietitudini aumentavano. A forza di grattare, gli orsi avrebbero indubbiamente finito coll'aprirsi un varco.

«Io e Katiko, addossati alle pareti, coi fucili in mano, aspettavamo il momento di far fuoco. Quali angosce durante quell'attesa!

«Le solide unghie delle belve, dure come acciaio temperato, raschiavano sempre; anzi udivamo anche i brontolìi dei due animali.

«Di certo si incollerivano della resistenza che presentava la vôlta.

«D'improvviso un masso di ghiaccio, quello che avevamo collocato al vertice, rovinò nella capanna con gran fracasso, frantumandosi contro il pavimento.

«Da quell'apertura apparve la testa del maschio. Il mostro allungò una gamba per issarsi meglio e forzare gli altri massi già sconnessi.

«"Tira, Katiko!" gridai.

«Alzammo i fucili e facemmo fuoco contemporaneamente. Troppo tardi! L'animale, accortosi della nostra mossa, si era prontamente ritirato e le nostre fucilate non avevano avuto altro esito che quello di riempire la nostra stanzetta di fumo.

«Ricaricammo prontamente le armi, certi che l'orso non avrebbe tardato a riapparire.

«La nostra attesa non fu lunga. Non era trascorso mezzo minuto, quando lo vedemmo allungare la testa attraverso l'apertura, facendo sforzi prodigiosi per allargare il buco.

«"Tira, Katiko!" ripetei.

«Scaricammo i nostri quattro colpi. L'orso, colpito in pieno cranio, s'abbandonò.

«La vôlta, già sconnessa, non resse a quel peso e ci rovinò addosso assieme all'animale. Se non restammo schiacciati fu un vero miracolo.

«La belva era morta, ma al di fuori vi era la femmina. La udivamo urlare ferocemente.

«Resa furiosa per la morte del suo compagno, si preparava a vendicarlo.

«"Katiko," dissi "non perderti d'animo se ti è cara la vita."

«"Fuggiamo, papà Roskoff" mi rispose il povero giovane, al quale battevano i denti per la paura.

«"Non muoverti, se vuoi salvarti."

«"La femmina si arrampica."

«"Lasciala venire."

«L'orsa saliva diroccando i massi di ghiaccio che formavano l'ultimo tratto della vôlta. Noi avevamo ricaricate le carabine.

«Tutto d'un colpo la fiera apparve. Si rizzò sulle gambe deretane e si lasciò cadere entro la capanna, cercando di soffocarci sotto il suo enorme peso.

«Katiko fu travolto. Io, invece, più fortunato, avevo avuto il tempo di addossarmi alla parete.

«Senza perdermi d'animo, puntai la carabina e sparai precipitosamente.

«La fiera si volse contro di me per mordermi, ma non ne ebbe il tempo. La morte l'aveva sorpresa, facendola stramazzare al suolo.

«"Siamo salvi!" gridai a Katiko.

«Il povero giovane non mi rispose. Era svenuto e aveva avuto due costole rotte; ma per fortuna egli poté guarire ed ora è più sano e allegro di voi e di me.»