I racconti della Bibliotechina Aurea Illustrata/Le valanghe degli Urali

Le valanghe degli Urali

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Nel paese dell'oro Il re degli antropofaghi

LE VALANGHE DEGLI URALI


La catena dei monti Urali che separa per un lunghissimo tratto l'Europa dall'Asia, al pari di quella delle nostre Alpi, si è acquistata una triste celebrità per le sue valanghe.

Ogni anno, durante la stagione invernale, un gran numero di capanne vengono interamente distrutte e talvolta perfino dei villaggi interi vengono sepolti sotto quegli enormi ammassi di neve assieme agli abitanti, e le vittime si contano talvolta a centinaia.

Sono i gelidi ed impetuosissimi venti che soffiano dalla vicina Siberia, quelli che producono quelle catastrofi tanto temute.

La popolazione è scarsa sui fianchi di quei monti, però paga largamente il suo tributo all'inverno. Alcuni anni or sono, in una vallata di quelle montagne, si era radunata una famigliuola composta del padre, già vecchio minatore e due ragazzi, l'uno di quindici e l'altro di dieci anni.

Il minatore aveva costruita una casupola di legno, un'isba come le chiamano i contadini russi, cercando di renderla solidissima onde potesse resistere alle valanghe ed aveva raccolte quattro capre del Tibet, incaricando i due ragazzi di farle pascolare.

Mentre i piccini se ne andavano attraverso le gole delle montagne, il minatore scendeva nei torrenti e lavorava le sabbie cercando le pagliuzze d'oro, mestiere molto aspro ma che però era sufficientemente compensato.

Nei giorni piovosi invece, quando l'abbondanza d'acqua rendeva impossibile il lavoro, Gurko – così chiamavasi il vecchio – si recava nelle selve più fitte a cacciare gli orsi, ancora molto numerosi su quelle montagne.

Alla sera poi il vecchio mungeva le capre assieme ai fanciulli e si preparava la cena, molto magra ma appetitosa per quella famigliuola che lavorava da mane a sera sulla montagna.

L'estate era passata felicemente. Gurko aveva fatto una discreta raccolta di polvere d'oro ed i fanciulli avevan riempita la tettoia dell'isba di legna onde poter affrontare i rigori dell'inverno. Anche le provviste erano state rinnovate, acquistate in una borgatella che si trovava sull'opposto versante della montagna.

Ai primi di dicembre la neve era cominciata a cadere a larghe falde coprendo i burroni e le boscaglie e accumulandosi in quantità straordinaria attorno le cime della catena.

Il vecchio Gurko era stato costretto ad interrompere i suoi lavori ed anche le sue cacce ed a rinchiudersi nella capanna assieme ai figli ed alle capre.

Non avrebbe nemmeno osato lasciarli soli perché sapeva che la neve cacciava al basso gli orsi e anzi ne aveva veduto più d'uno ronzare nella gola.

E poi temeva di venire sorpreso dalle valanghe. Cosa sarebbe avvenuto dei due ragazzi se una disgrazia lo avesse colto durante una delle sue escursioni? I poveretti sarebbero indubbiamente morti essendo ancora troppo piccoli per pensare a loro stessi ed incapaci di attraversare quei monti aspri per raggiungere il villaggio più prossimo.

Però se il freddo e la prudenza li obbligavano a starsene rinchiusi nella loro isba, non perdevano inutilmente il loro tempo.

Gurko aiutato dal primogenito si fabbricava nuovi arnesi per lavorare le sabbie aurifere, o conciava le pelli degli animali uccisi durante le sue scorrerie o accomodava le vesti di tutti, mestiere che aveva appreso dopo la morte della moglie. Il figlio minore invece aveva cura delle capre, dava a loro da mangiare e le mungeva mattina e sera.

Già mezzo inverno era trascorso senza che alcun avvenimento fosse accaduto e Gurko cominciava a rallegrarsene, quando un brutto giorno, mentre stavano seduti a tavola, mangiandosi la solita zuppa di segala col latte, udirono un rombo spaventevole.

Gurko si era alzato pallidissimo, dicendo ai figli:

– È caduta una valanga nella vallata. Deve essere passata vicina a noi.

Uscì dopo d'aver rassicurati i due ragazzi e si spinse fuori dalla tettoia.

Una enorme valanga, staccatasi dalla cima del Paulinskoj, la vetta sovrastante a quella parte della catena, era rotolata nella valle schiantando nella sua corsa furibonda un gran numero di antichissimi faggi ed accavallandosi in un profondo burrone.

Gurko guardando verso la vetta s'accorse che la massa nevosa era diventata così immensa, da costituire un gravissimo pericolo per la sua capanna.

Nuove valanghe minacciavano di rotolare dall'alto e qualcuna poteva piombare là dove aveva trovato ricovero la famigliuola.

– Bisognerà sloggiare – disse il vecchio minatore. – La vita dei miei figli è troppo preziosa.

Sloggiare! Si faceva presto a dirlo, ma come mettere in pratica il progetto? Il villaggio si trovava sul versante opposto della catena, a più di dieci ore di marcia, e tutti i passi della montagna erano diventati impraticabili in causa dell'enorme quantità di neve già caduta.

E poi come arrischiarsi su quelle vette e tra quei burroni col freddo intenso che regnava all'aperto? Avrebbero potuto resistere i due ragazzi?

Gurko in preda a questi pensieri era rientrato nella capanna, cercando di nascondere, ma invano, le sue preoccupazioni.

– Padre – disse Nicola, che era il primogenito. – È caduta una valanga?

– Sì, ragazzo mio – rispose il minatore. – Però non spaventatevi; noi non corriamo alcun pericolo.

– Io non ho paura della neve – disse il piccolo Michele. – Neanche le mie capre si preoccupano delle valanghe.

– Andate a letto e dormite tranquilli – disse Gurko. – La nostra isba è sicura.

Li condusse nella loro stanzetta, poi quando li udì a russare, tornò ancora sotto la tettoia.

Era molto inquieto e sentiva per istinto che un grave pericolo lo minacciava.

Al difuori soffiava un vento impetuosissimo il quale, dopo d'aver percorse le gelide contrade della Siberia s'abbatteva contro la catena, urlando e ruggendo in mille modi.

In mezzo alle foreste si udivano i rauchi ululati dei lupi e in lontananza qualche cupo rombo annunciante la caduta di qualche nuova valanga.

– Anche i lupi mi sembrano inquieti, – disse il minatore, – che questa notte debba succedere qualche grave disgrazia?

Rimase qualche po' sotto la tettoia, esposto al nevischio che il vento trascinava giù per le chine, poi rientrò sedendosi presso la stufa ancora accesa.

I due ragazzi dormivano placidamente, russando. Pareva che il pericolo che minacciava la casa l'avessero già dimenticato.

Gurko invece sentiva aumentare i suoi terrori e prestava attento orecchio ai ruggiti sempre più acuti del vento siberiano.

Finalmente stanco da quella lunga veglia, si era assopito presso la stufa.

Quanto dormì? Non poté saperlo.

Fu improvvisamente svegliato dalle urla dei lupi. Pareva che quegli animali fuggissero passando presso la capanna.

Ad un tratto un rumor sordo, che aumentava con incredibile rapidità, giunse ai suoi orecchi.

Si precipitò subito verso la porta temendo che la disgrazia attesa fosse per accadere.

Stava per aprirla, quando l'intera capanna oscillò spaventosamente come se fosse stata urtata da una massa enorme.

– Nicola! Michele! – gridò slanciandosi verso la cameretta. – Fuggite! La valanga!...

I due fanciulli svegliati di soprassalto dalle grida del padre e dai belati delle capre si erano gettati giù dal letto e si erano stretti al vecchio genitore.

In quel momento la capanna subì una seconda oscillazione, più spaventevole della prima e alcune travi caddero al suolo schiantate.

Gurko tenendo fra le braccia i figli si era diretto verso la porta e subito aveva dovuto retrocedere.

Il passaggio era stato ormai chiuso dalla neve, accumulatasi in quantità enorme sulla capanna.

Una prima valanga l'aveva in parte coperta, poi la seconda l'aveva sepolta completamente, otturando la porta e le finestre.

Il minatore dapprima si credette perduto, poi vedendo che la capanna, malgrado l'enorme peso che era costretta a reggere, non cedeva, cominciò a sperare.

– Non piangete, fanciulli miei – disse a Michele ed a Nicola, i quali gli si stringevano attorno, tremando di freddo e di paura. – Dio ci ha protetti e forse non ci abbandonerà.

– Non morremo soffocati, padre? – chiese Nicola.

– Cercheremo di aprire un passaggio all'aria – disse il minatore. – Io non so quanta neve si sia accumulata sopra ed intorno alla capanna, tuttavia non perdiamoci d'animo. Sono state uccise le capre?

– No, padre – rispose Michele. – Si sono rifugiate nella nostra cameretta.

– Il nutrimento allora è assicurato.

Il vecchio Gurko cercava di mostrarsi tranquillo dinanzi ai figli, ma nel suo interno non lo era affatto.

Chissà che mole enorme avevano le due valanghe e chissà se avrebbe potuto scavarsi una galleria che gli permettesse di giungere all'aperto e di salvarsi assieme a Michele ed a Nicola.

Occorreva innanzi a tutto assicurarsi se il tetto della casupola non aveva troppo sofferto e se era ancora capace di sopportare l'immane peso. Se cadeva era la morte certa per tutti.

Aiutato da Nicola, il quale si era prontamente rimesso dallo spavento provato, visitò le travi e s'accorse che eccettuate alcune, le altre avevano resistito meravigliosamente alle due valanghe.

Era però necessario rinforzarle poiché altre masse di neve potevano cadere dalla cima della montagna.

Il legname non faceva difetto nella isba, anzi vi erano moltissimi pali che erano stati destinati a costruire una nuova tettoia.

Il vecchio minatore si mise quindi alacremente all'opera, puntellando le travi maestre e anche le pareti.

Aveva appena finito quando Nicola gli fece una osservazione:

– Padre, – disse, – se la neve non avesse lasciata alcuna fessura, credi che l'aria si sarebbe conservata ancora respirabile?

– No, Nicola – rispose il padre, con voce giuliva. – Avevo avuto il timore di dover morire soffocato, mentre ora, come tu hai giustamente osservato, l'aria si mantiene respirabilissima.

– Che le valanghe abbiano lasciato qualche spazio libero?

– Forse qualche fessura, Nicola.

– In tal caso non avremo più bisogno di scavare un passaggio.

– Per l'aria no, ma ben per noi, figliuolo. Chi oserebbe passare l'inverno sepolto sotto queste nevi?

– Chissà che qualche montanaro non si sia accorto del disastro, padre.

Gurko crollò la testa, facendo un gesto di dubbio.

– Siamo troppo lontani dai luoghi frequentati – disse poi. – Ma non perdiamoci di coraggio, figliuoli miei, e confidiamo in Dio.

Il vecchio minatore, dubitando già di poter riuscire nel suo progetto e di dover invece passare il lungo inverno sotto quelle valanghe, fece l'inventario dei viveri onde non correre il pericolo di morir di fame prima che avvenisse lo sgelo.

Fortunatamente prima che cadessero le prime nevi aveva fatte le sue provviste e non scarseggiavano ancora.

Aveva segala in quantità per fare una specie di polenta usata molto dai russi; del pesce secco, del caffè e del thè e mezzo barile di farina per fare le focacce.

Per di più aveva le quattro capre le quali davano una discreta provvista di latte. Avendo raccolta molta erba, sperava di poterle alimentare per tutta la durata dell'inverno.

– Anche se non potessimo aprirci una galleria, non morremo di fame – disse a Nicola. – Abbiamo provviste per due mesi e anche più!

– E anche la legna non ci fa difetto, padre. Scavando la neve potremo giungere fino alla tettoia la quale è bene fornita di rami secchi.

– Sì, Nicola, – rispose Gurko, – ma preferisco andarmene. Altre valanghe possono cadere e l'enorme massa di neve può sfondarci il tetto e soffocarci. Domani cercheremo d'aprire la galleria.

Quella prima notte fu piena d'angoscia non solo pel vecchio minatore, bensì anche pei due ragazzi.

Ad ogni istante si svegliavano credendo che la casa dovesse cedere sotto la valanga. Ad ogni scricchiolìo delle travature balzavano giù dai loro letti ed ascoltavano in preda a mille ansietà, paventandone la rottura.

Furono timori infondati perché la capanna invece resistette meravigliosamente quantunque al minatore fosse sembrato d'aver udito più volte il cupo rotolare d'altre valanghe.

All'indomani decisero di uscire da quella situazione troppo angosciosa per tutti, provando a scavare una galleria che permettesse a loro di abbandonare quel ricovero diventato troppo pericoloso.

Il minatore aveva già constatato che durante la notte il tetto dell'isba aveva subìto notevoli guasti e che alcune travi avevano anche ceduto.

Qualche nuova valanga che fosse caduta lo avrebbe di certo sfondato completamente.

Non disse nulla ai due ragazzi per non spaventarli e si mise a lavorare intaccando la neve dalla parte della porta, onde sgombrare innanzi a tutto la tettoia.

Mentre tentava di aprirsi il passaggio, i due ragazzi dovevano occuparsi di sciogliere la neve onde questa non ingombrasse tutta la casupola.

In una parete avevano aperto un buco e vi lasciavano colare l'acqua che proveniva dallo scioglimento operato dalla stufa scaldata a bianco.

Il vecchio Gurko lavorava con accanimento, servendosi ora del piccone ed ora della pala, aiutato di quando in quando anche dal bravo Nicolino.

Sgombrata la tettoia, avea intaccata animosamente l'enorme massa della valanga, scavando una specie di tunnel sufficiente per lasciarlo passare.

Quel lavoro però non durò molte ore. Aveva scavata una galleria lunga alcuni metri quando si trovò dinanzi a enormi ammassi di ghiaccio, travolti senza dubbio dalla valanga e accumulatisi intorno all'isba.

Provatosi ad intaccarli, s'accorse che non avevano la resistenza necessaria per sopportare l'enorme peso della valanga. La galleria appena scavata crollava e Gurko corse più volte il pericolo di venire sepolto sotto altri massi che cadevano dall'alto.

– Figli miei – disse, ritornando tristemente nella capanna. – Rassegniamoci al nostro destino.

– Cosa vuoi dire, padre? – chiese Nicolino.

– Che siamo prigionieri e che saremo costretti a passare l'intero inverno in questa nostra capanna.

– E resisterà tanto? – chiese Nicola.

– Solo Iddio può saperlo, figlio mio.

– Non v'è più nulla da tentare?

– Nulla, Nicola. I massi di ghiaccio ci sbarrano la via da tutte le parti. Prepariamoci ad affrontare coraggiosamente i pericoli ed auguriamoci di rivedere ancora le nostre montagne.

Avendo sgombrata la tettoia la quale era in parte occupata dalla legna accumulata dai due ragazzi, il minatore la demolì per poter, con quei pali, rinforzare nuovamente il tetto.

Aiutato dai figli, i quali si facevano in quattro per mostrarsi degni di lui, puntellò le travi maestre, poi le pareti e financo gli stipiti delle finestre e la porta.

Rassicurato da quel lato, divise i viveri in tante razioni onde non venissero a mancare prima dello sgelo, poi divise anche la provvista di fieno premendogli assai di conservare le capre per avere sempre del latte.

Ed ecco il minatore ed i due ragazzi cominciare una vera vita da Robinson in compagnia delle loro capre, sepolti sotto una massa così enorme di neve da non potersi ideare.

Le prime giornate non erano state scevre da seri timori, in causa di continui scricchiolìi che subivano le travature, ma poi avevano finito coll'abituarsi.

Per ingannare meglio il tempo, tutti lavoravano.

Gurko, pratico in molte cose, come già lo sono quasi tutti i contadini russi, si preparava attrezzi, o lavorava legnami, o conciava le pelli che aveva accumulate durante l'estate o preparava nuove vesti pei figli colle calde pellicce degli orsi. Nicola, molto più destro del fratello, aiutava il padre in quei diversi lavori e si occupava della cucina mentre Michele, troppo piccolo ancora per essere utile alla famiglia, s'ingegnava ad addomesticare le sue capre.

Le giornate così trascorrevano abbastanza liete pei poveri sepolti. Si lamentavano solamente della straordinaria umidità che regnava nella loro casa, prodotta dal calore della stufa.

Le nevi, sciogliendosi attorno alla capanna, lasciavano gocciolare abbondantemente l'acqua attraverso le fessure del tetto bagnando ogni cosa, perfino il letto dei due ragazzi.

Eccettuato questo inconveniente assolutamente irrimediabile, la vita non era troppo triste, pei sepolti vivi. Di quando in quando però provavano delle vere angosce ed era allorché scoppiavano sulla montagna delle bufere.

Quantunque si trovassero sotto la neve, i mille fragori prodotti dagli uragani, giungevano distintamente fino a loro.

Udivano il lontano rombo delle valanghe e talvolta anche i furiosi ruggiti del vento siberiano.

Allora le travi della loro casupola, sotto le scosse incessanti prodotte da altre masse di neve capitombolanti dalle cime, scricchiolavano lugubremente e le pareti provavano delle oscillazioni che facevano impallidire il minatore.

A metà febbraio, dopo due lunghi mesi di prigionia, la capanna che fino allora aveva resistito a quell'enorme peso, un mattino cominciò a dare dei segni di decrepitezza.

Una delle pareti si era incurvata minacciosamente e alcune travi, guastate dall'umidità accennavano a cadere.

– Padre – disse Nicola, il quale se n'era accorto pel primo. – La nostra fine si avvicina. La capanna non resiste più.

– Dobbiamo tentare tutto per uscire – disse il minatore con voce angosciata. – Non so se domani la nostra isba sarà ancora in piedi. Se ti preme la vita, aiutami, figlio mio, e cerchiamo di riaprire il corridoio.

Il pericolo incalzava. Il tetto e le pareti continuavano a scricchiolare e le travature si spostavano.

Fortunatamente la galleria scavata due mesi prima dal minatore, non si era chiusa. Anzi si era formata una specie di vôlta di ghiaccio la quale aveva impedito alla neve soprastante di abbassarsi.

Il minatore temendo una improvvisa catastrofe, fece uscire anche Michele e le capre e porre sotto la tettoia, la quale pareva ancora in ottimo stato, le provviste e le sue poche ricchezze.

– Affrettiamoci, Nicola – disse. – Questo è il momento di mostrarsi uomo e di lavorare come un uomo.

Si cacciarono entrambi nella galleria portando picconi e badili e assalirono con furore la crosta gelata che pareva avvolgesse tutta la casupola.

Il piccolo Michele con un canestro portava via i rottami accumulandoli sotto la tettoia onde il padre ed il fratello potessero lavorare più liberamente.

Quando dopo parecchie ore di lavoro tornarono nell'isba, s'accorsero con loro grande terrore che il tetto aveva cominciato ad abbassarsi e che le pareti s'erano maggiormente piegate.

La casupola non reggeva più all'enorme peso. Stava per crollare lasciando quei miseri senza rifugio.

Perfino le capre davano segni d'inquietudine, belando insistentemente e cercando di rifugiarsi nella galleria non ostante gli sforzi del piccolo Michele.

– Non contiamo più sulla nostra casa – disse Gurko. – Essa è perduta per noi.

– E se crollasse e noi non potessimo proseguire il lavoro, cosa accadrebbe di noi, padre? – chiese Nicola, con voce alterata.

– Lavoriamo, figlio – rispose evasivamente il povero padre, lanciando uno sguardo disperato sui due fanciulli.

Stavano per riattaccare i massi di ghiaccio, quando un rombo spaventevole li arrestò.

La casupola aveva ceduto e la enorme massa di neve era precipitata attraverso il tetto sfondato, tutto seppellendo.

La sola tettoia, per un caso miracoloso, aveva resistito, salvando da certa morte il piccolo Michele e le quattro capre.

– Padre – disse Nicola. – Noi siamo perduti.

Gurko non aveva risposto.

Curvo verso l'estremità della galleria, ascoltava attentamente. Gli era sembrato d'aver udito un sordo rumore sopra la sua testa.

– Padre – disse Nicola. – Cosa ascolti?

– Odo del rumore – disse il vecchio. – Si direbbe che dei picconi percuotono la crosta gelata.

– Che qualcuno venga in nostro soccorso?

In quel momento i disgraziati udirono distintamente i latrati di un cane.

Gurko aveva mandato un grido:

– Ci cercano!

Un momento dopo attraverso lo strato gelato si udì una voce a gridare:

– Siete ancora vivi?

– Chi siete? Vi manda Iddio? – chiese il minatore, con voce tremante.

– Siamo montanari di Karsoff – rispose la voce di prima. – Veniamo in vostro soccorso.

– Dio sia ringraziato! Forse giungerete in tempo per salvarci – rispose il minatore.

Un momento dopo una parte della crosta gelata cadeva con fracasso, seppellendo in parte il minatore, Nicola e Michele e alcuni uomini comparivano attraverso lo squarcio.

Erano otto montanari di Karsoff. Avvertiti da un cacciatore d'orsi, che la capanna era stata seppellita dalle valanghe, da quarantott'ore lavoravano con accanimento per liberare i disgraziati e come abbiamo veduto erano giunti in tempo.

Accortisi che la valanga s'era abbassata, avevano raddoppiati gli sforzi, scavando una galleria obliqua ed erano riusciti a sfondare l'ultima crosta di ghiaccio.

Il minatore ed i suoi due figli, miracolosamente salvati, poche ore dopo ricevevano le più affettuose cure dagli abitanti di Karsoff, accorsi in massa ad incontrarli.