I predoni del Sahara/Capitolo 35 - La caccia ai rapitori

Capitolo 35 - La caccia ai rapitori

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Capitolo 35 - La caccia ai rapitori
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35 - La caccia ai rapitori


Un momento dopo, il marchese ed i suoi due compagni si slanciarono attraverso la tenebrosa foresta, risoluti ad affrontare qualunque pericolo.

I rapitori non dovevano avere molto vantaggio. Non erano trascorsi nemmeno due minuti dalle prime scariche e la boscaglia non permetteva di avanzare molto velocemente, tanto più ad uomini carichi d'una persona.

Il marchese s'avanzò a casaccio per cinque o seicento metri, aprendosi faticosamente il passaggio fra tutte quelle fronde e quelle radici, che intralciavano ad ogni istante la marcia; poi si arrestò improvvisamente, dicendo:

“I rapitori ci sono più vicini di quanto crediamo. Ho udito un leggero fischio risuonare a poca distanza.”

“Anch'io,” disse Rocco.

“Che siano i rapitori, od altri?” chiese Ben, angosciosamente.

“Spero che siano i negri che hanno rapito Esther,” rispose il marchese. “Avanziamo con prudenza e cerchiamo di sorprenderli.”

Si trovavano allora nella parte più folta della foresta.

Tronchi colossali, appena visibili a causa della profondissima oscurità, si rizzavano intorno a loro, mescolati ad un numero infinito di piante rampicanti, che cadevano in forma di enormi festoni.

I tre amici, dopo aver ascoltato qualche istante ancora, colla speranza di udire qualche nuovo segnale che meglio indicasse loro la direzione presa dai negri, si rimisero in cammino, smuovendo con precauzione le foglie e le liane, e gettandosi di quando in quando al suolo, per passare attraverso le molteplici radici che si allungavano in tutte le direzioni.

Un sussurrio lievissimo, che pareva prodotto dallo scrosciare di qualche foglia secca, li arrestò nuovamente.

Quel rumore si era fatto udire vicinissimo.

“Vi è qualcuno che cammina dinanzi a noi,” disse il marchese agli orecchi di Ben.

“E non è lontano più di otto o dieci passi,” rispose l'ebreo.

“Se potessimo sorprenderlo ed atterrarlo prima che abbia il tempo di gettare un grido!”

“Lasciate fare a me, marchese,” disse Rocco, che aveva udito il loro dialogo. “Con un pugno lo accoppo.”

“Non ammazzarlo. Ci occorre vivo per sapere dove hanno condotto Esther. M'immagino che ci sia qualche villaggio in questi dintorni.

“Va' mio bravo Rocco,” disse il marchese.

Il sardo si sbarazzò del fucile, fece cenno ai compagni di non muoversi e scomparve fra i cespugli, senza produrre alcun rumore.

Lo scricchiolio delle foglie si udiva sempre ad intervalli.

Il negro, che era forse uno dei rapitori, lasciato indietro per proteggere la ritirata, sicuro di non aver nulla da temere, si avanzava senza prendere troppe precauzioni.

Rocco che scivolava lestamente fra i tronchi degli alberi e fra le radici, tastando prima il suolo per non calpestare delle foglie secche, guadagnava rapidamente via. Il rumore diventava sempre più distinto. Ad un tratto però cessò bruscamente.

“Che quel briccone si sia accorto di essere seguito?” si chiese Rocco. “In tutti i casi non mi sfuggirai.”

Rasentò una macchia di piccoli banani, le cui foglie già immense proiettavano un'ombra cupa, e giunto all'estremità, guardò a destra ed a sinistra.

Essendovi in quel luogo uno squarcio nella volta di verzura, l'oscurità era meno fitta, e si poteva scorgere senza fatica un uomo, fosse pure nero come il carbone, scivolare fra le piante.

Con sua viva sorpresa, Rocco invece non riuscì a vedere nulla.

“Non sarà già scomparso sotto terra,” mormorò. “Che sia invece nascosto fra queste macchie?”

Si era alzato in piedi, quando sentì piombarsi addosso una massa pesantissima, e stringere il collo da due mani poderose.

Un altro uomo sarebbe certamente caduto; ma non l'erculeo isolano, il quale se aveva spalle solide, possedeva pure delle gambe che non si piegavano facilmente.

Allungò le braccia indietro e sentì il corpo nudo d'un uomo. “Ah! Credi di strangolarmi!” esclamò con voce strozzata.

Si lasciò cadere pesantemente al suolo, in modo che l'avversario rimanesse sotto.

Poi con una mossa fulminea si volse, ed a sua volta afferrò il negro pel collo, stringendolo così violentemente da fargli uscire tanto di lingua fuori dalla bocca; poi con un pugno ben applicato sul cranio lanoso, e con forza moderata per non farlo scoppiare, lo stordì.

“Il piccino è mio!” disse.

Il piccino! Si trattava d'un negro colossale invece, più alto del sardo, uno di quegli splendidi campioni dei rivieraschi del Niger, che sono i più belli ed i più robusti negri del continente africano.

Rocco, colla fascia di lana che portava ai fianchi, lo imbavagliò, gli legò le mani dietro il dorso, poi se lo cacciò sulle spalle e tornò verso il luogo dove aveva lasciato il marchese e Ben.

“Ecco fatto,” disse, gettando a terra il prigioniero, come se fosse un sacco di stracci. “Come ben vedete, l'impresa non è stata troppo difficile.”

Il prigioniero, tornato in sé, faceva sforzi disperati per liberarsi dai legami e dal bavaglio che lo soffocava.

Vedendo però un fucile puntato sul suo petto e sentendo il freddo della canna, credette miglior cosa starsene cheto.

“Parli l'arabo?” gli chiese il marchese.

Il negro fece col capo un cenno affermativo.

“Allora ti avverto che al primo grido che mandi, ti fucilo come un cane. Mi hai ben compreso? Rocco, levagli il bavaglio.”

Il sardo si affrettò ad obbedire.

Il prigioniero respirò lungamente, indi guardò i tre uomini, roteando i suoi occhiacci, nei quali si leggeva un profondo terrore.

“Eri solo in questa boscaglia?” chiese il marchese. Il negro scosse la testa senza rispondere.

“Parla,” disse il signor di Sartena, appoggiando il dito sul grilletto del fucile. “Se fra un minuto non avremo saputo tutto quello che desideriamo, tu non tornerai più vivo al tuo villaggio. La tua vita è appesa ad un filo, e noi non siamo uomini da prendersi in giro. Eri solo?”

“Sì,” rispose il negro.

“Dove sono i tuoi compagni?”

“Quali?”

“Quelli che hanno rapito la donna.”

“Sono già lontani.”

“Molto?”

“Sì, perché correvano all'impazzata, temendo di venir assaliti da voi.”

“Perché hanno rapito la donna?”

“Per paura dei kissuri e per guadagnare il premio promesso dal sultano di Tombuctu.”

“Dove sono i kissuri ora?”

“Non lo so. Erano giunti stamane al nostro villaggio per avvertirci del vostro passaggio, e minacciando di trucidarci tutti se non concorrevamo alla vostra cattura.”

“Dove si trova il tuo villaggio?” chiese il marchese al negro.

“A due miglia di qui.”

“È là che hanno portato la donna?”

“Sì.”

“Per consegnarla poi ai kissuri?”

“Certo.”

“Vuoi salvare la vita?”

“Ditemi che cosa devo fare.”

“Servirci di guida fino al tuo villaggio. Ricordati però che se tu cerchi di tradirci io ti fucilerò. In marcia e dinanzi a noi! Tu, Rocco, lo terrai per la fascia e non gli slegherai le mani.”

“Questo galantuomo non mi scapperà, siate sicuro,” rispose Rocco. Il negro, comprendendo che ogni tentativo di resistenza sarebbe stato vano, e forse troppo contento di essere sfuggito ad una morte che riteneva certa, si era prontamente alzato, dicendo:

“Seguitemi.”

“Potremo fidarci di quest'uomo?” chiese Ben al marchese.

“Se ha detto il vero, i negri del villaggio sono stati costretti ad agire contro di noi per salvare le loro famiglie.”

“Ci riconsegneranno Esther?”

“Se si rifiuteranno, gliela riprenderemo per forza. I negri hanno sempre temuto gli uomini di razza bianca.”

Il negro, sempre tenuto per la fascia da Rocco, procedeva con passo abbastanza rapido attraverso la foresta; tuttavia di quando in quando mostrava qualche titubanza e lo si vedeva curvarsi innanzi, come se cercasse di raccogliere qualche lontano rumore. Il marchese, che non lo perdeva di vista un solo istante, aveva notato quelle irresolutezze.

“Che cos'hai?” gli chiese, avvicinandoglisi. “Tu non sei tranquillo. Cerchi forse d'indovinare dove sono i tuoi compagni per attirarci in qualche imboscata?”

“No, signore.”

“Che cosa temi, dunque?”

“I kissuri.”

“Tanta paura hai di loro?”

“Chi disobbedisce al sultano di Tombuctu, viene fatto schiavo e la sua casa distrutta.”

“Dove si erano diretti stamane i kissuri?”

“Verso levante. Andavano ad avvertire i capi degli altri villaggi del vostro imminente arrivo, e di preparare barche e canotti per impedirvi di scendere il fiume.”

Erano allora giunti presso il margine della foresta. Dinanzi a loro si stendeva una pianura pantanosa, interrotta da enormi mazzi di canne. “Avete il piede solido?” chiese il negro.

“Perché ci domandi ciò?”

“Saremo costretti ad attraversare questi terreni paludosi e non vi è che un sentiero strettissimo.”

“Sono pericolosi i pantani?”

“Chi vi cade dentro non tornerà più alla superficie.”

“Allora cammina innanzi.”

Vi era un piccolo sentiero che tagliava la palude, formato a quanto pareva dalla costa d'una roccia, ed era così stretto che a malapena si potevano posare i piedi.

“Badate di non cadere,” disse il marchese. “Vi sono sabbie mobili a destra ed a sinistra.”

Il prigioniero osservò prima i due lati del sentiero, poi vi si avventurò. Aveva fatti dieci o quindici passi, quando si volse verso Rocco che gli veniva dietro, dicendogli:

“È impossibile che io possa avanzare se non mi sciogliete.”

“Devo scioglierlo, signore?” chiese il sardo al marchese.

“Non può scapparci. Anche se lo tentasse, le nostre palle lo raggiungerebbero.”

Rocco tagliò il nodo.

Il negro si strofinò le braccia per far riacquistare la loro elasticità, poi si avanzò con passo più sicuro sul sentiero e così rapidamente che Rocco ed i suoi compagni penavano a tenergli dietro.

Percorsero un mezzo chilometro, giungendo in un luogo ove, invece del pantano, si trovavano ai due lati del sentiero due ampi stagni ingombri di macchie di canne molto fitte e di erbe acquatiche.

“Guardate dove posate i piedi!” gridò il negro.

Mentre il marchese ed i suoi compagni, credendo che vi fosse un passaggio pericolosissimo, guardavano il suolo, il negro, con un salto improvviso, balzò in acqua, scomparendo ai loro occhi.

Rocco aveva mandato un grido ed una bestemmia. “Ce l'ha fatta quel brigante!”

Il marchese aveva armato precipitosamente la carabina, in attesa che il traditore rimontasse a galla per fargli scoppiare la testa.

Anche Ben aveva preso il fucile e, per essere più sicuro del suo colpo, si era inginocchiato sullo stretto passaggio.

Passarono però quindici, poi trenta secondi senza che il negro tornasse a galla. Era sprofondato nel fango del fondo e approfittando dell'oscurità e della sorpresa degli uomini bianchi si era nascosto fra i canneti?

“È caduto o si è gettato in acqua?” chiese Ben che essendo l'ultimo non aveva potuto vedere il salto del negro.

“È fuggito,” disse Rocco. “Io non l'ho veduto scivolare. Quel birbante ci ha condotti qui per farcela! E noi che gli abbiamo sciolte le mani. Scommetterei che si trova a pochi passi da noi e che sta ascoltando i nostri discorsi. Ah! se potessi almeno vedere un pezzetto della sua testa!”

“Orsù,” disse il marchese, dopo aver atteso qualche minuto ancora. “È inutile rimanere qui a perdere del tempo che per noi è troppo prezioso.”

“Dobbiamo tornare?” chiese Ben.

Il marchese stava per rispondere, quando udì in lontananza un gridio, accompagnato da alcuni colpi di fucile; poi vide alla estremità della pianura pantanosa brillare due fuochi.

“Mi pare che vi sia un villaggio laggiù,” disse. “Che i negri abbiano condotto là Esther? Che cosa ne dite, Ben?”

“Che preferirei andare innanzi, piuttosto che tornare,” rispose l'ebreo.

Le grida erano cessate; i fuochi invece continuavano ad ardere, lanciando in aria nuvoloni di fumo dai riflessi rossastri, e nembi di scintille che il venticello notturno spingeva fin sopra la pianura pantanosa.

Che un villaggio dovesse trovarsi in quella direzione, non vi era alcun dubbio. Anzi, forse quelle grida salutavano il ritorno dei rapitori.

“Avanti,” disse il marchese con tono risoluto. “Il cuore mi dice che Esther è là.”

Gettarono un ultimo sguardo verso i canneti per vedere se il negro si mostrava, poi ripresero le mosse, tastando prima il suolo pel timore di sentirselo improvvisamente mancare sotto i piedi.

Ogni dieci passi però Rocco, vendicativo come tutti i suoi compatrioti, si voltava indietro, maledicendo al traditore.

Il sentiero non accennava a cessare. Di quando in quando però, quella costa di roccia diventava così stretta che i tre uomini erano obbligati a reggersi l'un l'altro per non cadere.

Era vero che non vi erano più pantani pericolosi. A destra ed a sinistra i due stagni si prolungavano e pareva che fossero abitati da animali acquatici. Infatti di quando in quando si udivano dei tonfi e anche la coda d'un coccodrillo era stata scorta da Rocco che era sempre dinanzi a tutti.

Una mezz'ora dopo videro il sentiero allargarsi improvvisamente, poi si trovarono su di un terreno solido, cosparso di gruppi di banani, e di cespugli foltissimi.

I fuochi si trovavano lontani soltanto qualche miglio, e sullo sfondo illuminato si vedevano delinearsi certe cupole assai aguzze, che dovevano essere tetti di capanne.

“Il villaggio,” disse Rocco. “Dobbiamo andare innanzi o attendere l'alba?”

“Domani potrebbe essere troppo tardi,” rispose il marchese. “I kissuri non devono essere lontani, e potrebbero giungere prima che spunti il sole.”

“Sarà popolato quel villaggio?” chiese Ben. “Non siamo che in tre, marchese.”

“Ci avvicineremo con precauzione e non lo assaliremo se non quando ci saremo assicurati della probabilità della vittoria.”

“Silenzio, signore,” disse in quel momento Rocco.

“Che cosa c'è ancora?”

Rocco aveva fatto un salto innanzi, verso lo stagno. “Dove corri, Rocco?” chiese il marchese.

“Eccolo! Fugge! A me, signore!”

Un'ombra era sorta fra le canne che coprivano la riva dello stagno e fuggiva disperatamente in direzione del villaggio.

“Il nostro negro!” esclamò Ben.

“Addosso, Rocco,” gridò il marchese mettendosi pure a correre. L'ombra fuggiva con fantastica rapidità, saltando a destra ed a manca per impedire che lo prendessero di mira.

Rocco, risoluto ad impedirgli di giungere al villaggio, onde non spargesse l'allarme, aveva alzato il fucile.

“Non sparare, Rocco!” gridò il marchese.

Troppo tardi. Una detonazione aveva rotto il silenzio che regnava sulla riva dello stagno ed il negro, dopo aver spiccato tre o quattro salti, era caduto come un albero sradicato dall'uragano.

“Ecco pagato il conto,” aveva detto il vendicativo sardo. “Ora non tradirai più nessuno!”