I predoni del Sahara/Capitolo 2 - Tre contro mille
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2 - Tre contro mille
Quel piccolo edificio, che i fuggiaschi avevano occupato senza nemmeno prendersi la briga di chiedere il permesso al suo proprietario, si componeva di due sole stanze di pochi metri quadrati, ingombre di gabbie che servivano da sedili, di brocche, di cocome di rame, di tazze di metallo o di terra cotta, per la maggior parte schiacciate o screpolate, e di sacchetti di caffè.
I mobili consistevano in un banco massiccio e in un letto. Vi era anche un fornello di ferro su cui bolliva un pentolone d'acqua.
“Rocco,” disse il marchese, dopo aver gettato un rapido sguardo all'intorno. “Si può barricare la porta?”
“Il banco basterà,” rispose il colosso. “È pesante e di vera noce e arresterà le palle dei moschettoni.”
Detto ciò, spostò il banco che era stato infisso solidamente al suolo, poi senza alcuno sforzo lo trasportò fino alla porta, che fu chiusa fino a metà altezza.
L'ebreo vi aveva subito sovrapposto il fondo del letto, mentre il marchese accumulava rapidamente i sacchetti di caffè.
“È fatto,” disse Rocco.
“Ed a tempo,” rispose il marchese. “Ecco quei dannati fanatici che arrivano come una banda di lupi affamati.”
Urla feroci echeggiavano al di fuori. I fanatici ed i loro ammiratori, vedendo la porta barricata, erano montati in furore.
“Fuciliamoli!” gridò una voce.
“Adagio, mio caro,” disse il marchese, il quale non aveva perduto un atomo della sua flemma. “Non siamo già fagiani da lasciarci tranquillamente fucilare. Abbiamo anche noi delle palle e ne faremo buon uso.”
“E anche dell'acqua bollente,” aggiunge Rocco. “Basta salire sulla terrazza e vuotare la pentola.”
“M'incarico io,” disse l'ebreo.
“Vi consiglio di non mostrarvi, per ora. Sembra che siate molto odiato voi.”
“Perché sono ebreo.”
“Avete molti nemici in città?” chiese il marchese.
“Nessuno, signore; mi trovo a Tafilelt da soli due giorni e...”
La conversazione fu interrotta da un colpo di fucile.
Un marocchino si era avvicinato cautamente alla porta, tenendosi nascosto dietro la parete, ed aveva scaricato il suo moschetto attraverso una fessura lasciata fra i sacchetti; la palla era sibilata dinanzi al marchese ed all'ebreo.
Vedendo il marocchino fuggire, Rocco impugnò rapidamente la rivoltella che aveva deposto sul banco e a sua volta fece fuoco.
L'uomo mandò un grido, però continuò la corsa mescolandosi alla folla che si era fermata a cinquanta passi dall'edificio, non cessando un solo istante di urlare e di minacciare.
“Mancato?” chiese il marchese.
“No, toccato, signore,” rispose Rocco. “In Sardegna non si tira mica male.”
“E anche in Corsica,” rispose il marchese, ridendo.
“Ne ho avuto una prova poco fa, quando avete mandato quel fanatico a trovare Maometto con trenta grammi di piombo nella zucca.”
“Scherzate!” esclamò l'ebreo, stupito per l'inaudito sangue freddo dei suoi salvatori.
“Che volete? Io e Rocco ci divertiamo,” rispose il marchese.
“Non sperate che i marocchini ci lascino tranquilli, signore.”
“Bah! Si vedrà.”
“Ci piomberanno addosso e ci massacreranno.”
“E voi avete paura, è vero?”
“No, signore, ve lo giuro. Mi rincresce per voi... e per mia sorella,” disse il giovane con un sospiro.
“Ah! Voi avete una sorella? E dove si trova?”
“Presso un mio correligionario.”
“Al sicuro?”
“Lo spero.”
“Allora non inquietatevi; la rivedrete. Le guardie del governatore non lasceranno assassinare impunemente due europei.”
“Voi verrete forse salvati, ma non io... Io sono un ebreo ed il governatore non esiterà ad abbandonarmi alla folla.”
“Udiamo un pò: siete suddito marocchino?”
“Sono di Tangeri.”
“Vi conoscono le autorità di Tafilelt?”
“No, signore.”
“Allora noi affermeremo che siete sotto la protezione della Francia o dell'Italia e vedremo se oseranno toccarvi... Ah! Ricominciano? Rocco, bisogna tentare qualche cosa.”
“Signor marchese,” disse Rocco. “Vi sono quattro o cinque di quei birbaccioni nascosti dietro il banco. Ci faranno una scarica addosso.”
“Mi pare che la pentola del caffè sia piena. Perché non offriamo a quei messeri un buon sorso di Moka?”
“Una fontana, signor marchese.”
“Li peleremo vivi.”
“Peggio per loro.”
Mentre il marchese e l'ebreo si ritiravano dietro le pareti per non ricevere una scarica a bruciapelo, il sardo si munì d'uno straccio, levò dal fornello l'enorme pentola che conteneva per lo meno dieci litri di Moka più o meno autentico e salì la scaletta che metteva sul terrazzo.
Si tenne curvo fino al parapetto per non farsi fucilare dai moschetti che brillavano fra la folla tumultuante, poi alzò bruscamente la pentola e la rovesciò, gridando “Guardatevi le teste! Brucia!”
Urla terribili, strazianti, s'alzarono dinanzi alla porta. Cinque o sei uomini si scagliarono come pazzi attraverso la piazza, comprimendosi le teste e ululando come belve feroci.
“Che innaffiata!” esclamò il gigante.
Venti o trenta colpi di fucile partirono fra la folla. Il sardo però, che stava attento alle mosse degli assedianti, aveva avuto il tempo di abbassarsi, sicché le palle non fecero altro che scrostare la cima del parapetto.
“Anche se non hanno polvere inglese, non tirano mica male,” brontolò il sardo. “È meglio scendere e riempire la pentola.”
Scese poi la scala a precipizio, mentre una seconda grandine di palle cadeva sibilando sulla terrazza.
“Pare che ora l'abbiano più con te che con questo signore,” disse il marchese. “Sono male armati, caro il mio Rocco. Hanno certi moschettoni, che fanno più fracasso che danno.”
“E qui, come la va?” domandò all'ebreo.
“Sono fuggiti.”
“Sfido io! Dopo quel caffè!”
“Nondimeno mi pare che altri tornino alla carica,” osservò l'ebreo.
“E noi saremo pronti a riceverli, signor...”
“Ben Nartico,” rispose l'ebreo.
“Si direbbe dal nome che siete mezzo arabo e mezzo spagnuolo.”
“Può essere, signor...”
“Marchese di Sartena.”
“Un corso, forse?” chiese l'ebreo.
“Sì, signor Nartico. Un isolano al pari del mio fedele Rocco il quale invece è sardo.”
“Ecco là i marocchini, li vedete?... Per bacco!... giungono a passi di lupo. Alto là!... Qui ci siamo noi!”
Due colpi di rivoltella accompagnarono quelle parole, seguiti dai due colpi di pistola dell'ebreo.
“Tira bene l'israelita,” mormorò Rocco, vedendo uno degli assalitori girare su se stesso e piombare a terra.
A quei due colpi di rivoltella e di pistola rispose però un nutrito fuoco di fucileria che fece balzare indietro i tre assediati.
I marocchini avevano cominciato la battaglia sul serio. Le palle fischiavano attraverso la porta schiacciandosi contro le pareti e staccando larghi pezzi di calce, si cacciavano, con sordo rumore, nel pancone di legno crepandolo.
Essi avanzavano a masse compatte, incoraggiandosi con urla feroci, risoluti questa volta ad opprimere i tre kafir che osavano sfidare una intera popolazione.
“Signor di Sartena,” disse l'ebreo, “sta per suonare la nostra ultima ora.”
“Ho ancora tre palle,” rispose freddamente il gentiluomo.
“Ed io ho le mie cariche intatte,” aggiunse Rocco.
“La vita di otto uomini.”
“E le mie braccia non le contate, marchese? Valgono qualche cosa.”
“Ma vi sono almeno mille uomini sulla piazza,” disse l'ebreo. “Avete un pugnale?”
“E me ne servirò, signore, non dubitate.”
“Abbiamo già un bel numero e... Toh! Cos'è questo fracasso? Si direbbe che la cavalleria carichi sulla piazza.”
Fra le urla della folla si udivano distintamente dei nitriti di cavallo, un fragor di zampe ferrate che percuotevano le pietre e grida di:
“Balak!... Balak!... [largo!... largo!...]”
“Pare che ci giungano dei soccorsi,” disse Rocco, il quale guardava fuori. “Vedo la folla che si precipita a destra e a manca e scorgo dei cavalieri.”
“Che quel brav'uomo di governatore si sia finalmente deciso a non lasciarci scannare?” disse il marchese. “Giunge un pò in ritardo, però ancora a tempo per salvare la pelle nostra e anche quella dei suoi amministrati. M'immagino la scena che ci farà.”
“Con una buona borsa d'oro si calmerà subito, signore,” disse Ben Nartico. “Se mi permettete gliela offrirò a vostro nome.”
“Un favore che non rifiuterò, perché in questo momento non ho più un luigi in tasca. Più tardi vi rimborseremo.”
“Oh! Signor marchese!” esclamò Ben Nartico. “Tocca a me pagare e vi sarò per sempre riconoscente.”
“Ecco un ebreo che è un pò diverso dagli altri,” mormorò Rocco. “Deve essere un buon ragazzo.”
Intanto, i cavalieri, dopo aver respinto brutalmente la folla adoperando le aste delle lance, si erano fermati di fronte al caffè.
Erano una trentina, tutti di alta statura e neri come carboni, giacché le migliori truppe vengono reclutate fra i negri dell'interno, importati prima come schiavi, uomini coraggiosi e fidati che non esitano a dare addosso ai mori, agli arabi ed agli ebrei che formano la maggioranza della popolazione marocchina.
Indossavano tutti degli ampi caffettani, azzurri o rossi, cappe bianche e fez a punta ed avevano le gambe nude ed i piedi chiusi in babbucce di cuoio giallo, armate di speroni a due punte di ferro, molto lunghe.
Montavano cavalli piccoli, cogli occhi ardenti, la fronte un pò schiacciata, la testa bellissima ed il ventre stretto, animali impareggiabili che corrono come il vento, che resistono alle fatiche e alla sete e che volteggiano con una rapidità ed agilità veramente straordinarie, quantunque portino una sella altissima e assai pesante.
Precedeva il drappello un uomo d'aspetto maestoso, dalla tinta molto bruna, con una barba imponente, un turbante bianco, cappa azzurra ricamata in oro, calzoncini rossi, stivali di cuoio giallo ed un caic bellissimo, di stoffa trasparente.
“Il governatore!” esclamò il marchese, il quale aveva subito riconosciuto quel superbo cavaliere. “Ben gentile, l'amico!...”
“O troppo pauroso?” disse Rocco. “Scommetterei che ha creduto di vedere le corazzate francesi ed italiane navigare sulle sabbie del deserto.”
“Per venire a bombardare la sua città,” aggiunse il marchese.
Il colosso in tre colpi abbatté la barricata e intanto il governatore era giunto dinanzi alla porta. Questi, vedendo uscire il marchese colla rivoltella ancora in mano, corrugò la fronte e fece indietreggiare vivamente il suo cavallo.
“Non temete, Eccellenza,” disse il corso.
“Quali imprudenze avete commesso per scatenare contro di voi tutta la popolazione? Voi avete dimenticato di essere uno straniero e anche un cristiano,” disse il governatore, con accento severo.
“Datene la colpa ai vostri amministrati, Eccellenza,” rispose il marchese, fingendosi in collera. “Come? Non si può passeggiare per le vie di Tafilelt forse? In Francia ed in Italia questa libertà non è negata a nessuno straniero, sia pure anche un marocchino.”
“Voi avete ucciso dei sudditi del sultano.”
“Dovevo lasciar uccidere i miei servi?...”
“Mi hanno detto che non si trattava d'uno dei vostri servi bensì d'un immondo ebreo.”
“Quello che voi chiamate, con poco rispetto, un immondo ebreo era un mio servo, Eccellenza.”
“Voi avevate un israelita ai vostri servigi?” chiese il governatore, stupito. “Perché non me lo avete detto? L'avrei fatto rispettare, non amando il sultano avere fastidi colle potenze europee.”
“Credevo che non fosse necessario dirvelo.”
“Così vi siete messo in certi impicci che possono avere conseguenze gravi. I miei concittadini sono furibondi e reclamano giustizia. Volete un consiglio? Consegnate loro l'ebreo e lasciate che lo appicchino.”
“Non ho l'abitudine di lasciar trucidare i miei servi senza difenderli e mi vedrei costretto ad impegnare la lotta contro i vostri concittadini.”
“Uno contro mille!... Vi ucciderebbero subito.”
“E la Francia più tardi vendicherebbe la mia morte come l'Italia vendicherebbe quella del mio compagno.”
Udendo quelle parole, la fronte del governatore si era oscurata.
“Ah, no!” disse. “Non voglio complicazioni diplomatiche che potrebbero condurre ad una guerra disastrosa per noi... Se non volete consegnare l'ebreo, almeno affrettate la vostra partenza; io non posso rispondere sempre della vostra vita.”
“Fatemi preparare la carovana ed io me ne vado.”
“Badate, il gran deserto è pericoloso e qualcuno potrebbe seguirvi.”
“Mi difenderò.”
“Venite con me, ora. Questa sera partirete.”
“Volete condurmi al vostro palazzo?”
“È l'unico luogo ove potrete essere al sicuro. Mettetevi in mezzo alla mia scorta assieme ai vostri compagni.”
“Come arrestati?...”
“Lasciate che dia alla folla questa piccola soddisfazione. Avrete tutto da guadagnare.”
“Sia pure,” disse il marchese. “Rocco, Nartico, andiamo e non lasciate le armi. Non c'è da fidarsi.”
“E mia sorella?” gli chiese l'israelita.
“Ah!... diamine!... Mi dimenticavo che voi avete una sorella. Bah!... Troveremo un mezzo per farla avvertire che voi siete salvo. Per ora accontentatevi di essere ancora vivo.”