I predoni del Sahara/Capitolo 17 - Un'ecatombe

Capitolo 17 - Un'ecatombe

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17 - Un'ecatombe


Su una vasta pianura che s'abbassava in forma d'imbuto, una numerosa carovana giaceva senza vita, abbattuta fra le sabbie.

Uomini, cammelli, cavalli e asini, confusamente mescolati, in mezzo ad armi, a casse, a barili, a pacchi d'ogni forma e dimensione, ma sventrati e fracassati, riposavano insieme, nell'eterno sonno della morte.

Un silenzio profondo, rotto solamente dal lugubre gridio degli uccelli da preda, volteggianti su quell'ecatombe, regnava in quell'immenso carnaio che l'ardente sole del Sahara aveva già cominciato a decomporre.

“Che cosa è successo qui?” chiese il marchese, con voce strozzata. “Chi ha potuto causare la morte a questa carovana?”

“I pirati del deserto, signore,” rispose Ben Nartico, rabbrividendo. “Guardate! Il campo, dopo la vittoria dei briganti, è stato saccheggiato.”

“Ma quando?”

“Forse da non più di ventiquattro ore.”

“Che i Tuareg si aggirino da queste parti?”

“Tutto lo indica, marchese.”

“Fuggiamo, Ben! Fuggiamo!”

“No, marchese: forse la morte di questa carovana ci salva.”

“Perché dite questo?”

“Qui troveremo dell'acqua. Vedo un gran numero di otri dispersi fra le sabbie e non tutti saranno vuoti.”

“Non avrò il coraggio di mettere i piedi in questo carnaio,” disse il marchese.

“Vi manderemo i beduini.”

“Venite, Ben; quest'aria pestifera è pericolosa.”

Stavano per spronare i cavalli, quando in mezzo a quella distesa di morti udirono echeggiare un grido umano, rauco, straziante: “Acqua! Ac...qua!”

“Un uomo che vive ancora!” esclamò il marchese. “Ho ben udito io?”

La medesima voce, più straziante di prima, s'alzò fra i morti: “Ac... qua! Ac... qua!”

“Vi è un uomo da salvare,” disse il marchese, profondamente commosso.

Rifiutandosi i cavalli d'avanzare, scesero da sella, presero i fucili e si diressero verso il luogo ove avevano udito levarsi quel lamento. L'odore che esalava quell'ammasso di cammelli e d'uomini era tale, che il marchese fu costretto ad arrestarsi più volte.

Dovunque v'erano gruppi di morti coperti di ferite.

Molti erano stati già decapitati, avendo l'abitudine quei feroci predoni di sospendere alle selle dei loro rapidi mehari le teste dei vinti nemici, onde mostrarli alle donne delle loro tribù, come prove del loro indomito valore. Perfino i cammelli non erano stati risparmiati e se ne vedevano moltissimi coricati gli uni addosso agli altri e uccisi a colpi di fucile, tirati forse a bruciapelo.

“Che macello!” esclamò il marchese. “Ah! Sono ben terribili quei Tuareg!...”

“Quando escono dai loro inaccessibili covi, portano dovunque la strage,” rispose Ben Nartico. “Guai allora alle carovane che incontrano sul loro cammino e che osano tentare la resistenza!”

“Forse questi disgraziati marocchini, fidando nelle proprie forze e nel proprio numero, hanno tentato di far fronte all'assalto di quei briganti e hanno pagato colla morte il loro coraggio.”

“Ac... qua!... Ac... qua!” ripeté in quell'istante la voce, con un accento così disperato che il marchese si sentì correre un brivido per tutte le ossa.

Erano allora giunti presso una duna dietro la quale si vedeva un gruppo di dodici o quindici marocchini, che dovevano aver opposto una vigorosa resistenza. Tutto intorno le sabbie erano inzuppate di sangue e s'aggiravano dei brutti avvoltoi, i quali di quando in quando si gettavano su quei cadaveri, staccando dai volti lunghi brandelli di carne.

Il marchese, dato uno sguardo su quei miseri, le cui ossa dovevano rimanere insepolte, a calcinarsi lentamente sotto la pioggia di fuoco del sole africano, stava per salire una seconda duna, quando a pochi passi, su un terreno scoperto, vide sorgere e dimenarsi una testa umana e quasi contemporaneamente udì una voce lamentevole, strozzata ripetere per la quarta volta: “Ac...qua!... Ac... qua!”

Il marchese e Ben Nartico si erano precipitati innanzi, mandando un grido di sorpresa e d'orrore.

Un essere ancora vivo, forse l'unico superstite di quell'ecatombe, stava dinanzi a loro, sepolto nella sabbia fino al collo, avendo davanti a sé, fuori di portata dalle labbra, un vaso contenente ancora un pò d'acqua.

Quel disgraziato, che i feroci Tuareg avevano condannato al supplizio di Tantalo, per farlo morire di sete coll'acqua dinanzi agli occhi, aveva il volto spaventosamente alterato, le labbra screpolate e contratte e le orbite orribilmente dilatate.

Vedendo comparire il marchese e Ben, le sue pupille, che avevano strani bagliori, si fissaron su di loro, con terribile ansietà ed insieme paura. “Acqua!...” gridò.

Non era più una voce umana, era un vero ruggito di belva.

Poi era rimasto immobile, cogli occhi sempre spaventosamente fissi sui due salvatori, mentre le sue mascelle s'abbassavano lentamente con un lugubre crepitio.

“Disgraziato!” esclamò il marchese. “Quei mostri non potevano immaginare un supplizio più atroce!”

S'armarono entrambi d'una di quelle larghe sciabole che avevano veduto presso i marocchini e si misero a scavare febbrilmente la sabbia. Ad un tratto, quando già Ben ed il marchese l'ebbero quasi disseppellito, parve che acquistasse tutto d'un colpo l'elasticità delle membra.

Con uno scatto improvviso, fulminea, e prima ancora che il marchese avesse pensato a trattenerlo, si era slanciato fuori da quella buca che avrebbe dovuto servirgli da tomba, gettandosi sul vaso.

Afferrarlo e vuotarlo d'un fiato, fu la questione d'un secondo. “Fermatevi!” aveva gridato il marchese. “Vi ucciderete!...”

Era troppo tardi. Il liquido era ormai scomparso ed il disgraziato era piombato al suolo come se fosse stato toccato da una bottiglia di Leyda.

“Morto?” chiese Ben. “Forse no.”

Il marchese si era curvato sul pover'uomo, posandogli una mano sul petto.

“Il suo cuore batte ancora,” disse. “Trasportiamolo al campo e cerchiamo di salvarlo. Un uomo di più non ci sarà di peso, specialmente ora che abbiamo la speranza di trovare degli otri pieni d'acqua.”

“Ve ne saranno qui,” rispose Ben. “Ai Tuareg premono le merci e le armi e non già l'acqua. Sanno dove si trovano i pozzi e ne hanno in abbondanza.”

Presero il disgraziato per le gambe e per le braccia e si diressero verso i cavalli.

Era un uomo di trent'anni, magrissimo, di statura piuttosto alta, colla pelle abbronzata ed i lineamenti molto più regolari di quelli che si riscontrano ordinariamente fra gli abitanti del Sahara.

Due piccoli baffi, piuttosto radi, gli ombreggiavano il labbro ed il mento portava un lungo pizzo simile a quello che usano avere gli algerini soggetti alla Francia.

Anche le vesti che indossava erano diverse da quelle dei cammellieri delle oasi e dei marocchini: aveva larghi calzoni di stoffa rossa, casacca di panno azzurro con alamari pure rossi e alle gambe alte uose di tela.

“O m'inganno assai o quest'uomo è qualche algerino,” disse il marchese. “Se non muore, sapremo chi è.”

Quando giunsero ai cavalli, lo caricarono sull'animale più docile e s'affrettarono a giungere al campo, dove Esther e Rocco li aspettavano con viva impazienza, tenendo in freno i beduini che la sete aveva reso furiosi.

Appena questi ultimi appresero la notizia del massacro, si slanciarono all'impazzata verso il campo della morte, spinti un po' dall'avidità del saccheggio, ma soprattutto dalla speranza di trovare ancora dell'acqua negli otri della carovana.

Intanto il marchese, fatta rizzare una tenda e stendere alcuni tappeti, aveva coricato il moribondo, il quale continuava a dare pochi segni di vita. Poscia, aiutato da Rocco e da Ben, gli aprì i denti che teneva chiusi con forza suprema e gli versò fra le inaridite fauci alcune gocce di vecchio cognac. Un sonoro sternuto, accompagnato da una smorfia spasmodica, fece capire al marchese che l'ultimo superstite del massacro non era così malandato come credeva.

“Quest'uomo deve essere di ferro,” disse. “Lo credevo moribondo, mentre invece mi ha l'aria di voler risuscitare molto presto.”

Gli fece inghiottire a più riprese parecchi cucchiai d'acqua zuccherata, lo coprì con un caic e lo lasciò tranquillo.

Quando uscì in compagnia di Esther, vide i due beduini ed il moro ritornare carichi di otri gonfi d'acqua.

“Padrone, siamo salvi!” gridò El-Haggar, precipitandosi verso il marchese. “Prendete, bevete senza risparmio, vi è acqua in abbondanza laggiù.”

“Hai riconosciuto nessuno di quei morti?” chiese il marchese, dopo essersi dissetato abbondantemente.

“No, signore,” rispose El-Haggar.

“Credi che i Tuareg si siano allontanati?”

“Lo suppongo, signore. Devono aver fretta di mettere in salvo le merci prese.”

“Quanti uomini componevano la carovana, secondo i tuoi calcoli?”

“Dovevano essere per lo meno duecento,” rispose il moro.

“Allora i Tuareg erano moltissimi.”

“Talvolta si radunano in parecchie centinaia per dare addosso alle grosse carovane. Una volta ho veduto una banda forte di cinquecento cavalieri.”

“Che tornino qui?” chiese il marchese.

“È probabile che vengano a raccogliere il resto, armi e oggetti,” disse El-Haggar.

“Sarebbe quindi un'imprudenza fermarci qui.”

“Sì, signore. Non spira buon'aria per noi, qui.”

“Vi sono degli altri otri da raccogliere?” domandò Ben.

“Ne abbiamo veduti molti,” rispose il moro.

“Andiamo a prenderli,” disse Rocco. “L'acqua è troppo preziosa per lasciare che la beva il sole. Condurremo con noi quattro cammelli e vi raggiungeremo più innanzi.”

“Spicciatevi dunque,” disse il marchese. “Ci accamperemo più al sud.”

Mentre Rocco, El-Haggar ed i beduini partivano pel campo della morte, il marchese, Esther e Ben abbeveravano gli animali per rianimarli, poi caricarono sul cammello coperto dalla tenda il supposto algerino, senza che quel disgraziato avesse riaperto gli occhi.

“Partiamo,” disse il marchese. “Ben, Esther, i fucili in mano, non si sa mai quello che può accadere.”

Radunarono i cammelli, girarono al largo dal campo della morte e si diressero verso il sud-ovest, passando fra due altissime file di dune, le quali serpeggiavano capricciosamente attraverso il deserto.

Avendo scorto, parecchie miglia più a mezzodì, una specie di bastione roccioso, volevano raggiungerlo e stabilire colà il loro accampamento, onde poter dominare un vasto tratto del Sahara e quindi evitare una sorpresa da parte dei feroci predoni.

Una mezz'ora più tardi Rocco, i beduini ed El-Haggar li raggiungevano coi quattro cammelli. Avevano raccolto quattordici otri quasi tutti pieni d'acqua, provvista sufficiente per permettere di raggiungere Marabuti senza correre il pericolo di dover provare ancora le atroci torture della sete.

Alle due del mattino la carovana giungeva finalmente dinanzi all'ammasso di rocce che aveva scorto in lontananza.

Era una collinetta isolata, formata da rupi addossate le une alle altre, con spaccature e piccole caverne, che poteva servire da cittadella nel caso d'un attacco da parte dei predoni.

“Riposiamoci qui qualche giorno,” disse il marchese. “Ora che l'acqua non ci fa difetto, possiamo permetterci questo lusso.” Scaricarono i cammelli, rizzarono le tende, circondandole colle casse e si accamparono.

L'algerino fu levato di peso e portato sotto una piccola tenda che era stata addossata alla rupe. Non si era ancora risvegliato; però il suo sonno era tranquillo e la sua respirazione era diventata regolare.

“Domani questo diavolo d'uomo sarà in piedi,” disse il marchese. Mentre Rocco ed El-Haggar preparavano la cena ed i beduini raccoglievano alcune bracciate di sterpi, che crescevano tra le fessure delle rupi, il marchese, Ben ed Esther salirono la collinetta dalla cui cima potevano abbracciare una vasta estensione di deserto.

Essendo la notte chiara e l'orizzonte limpidissimo, era facile scoprire un uomo od un cammello ad una distanza straordinaria.

“Non si scorge nessun essere vivente,” disse Ben, il quale aveva raggiunto pel primo la cima. “Non vedo che dune di sabbia e laggiù delle bande di uccelli di rapina che si dirigono verso il campo della strage.”

“Che i Tuareg abbiano i loro duar molto lontani?” chiese il marchese.

“Vi ripeterò ciò che vi ha detto il vecchio Hassan: le distanze non si calcolano nel deserto ed i Tuareg non si spaventano a scorrazzare anche a cinque o seicento miglia dalle loro oasi.”

“Dove saranno andati? A levante, ad occidente o al sud? Temo di trovarli sulla nostra via.”

“Dio ci guardi da un tale incontro, marchese. Quei ladroni non ci risparmierebbero, soprattutto voi e Rocco che siete per loro degli infedeli.”

Accertatisi che pel momento nessun pericolo li minacciava, ridiscesero la collinetta e rientrarono nel campo dove li attendeva la cena. Mezz'ora dopo tutti dormivano sotto la guardia di El-Haggar a cui spettava il primo quarto.