I pirati della Malesia/Capitolo XX - Il combattimento
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Capitolo XX
Il combattimento
La detonazione non era ancora cessata, che urla spaventevoli rimbombavano nella prateria, a destra, a sinistra e dinanzi agl’indiani.
Subito dopo, dieci, quindici, venti schioppettate partivano dai cespugli con rapidità fulminea. Una quindicina di indiani, parte morti e parte feriti, rotolavano fra le erbe, prima ancora che avessero potuto far uso delle loro armi.
— Avanti, miei Tigrotti! — urlò la Tigre della Malesia, scavalcando il muricciuolo, seguito da Kammamuri, da Aier-Duk e da altri. — Addosso a quei cani!
Sambigliong e Tanauduriam si slanciarono fuori dai cespugli colla scimitarra in pugno, traendosi dietro i loro drappelli.
— Viva la Tigre della Malesia! — urlarono gli uni.
— Viva Sandokan! Viva Mompracem! — urlarono gli altri.
Gl’indiani, vedendosi venire addosso tutti quegli uomini, si riunirono rapidamente, sparando a casaccio i fucili. Tre o quattro pirati caddero insanguinando il suolo.
— Avanti, tigrotti! — ripetè la Tigre.
I pirati, incoraggiati dal loro capo, si gettarono furiosamente contro i ranghi indiani, sciabolando senza pietà quanti si trovavano a loro dinanzi.
L’urto fu così terribile che gl’indiani si ripiegarono confusamente gli uni addosso agli altri, formando una massa compatta di corpi umani.
La Tigre della Malesia vi penetrò, come un cuneo entro il tronco di un albero, e la divise in due.
Due, tre, cinque, dieci pirati lo seguirono prendendo alle spalle gli indiani, i quali avendo ormai perduto ogni speranza, si gettavano a destra ed a sinistra, cercando di salvarsi con una pronta fuga.
Dieci o dodici però tenevano duro e in mezzo a loro stava James Brooke.
Sandokan assaltò furiosamente quel gruppo, deciso a distruggerlo pur d’avere in mano il suo mortale nemico.
Kammamuri, Aier-Duk e Tanauduriam lo avevano seguito con parecchi altri, mentre Sambigliong dava la caccia ai fuggiaschi per impedire loro di riunirsi e di ritornare alla carica.
— Arrendetevi, James Brooke, — gridò Sandokan.
II rajah rispose con un colpo di pistola la cui palla fece stramazzare un pirata.
— Avanti, tigrotti! — urlò Sandokan, rovesciando un indiano che lo prendeva di mira.
Il gruppo, in meno che non si dica, malgrado la sua disperata resistenza, fu aperto dalle scimitarre o dai kriss avvelenati dei tigrotti di Mompracem. Kammamuri e Tanauduriam si gettarono sul rajah, impedendogli di seguire i suoi fedeli che fuggivano attraverso la prateria, inseguiti da Aier-Duk e dai suoi compagni.
— Arrendetevi! — gli gridò Kammamuri, strappandogli la sciabola e le pistole.
— Mi arrendo, — rispose James Brooke, che comprendeva essere inutile ogni resistenza.
Sandokan si fece innanzi colla scimitarra in pugno.
— James Brooke, — disse con accento beffardo, — sei mio. Il rajah, che era stato atterrato dal pugno di ferro di Tanauduriam, si alzò guardando in viso il capo dei pirati, che non aveva mai veduto.
— Chi sei tu? — chiese con voce strozzata dall’ira.
— Guardami in viso, — disse Sandokan.
— Saresti tu...
— Sono Sandokan, o meglio, la Tigre della Malesia.
— Ebbene, signor pirata, che cosa si vuole da James Brooke?
— Una risposta, innanzi tutto.
Un sorriso ironico sfiorò le labbra del rajah.
— E risponderò io? — disse.
— Sì; dovessi impiegare il fuoco per farti parlare. James Brooke, ti odio, sai, ma ti odio come sa odiare la Tigre. Tu hai fatto troppo male ai pirati della Malesia, e potrei vendicare quelli che tu hai spietatamente assassinati.
— E non avevo forse io il diritto di sterminarli?
— Ed anch’io avevo il diritto di sterminare gli uomini di razza bianca che mi avevano morso il cuore. Ma lasciamo i diritti e rispondete alla mia domanda.
— Parlate.
— Che avete fatto di Yanez?
— Yanez! — esclamò il rajah. — Vi interessa molto quell’individuo?
— Assai, James Brooke.
— Non avete torto.
— L’avete fatto prigioniero?
— Sì.
— Lo sospettavo. E quando?
— Questa sera.
— In quale modo?
— Siete troppo curioso, signor pirata.
— Sicché non volete dirmelo?
— Anzi, ve lo dirò.
— Parlate dunque.
— Conoscete lord Guillonk?
Sandokan nell’udire quel nome trasalì. Una profonda ruga si disegnò sulla sua ampia fronte, ma tosto si dileguò.
— Sì, — rispose con voce sorda.
— Se non m’inganno, lord Guillonk è vostro zio.
Sandokan non rispose.
— Fu vostro zio che riconobbe Yanez e che lo fece arrestare.
— Lui!... — esclamò Sandokan. — Ancora lui!... E dove trovasi Yanez?
— Nella mia abitazione, solidamente legato e ben guardato.
— Che farete di lui?
— Non lo so, ma vi penserò.
— Ci penserete? — esclamò la Tigre della Malesia, sorridendo, ma d’un riso che faceva fremere. — E non pensate, James Brooke, che siete in mia mano? E non pensate, James Brooke, che io vi odio? E non pensate che domani mattina non potreste essere più rajah di Sarawack?
Il rajah, quantunque possedesse un coraggio più che straordinario, a quelle parole era diventato pallido.
— Si vorrebbe uccidermi? — chiese egli con tono di voce che non era più calmo.
— Se non accettate lo scambio, lo farò, — disse freddamente Sandokan.
— Uno scambio? E quale mai?
— Che i vostri mi restituiscano Yanez ed io restituirò a voi la libertà.
— Vi preme dunque quell’uomo?
— Assai.
— Perché?
— Perché mi ha sempre amato come fossi suo fratello. Accettate la proposta?
— Accetto, — disse il rajah, dopo un momento di riflessione.
— Dovete lasciarvi legare ed imbavagliare.
— Perché?
— I vostri potrebbero ritornare qui in maggior numero e darci battaglia.
— Volete condurmi via?
— In un luogo sicuro.
— Fate quello che credete.
Sandokan fece un gesto a Kammamuri. Subito quattro barelle, formate di rami e portate da robusti pirati, si fecero innanzi. La prima era libera, la seconda era occupata da Tremal-Naik e le altre da due dayachi del drappello di Sambigliong, gravemente feriti.
— Imbavaglia e lega il rajah, — disse Sandokan al maharatto.
— Sta bene, capitano.
Con solide corde legò il rajah, lo imbavagliò con un fazzoletto di seta, indi lo fece collocare nella barella vuota.
— Dove andiamo, capitano? — chiese, quand’ebbe finito.
— Torniamo all’accampamento, — rispose Sandokan.
Accostò il fischietto d’argento alle labbra e cavò tre note acute.
I pirati che stavano inseguendo gli indiani, tornarono rapidamente indietro, con Sambigliong e Aier-Duk.
Sandokan fece rapidamente l’appello.
Undici uomini mancavano.
— Sono morti, — disse Tanauduriam.
— Partiamo, — comandò Sandokan, soffocando un sospiro.
Il drappello si mise rapidamente in cammino, cacciandosi sotto i boschi e descrivendo un semicerchio attorno alla collina dominata dal fortino. Dieci uomini, guidati da Sambigliong e da Tanauduriam, aprivano la marcia colle carabine sotto le ascelle, pronti a respingere qualsiasi attacco, poi venivano le barelle dei feriti, quella del rajah e quella di Tremal-Naik. Aier-Duk, con gli altri, chiudeva la marcia.
Il viaggio fu rapidissimo. Alle cinque del mattino, senza che avessero incontrato alcun indiano od alcun dayaco, giungevano al villaggio abbandonato, difeso da solide palizzate e da terrapieni.
Sandokan lanciò alcuni uomini a destra, a sinistra, dinanzi e all’indietro del villaggio, onde non venire improvvisamente attaccato dalle truppe di Sarawack, poi fece slegare il rajah, il quale durante il viaggio non aveva tentato di pronunciare alcuna parola.
— Se non vi dispiace, scrivete, James Brooke, — gli disse Sandokan, presentandogli un foglietto di carta e una matita.
— Cos’è che devo scrivere? — chiese il rajah che sembrava assai calmo.
— Che siete prigioniero della Tigre della Malesia e che per salvarvi bisogna porre immediatamente in libertà Yanez, o meglio lord Welker.
Il rajah prese il foglietto, se lo mise sulle ginocchia e si accinse a scrivere.
— Un momento, — disse Sandokan.
— C’è qualche cosa d’altro? — chiese l’inglese inarcando le ciglia.
— Aggiungete che se fra quattro ore Yanez non è qui, io vi appiccherò al più grosso albero della foresta.
— Sta bene.
— Un’altra cosa da aggiungere, — disse Sandokan.
— Ed è?...
— Che non tentino di liberarvi colla forza, poiché, al primo drappello armato che io scorgo, vi faccio egualmente impiccare.
— Pare che vi prema assai di vedermi appiccato, — disse il rajah, con ironia.
— Non lo nego, James Brooke, — rispose Sandokan, dardeggiando su lui uno sguardo feroce. — Scrivete.
Il rajah prese la matita e scrisse la lettera che poi passò a Sandokan.
— Va bene, — rispose questi, dopo averla letta. — Sambigliong!
Il pirata accorse.
— Porterai questa lettera a Sarawack, — disse la Tigre. — La consegnerai a lord James Guillonk.
— Devo prendere le mie armi?
— Nemmeno il tuo kriss. Va’ e torna presto.
— Correrò come un cavallo, capitano.
Il pirata nascose la lettera sotto la cintura, gettò a terra la scimitarra, la scure ed il kriss e partì di corsa.
— Aier-Duk, — disse Sandokan, volgendosi al pirata che gli stava vicino. Sorveglierai attentamente questo inglese.
— Fidatevi di me, capitano, — rispose il tigrotto.
Sandokan armò la sua carabina, chiamò Kammamuri che si era accoccolato presso il suo padrone addormentato e lasciò il villaggio dirigendosi verso un’altura dalla quale, in lontananza, vedevasi la città di Sarawack.
— Lo salveremo, il capitano Yanez? — chièse il maharatto che lo seguiva.
— Sì, — rispose Sandokan. — Fra due ore sarà qui.
— Siete certo?
— Certissimo. Il rajah vale quanto Yanez.
— State in guardia, però, capitano, — disse il maharatto. — Gl’indiani sono capaci di attraversare un bosco senza produrre il più piccolo rumore.
— Non temere, Kammamuri. I miei pirati sono più astuti degl’indiani e nessun nemico si avvicinerà al nostro villaggio senz’essere scoperto.
— Ci inseguirà poi, il rajah?
— Certamente, Kammamuri. Appena sarà tornato a Sarawack raccoglierà le sue guardie ed i dayachi e si lancerà dietro le nostre tracce.
— Sicché avremo una seconda battaglia.
— No, poiché partiremo subito.
Erano allora giunti sulla cima dell’altura, che alzavasi di parecchi metri sopra i più alti alberi della boscaglia.
Sandokan accostò le mani agli occhi per difenderli dai raggi solari e guardò attentamene il circostante paese.
A dieci miglia eravi Sarawack. Il fiume che le passava vicino spiccava chiaramente fra il verde delle piantagioni e sembrava un gran nastro d’argento.
— Guarda laggiù, — disse Sandokan additando al maharatto un uomo che correva come un cervo verso la città.
— Sambigliong! — esclamò Kammamuri. — Se mantiene quel trotto, sarà qui fra due ore.
— Lo spero.
Si sedette ai piedi di un albero, e si mise a fumare, guardando attentamente la città. Kammamuri lo imitò.
Trascorse un’ora lunga quanto un secolo senza che nulla accadesse; poi ne passò una seconda, più lunga della prima. Finalmente, verso le 10, un drappello di persone apparve vicino ad un boschetto di ippocastani.
Sandokan balzò in piedi. Sul suo viso, di solito così impassibile, era dipinta una viva ansietà. Quell’uomo, quel pirata sanguinario, lo si capiva, amava straordinariamente il suo fido compagno, il coraggioso Yanez.
— Dov’è? Dov’è?... — lo udì mormorare Kammamuri.
— Vedo una veste bianca in mezzo al drappello. Guardate! — disse Kammamuri.
— Sì, sì, la vedo! — esclamò Sandokan con indescrivibile gioia. — È lui, il mio buon Yanez. Presto, fratello mio, fa’ presto!
Stette lì, immobile, curvo, cogli occhi fissi su quel vestito bianco, poi quando vide il drappello scomparire sotto la grande foresta, si slanciò precipitosamente giù dall’altura, correndo verso il campo.
Due pirati che guardavano il bosco, giungevano nel momento stesso.
— Capitano! — gridarono, — essi vengono col signor Yanez.
— Quanti sono? — chiese Sandokan, che a stento padroneggiavasi.
— Dodici con Sambigliong.
— Armati?
— Senz’armi.
Sandokan accostò il fischietto alle labbra e cavò tre note acute acute. In pochi istanti tutti i pirati si trovarono a lui d’intorno.
— Preparate le armi, — disse la Tigre.
— Signore! — gridò James Brooke, che stava seduto ai piedi di un albero, attentamente guardato da Aier-Duk. — Volete assassinare i miei uomini?
La Tigre si volse verso l’inglese.
— James Brooke, — rispose con voce grave, — la Tigre della Malesia mantiene la sua parola. Fra cinque minuti voi sarete libero.
— Chi vive? — gridò in quell’istante una sentinella appostata a duecento metri dalle trincee.
— Amici, — rispose la voce ben nota di Sambigliong. — Abbassa il fucile.