I pirati della Malesia/Capitolo XXII - Le due prove

Capitolo XXII - Le due prove

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Capitolo XXI - La resurrezione di Tremal-Naik Capitolo XXIII - La rivincita del rajah Brooke

Capitolo XXII
Le due prove


Erano le due del pomeriggio.

Uno splendido sole fiammeggiava nel firmamento specchiandosi nelle acque azzurrognole della baia, e un leggero venticello, fresco, spirava dal mare, sussurrando misteriosamente fra le foglie degli alberi. Non si udiva né sull’isolotto, né nella baia alcun grido, all’infuori del monotono gorgoglio dell’onda che rompevasi contro le coste e lo svolazzare incessante e il cicaleccio delle cacatue nere e degli argus giganteus, splendidi uccelli della famiglia dei fagiani.

Tremal-Naik, in preda ad una vivissima eccitazione, Sandokan, Yanez e Kammamuri, camminavano a rapidi passi verso la punta settentrionale dell’isolotto, nascosta da una fitta cortina di alberi gommiferi e di piante rampicanti.

A quaranta passi dalla costa, uno dei guardiani della pazza, che stava sdraiato dietro un cespuglio, si alzò.

— La mia Ada? — chiese Tremal-Naik, precipitandoglisi incontro.

— È sulla sponda, — rispose il pirata.

— Che cosa fa?

— Guarda il mare.

— Dov’è l’altro tuo compagno?

— A pochi passi da qui.

— Va’ a levarlo e ritiratevi tutti e due nel fortino.

Tremal-Naik, Sandokan, Yanez e il maharatto attraversarono rapidamente la fitta cortina d’alberi e si arrestarono dall’altra parte. Un grido soffocato uscì dalle labbra dell’indiano.

— Ada!... — esclamò.

Spiccò un salto per slanciarsi verso la spiaggia, ma Sandokan fu pronto ad afferrarlo per i polsi.

— Calmatevi, — gli disse. — Non dimenticate che quella donna è pazza.

— Sarò calmo.

— Andate dunque. Noi vi aspetteremo qui.

Sandokan, Yanez e Kammamuri si sedettero sul tronco di un albero rovesciato e Tremal-Naik, in apparenza calmo, ma in realtà in preda ad una viva agitazione, si diresse verso la spiaggia.

Là, a pochi passi dal mare, seduta all’ombra di un bellissimo albero di garofani, i cui fiori spandevano un inebriante profumo, stava la Vergine della Pagoda colle mani incrociate sulla splendida corazza d’oro che scintillava pei riflessi dei numerosi diamanti, i neri capelli sciolti sulle spalle e gli occhi fissi sull’azzurra distesa d’acqua che veniva ad infrangersi con dolce mormorìo ai suoi piedi.

Non parlava, non si muoveva. La si sarebbe presa per una superba statua messa là per abbellire la spiaggia.

Tremal-Naik, col viso alterato, gli occhi fiammeggianti, ansante, s’avvicinava alla fidanzata con passo rapido e silenzioso. Si arrestò a due passi dalla giovinetta che pareva non l’avesse udito.

— Ada!... Ada!... — esclamò d’un tratto l’indiano con voce soffocata. La pazza non si mosse. Forse non lo aveva ancora udito.

— Ada!... Oh mia diletta Ada!... — ripetè Tremal-Naik, precipitandosi alle ginocchia di lei.

La Vergine della Pagoda, nel vedersi quell’uomo dinanzi che le tendeva le mani con gesto supplicante, s’alzò di scatto. Ella guardò fisso fisso l’indiano, poi fece due passi indietro mormorando:

— I Thugs!...

La pazza non aveva riconosciuto il fidanzato di un tempo.

— Ada!... mia diletta Ada! — gridò Tremal-Naik in preda ad una terribile disperazione. — Non mi riconosci più dunque?

— I Thugs!... — ripetè ella, ma senza manifestare terrore.

Tremal-Naik mandò un grido di dolore e di rabbia.

— Ma non mi riconosci più, Ada? — esclamò l’infelice, cacciandosi le unghie nelle carni. — Non ti ricordi più del disgraziato Tremal-Naik, del cacciatore di tigri della jungla nera?

“Ritorna in te, Ada ritorna in te. Non ti ricordi più di quelle sere in cui tu mi vedevi nella jungla? Non ti ricordi più di quella notte che io ti vidi nella pagoda sacra? Non ti ricordi più di quella notte fatale che i Thugs ci fecero prigionieri? Ada, o mia Ada, riconosci il tuo Tremal-Naik, riconoscilo!...

La pazza lo aveva ascoltato senza batter ciglio, senza fare il minimo gesto. Evidentemente più nulla ricordavasi. La pazzia aveva tutto spento nel cuore della povera donna.

— Ada, — riprese Tremal-Naik che non frenava le lagrime, — guardami fisso, guardami, o mia Ada. Non è possibile che tu non riconosca il tuo Tremal-Naik.

“Ma perché taci? Perché non guardi? Perché non ti getti fra le mie braccia? È forse perché hanno ucciso tuo padre?... Sì, ucciso... ucciso...

Il disgraziato indiano a quel terribile ricordo scoppiò in singhiozzi, nascondendo il viso fra le mani.

D’improvviso la pazza, che aveva assistito impassibile alla disperazione di quell’uomo che un tempo ella aveva idolatrato, fece un passo innanzi curvandosi verso terra. Il suo viso aveva subito un rapido cambiamento: era diventata più pallida e un lampo balenava nei suoi occhioni neri.

— Dei singhiozzi, — mormorò. — Perché qui si piange?

Tremal-Naik udendo quelle parole aveva rialzato il capo.

— Ada!... — gridò tendendo le braccia verso di lei. — Mi riconosci tu?

La pazza lo guardò per alcuni istanti in silenzio, aggrottando a più riprese le ciglia. Pareva che cercasse di rammentarsi ove aveva visto il viso dell’indiano e ove aveva udito la voce di lui.

— Dei singhiozzi, — ripetè. — Perché si piange qui?

— Perché tu non mi conosci più, Ada, — disse Tremal-Naik. — Guardami in viso, guardami.

Ella si curvò verso di lui, poi fece un passo indietro e diede in uno scoppio di risa.

— I Thugs! I Thugs! — esclamò.

Poi volse le spalle e si allontanò rapidamente, dirigendosi verso il fortino.

Tremal-Naik emise un urlo di disperazione.

— Gran Sivah! — esclamò tornando a scoppiare in singhiozzi. — Tutto è perduto! Ella non mi riconosce più!

Ricadde in ginocchio, poi si alzò di scatto, slanciandosi verso la pazza che stava per scomparire sotto un boschetto.

Ma non aveva fatto cinque passi che due braccia di ferro l’arrestavano.

— Calmatevi, Tremal-Naik, — disse una voce.

Era Sandokan che aveva lasciato il suo posto, seguito da Yanez e da Kammamuri.

— Ah! signore, — balbettò l’indiano.

— Calmatevi, — ripetè Sandokan. — Tutto non è ancora perduto.

— Non mi riconosce più. Ed io che credevo di stringerla ancora, dopo tanto tempo, tante angosce e tante torture, fra le mie braccia! Tutto è finito, tutto! — mormorò il povero indiano.

— C’è ancora una speranza, Tremal-Naik.

— Perché illudermi, signore? Ella è pazza, né più mai guarirà.

— Guarirà e questa sera stessa, ve lo dice la Tigre della Malesia. Tremal-Naik guardò Sandokan cogli occhi pieni di lagrime.

— Non è una speranza del momento, dunque? — chiese egli. — È proprio vero quello che dite? Voi che vi siete mostrato tanto generoso verso di me, che tanto bene mi avete fatto, operate anche questo miracolo, e la mia vita sarà vostra.

— Questo miracolo lo compirò, ve lo prometto, Tremal-Naik, — disse Sandokan con voce grave.

— E quando?...

— Questa sera, vi ho detto.

— In qual modo?

— Lo saprete presto. Kammamuri!

Il maharatto si fece innanzi. Il buon giovanotto, come il suo padrone, aveva le lagrime agli occhi.

— Parlate, capitano, — disse.

— La notte in cui il tuo padrone si presentò nella caverna di Suyodhana, c’eri nel tempio?

— Sì, capitano.

— Sapresti ripetermi ciò che disse il capo dei Thugs e ciò che disse il tuo padrone?

— Sì, parola per parola.

— Ebbene, vieni con me al forte.

— E noi che cosa dovremo fare? — chiese Yanez.

— Per ora non abbiamo bisogno né di te, né di Tremal-Naik, — disse Sandokan. — Andate a passeggiare e non ritornate al forte prima di questa sera. Vi preparerò una sorpresa.

Sandokan e il maharatto si allontanarono in direzione del forte. Yanez passò il suo braccio in quello del povero Tremal-Naik e si misero a passeggiare lungo la costa, discorrendo.

— Che cosa preparerà? — chiese Tremal-Naik al portoghese.

— Non lo so, Tremal-Naik; ma senza dubbio prepara qualche cosa di straordinario.

— Riuscirà a farle riacquistare la ragione?

— Lo credo. La Tigre della Malesia sa mille cose che noi ignoriamo.

— Ah! potesse riuscire!

— Riuscirà, Tremal-Naik. Ditemi, è ancora vivo questo Suyodhana?

— Lo credo.

— È potente?

— Potentissimo, signor Yanez. Comanda a migliaia di strangolatori.

— Sarà difficile colpirlo.

— Dite impossibile.

— Per tutti, ma non per la Tigre della Malesia. Chissà, forse un giorno la Tigre della Malesia e la Tigre dell’India potrebbero trovarsi l’una di fronte all’altra.

— Lo credete?

— Ho un presentimento. Ditemi, Tremal-Naik, credete che i Thugs abbiano ancora la loro sede nell’isola di Rajmangal?

— Non lo credo. Quando gli inglesi mi processarono, svelai il luogo ove abitavano i Thugs e alcune navi furono mandate a Rajmangal, ma tornarono senza avere trovato un solo strangolatore.

— Erano fuggiti?

— Senza dubbio.

— Sono ricchi i Thugs?

— Ricchissimi, signor Yanez, perché essi non si limitano a strangolare. Saccheggiano carovane e paesi interi.

— Che bel nemico da combattere! La Tigre della Malesia si divertirebbe. Chi sa, un giorno forse, stanchi di Mompracern, potremmo andare in India a misurarci con Suyodhana e le sue genti.

— Avete intenzione di ritornare a Mompracem?

— Sì, Tremal-Naik, — disse Yanez. — Domani manderemo alcuni uomini a Sarawack ad acquistare dei ‘‘prahos’’ e poi riguadagneremo la nostra isola.

— Ed io verrò con voi?

— Vi daremo una scorta di valorosi pirati che vi condurranno a Batavia. Colà abbiamo una palazzina e l’abiterete con Ada.

— Questo è troppo, signor Yanez, — disse Tremal-Naik con voce commossa. — Non vi basta aver esposto la vita per salvarmi, volete ancora darmi una casa!

— E un gruzzolo di diamanti che varrà qualche milione, mio caro Tremal-Naik.

— Ma io non accetterò.

— Alla Tigre della Malesia nulla si deve rifiutare, Tremal-Naik. Un rifiuto la irriterebbe.

— Ma...

— State zitto, Tremal-Naik. Un milione per noi non è nulla.

— Siete molto ricchi dunque?

— Forse più dei Thugs indiani.

Mentre discorrevano, il sole era rapidamente tramontato e le tenebre erano calate. Yanez guardò l’orologio all’incerto chiarore delle stelle.

— Sono le nove, — disse, — possiamo tornare al forte.

Lanciò un ultimo sguardo sull’ampia distesa d’acqua che appariva deserta fino agli estremi limiti dell’orizzonte, poi lasciò la costa entrando nel boschetto. Tremal-Naik, triste e pensieroso, col capo chino sul petto, lo seguiva.

Pochi minuti dopo i due compagni si trovavano dinanzi al fortino, sull’entrata del quale stava Sandokan, fumando flemmaticamente la sua pipa.

— Vi aspettavo, — diss’egli, muovendo loro incontro. — Tutto è pronto.

— Che cosa è pronto? — chiese Tremal-Naik.

— Ciò che deve far riacquistare la ragione alla Vergine della Pagoda.

Prese per mano i due amici e li condusse nell’interno di una vastissima capanna che occupava quasi l’intero recinto del forte, un tempo destinato a contenere una guarnigione e gran copia di viveri e di munizioni.

Tremal-Naik e Yanez mandarono un grido di sorpresa.

L’ampia sala, in poche ore, era stata convertita, per opera di Sandokan, di Kammamuri e dei pirati, in un’orribile caverna che a Tremal-Naik ricordava, in parte, il tempio dei Thugs indiani ove il truce Suyodhana aveva compiuto la sua spaventevole vendetta.

Una infinità di rami resinosi accesi spandevano all’intorno una luce azzurrognola, livida, cadaverica. Qua e là erano stati accumulati massi enormi, rizzati tronchi d’alberi che potevano passare per colonne, adorni di mostri d’argilla rozzamente plasmati rappresentanti Visnù, il dio conservatore degli indiani che ha la sua residenza nel Vaicondu o mare di latte del serpente Adissescieu, ed altri mostri rappresentanti dei cateri, giganteschi geni malvagi, che divisi in cinque tribù vanno errando pel mondo dal quale non possono uscire, né meritare la beatitudine promessa agli uomini, se non dopo aver raccolto un certo numero di preghiere.

Nel mezzo ergevasi una statua, pure d’argilla, orribile a vedersi. Aveva quattro braccia, una lingua smisurata e i suoi piedi posavano sopra un cadavere. Dinanzi a quel mostro era collocata una vaschetta entro la quale nuotava un pesciolino.

— Dove siamo noi? — chiese Yanez, guardando con stupore quei mostri e quelle torce.

— In una pagoda dei Thugs indiani, — disse Sandokan.

— Chi ha fatto tutti questi brutti mostri?

— Noi, fratello.

— In così poche ore?

— Tutto si fa, quando si vuole.

— Chi è quella brutta figura che ha quattro braccia?

— Kalì, la dea dei Thugs, — rispose Tremal-Naik che l’aveva riconosciuta.

— Vi sembra, Tremal-Naik, che questa pagoda improvvisata somigli a quella dei Thugs?

— Sì, Tigre della Malesia. Ma che cosa volete farne?

— Uditemi.

— Vi ascoltiamo.

— Io dico e credo che solamente una straordinaria impressione possa far riacquistare la ragione ad Ada.

— Anch’io sono del tuo parere, Sandokan, — disse Yanez, — e già comprendo il tuo piano. Tu vuoi far ripetere la scena che accadde nella Pagoda dei Thugs indiani quando Tremal-Naik si presentò a Suyodhana.

— Sì, Yanez, è proprio così. Io sarò il capo dei Thugs e ripeterò le parole pronunciate dal terribile uomo quella notte fatale.

— E i Thugs? — chiese Tremal-Naik.

— I Thugs saranno i miei uomini, — disse Sandokan. — Sono stati istruiti da Kammamuri.

— Avanti, dunque.

Sandokan accostò alle labbra il fischietto d’argento ed emise un suono acuto. Subito trenta dayachi seminudi, coi fianchi stretti da un laccio di fibre di rotang e con un serpente colla testa di donna dipinto in mezzo al petto, entrarono nella gran capanna schierandosi ai lati della mostruosa divinità dei Thugs.

— Perché hanno quel serpente sul petto? — chiese Yanez.

— Tutti i Thugs hanno un tatuaggio simile, — rispose Tremal-Naik.

— Kammamuri nulla ha dimenticato a quanto pare.

— Siete pronti? — chiese Sandokan.

— Tutti, — risposero i dayachi.

— Yanez, — disse allora Sandokan, — ti affido una parte importante.

— Che cosa devo fare?

— Tu sei un bianco, devi rappresentare il padre di Ada. Guiderai gli altri pirati che fingeranno di essere i sipai indiani e farai quanto ti dice Kammamuri.

— Sta bene.

— Quando io figurerò di assalirti dal forte, cadrai dinanzi ad Ada come morto.

— Fidati di me, fratello. Ognuno al suo posto.

Tremal-Naik, Yanez e Kammamuri uscirono, mentre Sandokan si sedeva dinanzi alla statua della dea Kalì ed i dayachi, che fingevano i Thugs, si schieravano ai suoi fianchi.

Ad un cenno della Tigre, un pirata percosse dodici volte una specie di gong che era stato trovato in un angolo del fortino.

All’ultimo colpo la porta del capannone s’aprì e la Vergine della Pagoda entrò sorretta da due dayachi.

— Avanzati, Vergine della Pagoda, — disse Sandokan con voce grave, — Suyodhana te lo comanda.

A quel nome di Suyodhana, la pazza si era arrestata liberandosi dalle braccia dei due pirati. Il suo sguardo, che erasi improvvisamente acceso e dilatato, si fissò su Sandokan, che stava ritto in mezzo alla Pagoda, poi sui dayachi che conservavano una immobilità assoluta e da ultimo sulla dea Kalì.

Un fremito agitò il suo corpo e alcune rughe si disegnarono sulla nivea fronte.

— Kalì, — mormorò con un accento, nel quale sentivasi una vibrazione di terrore. — I Thugs...

Si avanzò di alcuni passi continuando a girare lo sguardo ora su Sandokan, ora sui pirati, ora sulla mostruosa divinità dei Thugs, poi si passò due o tre volte la mano sulla fronte e parve che facesse un supremo sforzo per richiamare alla memoria qualche orribile scena.

D’improvviso Tremal-Naik irruppe nella Pagoda e le si slanciò contro gridando:

— Ada!...

La giovinetta si era arrestata di colpo; il suo volto era diventato pallidissimo e manifestava una inesprimibile ansietà. I suoi occhi, che pareva perdessero a poco a poco quella luce strana particolare ai pazzi, si fissavano su Tremal-Naik.

— Ada!... — ripetè questi, con voce straziante. — Ritorna in te!...

In quell’istante si udì una voce gridare:

— Fuoco!

Alcuni spari rimbombarono sulla soglia della Pagoda ed alcuni uomini, guidati da Yanez, irruppero nell’interno, mentre i dayachi, come i Thugs, in quella fatale notte, fuggivano in tutte le direzioni.

Ada era rimasta immobile. Ad un tratto trasalì, poi si curvò innanzi come se cercasse di raccogliere il rumore di qualche nuova scarica o qualche altra voce.

Sandokan si era fermato all’estremità della Pagoda e non la perdeva di vista. Comprese forse ciò che aspettava ancora la disgraziata?... Forse, poiché con voce tuonante si mise a gridare, come aveva gridato il feroce Suyodhana:

— Andate!... Ci rivedremo nella jungla!...

Aveva appena pronunciato quelle parole, che un urlo acutissimo irrompeva dalle labbra della pazza.

Fece un passo innanzi col viso sconvolto, le braccia alzate; barcollò, girò su se stessa e cadde fra le braccia di Yanez.

— Morta!... morta!... — urlò Tremal-Naik con accento disperato.

— No, — disse Sandokan. — Ella è salva!

Appoggiò una mano sul petto della Vergine. Il cuore batteva debolmente sì, ma batteva.

— È svenuta, — diss’egli.

— Allora è salva, — disse Yanez.

— Fosse vero! — esclamò Tremal-Naik che rideva e piangeva ad un tempo. Kammamuri ritornava con dell’acqua. Sandokan spruzzò a più riprese il viso della giovinetta e attese che ella ritornasse in sé.

Passarono alcuni minuti, poi un sospiro uscì dalle labbra della giovine.

— Sta per rinvenire, — disse Sandokan.

— Devo rimanere qui? — disse Tremal-Naik.

— No, — rispose Sandokan. — Quando noi le avremo narrato ogni cosa, vi manderemo a chiamare.

L’indiano gettò un lungo sguardo sulla Vergine della Pagoda e uscì soffocando un singhiozzo.

— Speri, Sandokan? — chiese Yanez.

— Molto, — rispose il pirata. — Domani questi due infelici potranno unirsi per sempre.

— E noi...

— Zitto, Yanez: apre gli occhi.

La giovanetta infatti ritornava in sé. Mandò un secondo sospiro più lungo del primo, poi aprì gli occhi fissandoli su Sandokan e Yanez. Il suo sguardo non era più quello di prima; era limpido, era lo sguardo di una donna che non era più pazza.

— Dove sono io? — chiese ella con voce debole, cercando di alzarsi.

— Fra amici, signora, — disse Sandokan.

— Ma che cos’è successo? — mormorò. — Ho sognato io? Dove sono?... Chi siete voi?

— Signora, — disse Sandokan, — vi ripeto che siete fra amici. Cos’è successo, mi chiedete? Vi dirò che non siete più pazza.

— Pazza!... pazza?... — esclamò la vergine con sorpresa. — Ero pazza io? Non ho sognato io? Ah... mi ricordo... E’ orribile... E’ orribile...

Uno scoppio di pianto soffocò la sua voce.

— Calmatevi, signora, — disse Sandokan. — Qui non correte alcun pericolo. Suyodhana non esiste più e i Thugs qui non ci sono. Non siamo in India, ma nel Borneo.

Con uno sforzo Ada si rizzò in piedi, e afferrando strettamente le mani di Sandokan, gli disse piangendo:

— In nome di Dio, ditemi ciò che è successo e chi siete voi. Mi sembra di non comprendere più nulla.

Erano le domande che Sandokan aspettava. Allora con voce grave le narrò succintamente tutto quello che era accaduto prima in India, poi a Mompracem e da ultimo al Borneo.

— Ora — concluse Sandokan, — se amate ancora Tremal-Naik, quel coraggioso indiano che per voi ha compiuto dei miracoli, ad un vostro cenno sarà alle vostre ginocchia.

— Se lo amo!... — esclamò Ada. — Dov’è? Lasciate che lo riveda dopo una così lunga separazione.

— Tremal-Naik... — gridò Yanez.

L’indiano si precipitò nella Pagoda e cadde ai piedi di Ada, esclamando:

— Mia!... Ancora mia!... Dimmelo ancora una volta, Ada, che sarai mia moglie!...

La giovinetta posò le mani sul capo del fidanzato:

— Sì, sarò tua moglie, — diss’ella. — Mio padre mi ha promessa a te e t’amo ancora.

Nel medesimo istante una scarica di fucili rintronava sulle sponde della baia, seguita da una voce tuonante che gridava:

— All’erta!... pirati di Mompracem!... Ecco il nemico!...