I pirati della Malesia/Capitolo VI - Da Mompracem a Sarawack

Capitolo VI - Da Mompracem a Sarawack

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Capitolo VI - Da Mompracem a Sarawack
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Capitolo VI
Da Mompracem a Sarawack


La Perla di Labuan, colla quale il capo dei pirati di Mompracem stava per intraprendere l’audace spedizione, era uno dei più grandi, dei più bei prahos che solcassero gli ampi mari della Malesia.

Stazzava centosessanta tonnellate, che è quanto dire il triplo dei prahos ordinari. Strettissima aveva la carena, svelte le forme, alta e solida la prua, fortissimi gli alberi ed enormi le vele, i cui pennoni non misuravano meno di sessanta metri. A vento largo, doveva filare come una rondine marina e lasciarsi di gran lunga indietro i più rapidi steamer e i più rapidi velieri d’Asia e d’Australia. Nulla aveva che la facesse credere un legno corsaro. Non cannoni in vista, non numeroso equipaggio, non sabordi. Pareva un elegante praho mercantile con un carico prezioso nel ventre, in rotta per la Cina o per le Indie. Il più astuto lupo di mare si sarebbe ingannato.

Chi però fosse sceso nella stiva avrebbe potuto vedere di che mercé fosse carico, Non erano né tappeti, né ori, né spezie, né tè: erano bombe, fucili, pugnali, sciaboloni d’arrembaggio e barili di polvere sufficiente per far saltare due fregate di alto bordo.

Chi poi fosse entrato sotto il gran casotto, avrebbe potuto vedere sei grossi cannoni di lunga portata, posti sulle loro carrette, pronti a vomitare uragani di mitraglia e di palle, nonché due mortai da grosse bombe, grappini d’arrembaggio, asce, scuri e pesanti parangs, le armi favorite dai Dayachi del Borneo.

Girate le innumerevoli rocce e scogliere madreporiche, che rendevano alle grosse navi inaccessibile l’entrata della piccola baia, la svelta Perla di Labuan mise la prua verso la costa del Borneo, e precisamente verso il capo Sirik, che chiude, ad occidente, la vasta insenatura di Sarawack.

Il tempo era splendido e il mare tranquillo: in cielo pochi cirri color di fuoco: in mare nulla. Non una vela, non una traccia di fumo che segnalasse un piroscafo all’orizzonte, non un’onda. L’immensa distesa d’acqua, color piombo cupo, era perfettamente tranquilla, quantunque soffiasse un leggero venticello fresco. Yanez e Kammamuri, condotta la Vergine della pagoda nella più vasta e più bella cabina di poppa, erano risaliti in coperta, dove Sandokan passeggiava colle braccia incrociate sul petto e il capo chino, immerso in profondi pensieri.

— Che ti pare del nostro legno? — chiese Yanez al maharatto, il quale, appoggiato al coronamento di poppa, guardava attentamente le coste dirupate di Mompracem, che rapidamente sfumavano.

— Non mi ricordo di aver navigato su un legno rapido come questo, signor Yanez — rispose il maharatto. — I pirati, a quanto pare, sanno scegliere i loro navigli.

— Hai ragione, mio caro. Non c’è piroscafo che tenga testa a questa valorosa Perla di Labuan. In pochi giorni, se questo vento non diminuisce, noi saremo in vista delle coste di Sarawack.

— Senza combattimenti?

— Ciò non si può sapere. In questo mare si conosce la Perla di Labuan e molti sono gli incrociatori che battono le coste del Borneo. Potrebbe darsi il caso, che a qualcuno di essi saltasse il ticchio di misurarsi colla Tigre della Malesia.

— E se ciò accadesse?

— Perbacco, accetteremmo la sfida. La Tigre della Malesia, amico mio, non rifiuta mai un combattimento.

— Non vorrei che ci assalisse qualche grosso vascello.

— Non ci farebbe paura. Abbiamo nella stiva tante sciabole e tanti fucili da armare la popolazione di una città di primo ordine, tante bombe da coprire una flotta intera e tanta polvere da far saltare mille case.

— Ma solo ottanta uomini!

— Ma sai tu quali uomini sono i nostri?

— So che sono coraggiosi, ma...

— Sono Dayachi, mio caro.

— Che cosa vuoi dire?

— Gente che non ha paura e che dà la caccia alle teste.

— Da la caccia alle teste?

— Sì, giovanotto mio. I Dayachi, che vivono per lo più nelle grandi foreste del Borneo, si chiamano cacciatori di teste.

— Sono terribili compagni, allora.

— Formidabili.

— E anche pericolosi. Se una notte saltasse loro la brutta idea di decapitarci?

— Non aver paura, giovinotto. Rispettano e temono più noi che le loro divinità. Basta una parola, una sola occhiata della Tigre per farli diventare mansueti.

— E quando arriveremo a Sarawack?

— Fra cinque giorni, se non sopraggiungono incidenti.

— Burrasche, forse?

— Peuh, — fé’ il portoghese, alzando le spalle. — La Perla di Labuan guidata da un lupo di mare come Sandokan, si ride dei più formidabili cicloni. Sono gli incrociatori, ti ripeto, che di quando in quando vengono a seccarci.

— Ve ne sono molti, dunque?

— Pullulano come le piante velenose. Portoghesi, Inglesi, Olandesi e Spagnuoli hanno giurato una guerra a morte contro la pirateria.

— Sicché un bel giorno i pirati scompariranno.

— Oh! mai più! — esclamò Yanez, con profonda convinzione. — La pirateria durerà finché vi sarà un solo malese.

— E perché?

— Perché la razza malese non si sente inclinata per la civiltà europea. Non conosce che il furto, l’incendio, il saccheggio, l’assassinio, terribili mezzi che le somministrano da vivere. La pirateria malese conta parecchi secoli di vita e continuerà per molti secoli ancora. È un’eredità sanguinosa che si trasmette di padre in figlio.

— Ma non scema questa razza? I continui combattimenti devono fare dei grandi vuoti.

— Poca cosa, Kammamuri, poca cosa! La razza malese è feconda come le piante velenose, come gli insetti dannosi. Morto uno, un altro ne nasce e il nato non è meno valoroso, né meno sanguinario del padre.

— La Tigre della Malesia è malese?

— No, è bornese e di una casta elevata.

— Ditemi, signor Yanez, come mai un uomo così terribile che assalta vascelli, che trucida interi equipaggi, che saccheggia e incendia villaggi, che infine, spande ovunque il terrore, si è generosamente offerto di salvare il mio padrone che non ha mai conosciuto?

— Perché il tuo padrone fu il fidanzato di Ada Corishant.

— Conosceva, forse, Ada Corishant? — chiese Kammamuri, con sorpresa.

— Non l’ha mai veduta.

— Non capisco allora...

— Lo capirai subito, Kammamuri. Nel 1852, cioè cinque anni addietro, la Tigre della Malesia aveva raggiunto il culmine della sua potenza. Aveva molti e ferocissimi tigrotti, molti prahos, molti cannoni. Con una sola parola faceva tremare tutti i popoli della Malesia.

— Eravate anche allora assieme alla Tigre?

— Sì, e da parecchi anni. Un giorno, Sandokan fu informato che a Labuan viveva una fanciulla bella, bellissima, e si sentì preso dalla voglia di vederla. Si recò a Labuan, ma fu scoperto da un incrociatore, vinto e ferito. Con infinite pene e affatto solo poté riparare sotto i boschi e di là giungere ad una casa abitata da... indovina da chi?

— Non lo saprei.

— Dalla fanciulla che voleva vedere.

— Oh! la strana combinazione!

— La Tigre della Malesia non aveva amato fino allora che le lotte, le stragi, le tempeste. Ma, vista la fanciulla, se ne innamorò alla follìa.

— Chi? La Tigre? È impossibile! — esclamò Kammamuri.

— Ti narro dei fatti veri, — disse Yanez. — Amò la fanciulla, la fanciulla amò ardentemente il pirata e si accordarono per fuggire insieme.

— Perché fuggire?

— La fanciulla aveva uno zio, capitano di marina, un uomo ruvido, violento, nemico acerrimo della Tigre della Malesia. Passo sopra alle battaglie tremende accadute fra inglesi e pirati, alle disgrazie che toccarono alla Tigre, al bombardamento di Mompracem, alle fughe. Ti dirò solo che Sandokan finalmente potè sposare la fanciulla e rifugiarsi a Batavia. Io e una trentina di tigrotti lo seguimmo.

— E gli altri?

— Erano tutti morti.

— E perché la Tigre tornò a Mompracem?

Yanez non rispose ed il maharatto, sorpreso di non ricevere risposta, alzò gli occhi e lo vide asciugarsi rapidamente una lagrima.

— Ma voi piangete! — esclamò.

— Non è vero, — disse Yanez.

— Perché negarlo?

— Hai ragione, Kammamuri. Anche la Tigre della Malesia, che non aveva mai pianto, vidi scoppiare in lagrime. Sento il cuore farmisi grosso e un nodo serrarmi la gola tutte le volte che io penso a Marianna Guillonk.

— Marianna Guillonk!... — esclamò il maharatto. — Chi è questa Guillonk?

— Era la giovinetta fuggita colla Tigre della Malesia.

— Parente forse di Ada Corishant?

— Cugina, Kammamuri.

— Ecco perché la Tigre ha promesso di salvare Tremal-Naik e la sua fidanzata. Ditemi, signor Yanez, è viva Marianna Guillonk?

— No, Kammamuri — disse Yanez, con tristezza. — Sono due anni che dorme in una tomba.

— Morta?

— Morta!

— E suo zio?

— Vive ed è sempre in cerca di Sandokan. Lord James Guillonk ha giurato di farlo appiccare insieme con me.

— E dove si trova ora?

— Non lo sappiamo...

— Temete d’incontrarlo?

— Ti dirò che ho un presentimento. Ma... ai presentimenti già io non credo più. Accese una sigaretta e si mise a passeggiare pel ponte. Il maharatto notò che quell’uomo, di solito così ilare, era diventato triste.

— Forse sono i ricordi che l’hanno reso triste, — mormorò, e scese nella cabina della pazza.

Il vento continuava a mantenersi buono, anzi tendeva a crescere, accelerando vieppiù la corsa della Perla di Labuan, la quale non tardò a raggiungere i sette nodi all’ora, velocità che le permise di guadagnare il capo Sirik molto presto.

A mezzodì furono segnalate a babordo le Romades, gruppo d’isolette, situate a quaranta miglia dalla costa del Borneo, abitate per la maggior parte da pirati, che se la intendevano e meraviglia con quelli di Mompracem. Alcuni rahos, anzi, raggiunsero la Perla di Labuan, augurando all’equipaggio e al suo capitano buona preda.

Qualche vela lontana, un brigantino e qualche giunca cinese di forme pesanti e barocche furono segnalati durante il giorno, ma la Tigre della Malesia, che temeva di arrivare dopo l'Helgoland, e non voleva esporre i suoi uomini in un combattimento inutile, non si curò di quei navigli.

All’indomani, ai primi albori, fu segnalata Whale, isola considerevole, lontana centodieci miglia da Mompracem, cinta da scogliere innumerevoli, che rendono oltremodo pericoloso l’approdo. Una cannoniera con bandiera olandese, che batteva la costa, cercando senza dubbio qualche legno corsaro, appena ebbe scorto la Perla di Labuan, prese il largo a tutto vapore; il suo ponte, in un baleno, si coprì di marinai armati di carabine di lunga portata e gli artiglieri smascherarono a tribordo un grosso cannone.

— Oh! — esclamò Yanez, avvicinandosi a Sandokan che guardava con occhio tranquillo la cannoniera. — Fratello mio, quella bestia là ha fiutato qualche cosa, giacché pare si apparecchi a darci la caccia.

— Non crederlo, — rispose la Tigre. — Si accontenterà di seguirci.

— Non mi va troppo a sangue essere seguito da una cannoniera.

— Hai paura?

— No, fratello mio. Ma se quella cannoniera ci seguisse fino a Sarawack?

— Perché vuoi che ci segua fino a Sarawack? Se ha un sospetto ci darà battaglia e noi la coleremo a picco.

— Diffida, fratello. Mi si disse che James Brooke ha una buona flottiglia, che cangia assai spesso bandiera ed apparenza per dar la caccia ai pirati.

— Conosco le astuzie di quel lupo di mare. So che talvolta, per attirare i pirati, disalbera la sua nave, il Realista, per mitragliarli appena giunti a tiro.

— È vero, Sandokan, che quel diavolo d’uomo ha sterminato quanti pirati battevano le coste di Sarawack?

— È vero, Yanez. Col suo piccolo schooner, il Realista, purgò le coste di mezzo Borneo, distruggendo tutti i ‘‘prahos’’, incendiando i villaggi, cannoneggiando le fortezze. Quell’uomo ha del sangue nelle vene, non tanto però quanto ne hanno i pirati di Mompracem. Tremi il giorno in cui i miei tigrotti approderanno sulle sue terre.

— Vuoi misurarti con lui?

— Lo spero. La Tigre darà allo sterminatore dei pirati un colpo terribile, forse il colpo di grazia.

— Guarda la cannoniera, Sandokan. C’invita a mostrare la nostra bandiera.

— Non sarà la mia di certo, quella che mostrerò.

— Quale allora? — chiese Yanez.

— Ehi, Kai-Malù, mostra a quei curiosi una bandiera inglese, olandese o portoghese.

Pochi istanti dopo, una bandiera portoghese sventolava a poppa del praho.

La cannoniera, soddisfatta, prese quasi subito il largo, non già verso l’isola Whale, che scorgevasi ancora all’orizzonte, ma verso il sud. Quella rotta fece aggrottare le ciglia alla Tigre della Malesia ed al suo compagno.

— Uhm! — fé’ i! portoghese. - C’è sotto qualche cosa.

— Lo so, fratello.

— Quella cannoniera si dirige verso Sarawack, ne sono certo, certissimo. Appena fuori dì vista, modificherà la sua rotta.

— Gli uomini che la montano sono furbi. Hanno fiutato in noi dei pirati.

— Che cosa farai?

— Nulla, per ora. Quella cannoniera oggi cammina più di noi.

— Che vada ad aspettarci a Sarawack?

— È probabile.

— Ci tenderà forse un agguato alla foce del fiume, colla flotta di Brooke.

— Daremo battaglia

— Non abbiamo che otto cannoni, Sandokan.

— Noi, ma l'Helgoland ne avrà certamente più di noi. Lo vedrai, portoghese, ci divertiremo.

Per due giorni la Perla di Labuan navigò a una trentina di miglia dalla costa del Borneo, segnalata dalla cima del monte Patau, gigantesco cono coperto di superbe foreste, che elevasi 1880 piedi sul livello del mare.

La mattina del terzo, dopo una breve calma, girava il capo Sirick, promontorio roccioso coronato da alcune isole e isolotti, che chiude la vasta baia di Sarawack verso il nord.

Sandokan, che temeva di trovarsi da un istante all’altro dinnanzi alla flottiglia di James Brooke, fece caricare i cannoni, nascondere due terzi dell’equipaggio, e fece innalzare la bandiera olandese. Dopo di che, mise la prua al capo Tonioung-Datu, che ad occidente chiude la baia, in vicinanza del quale doveva passare l'Helgoland proveniente dall’India. Verso il mezzodì dello stesso giorno, con sorpresa generale, la Perla di Labuan si imbatteva nella cannoniera olandese, che tre giorni prima aveva incontrato nelle acque dell’isola Whale. Sandokan, nel vederla, lasciò andare un violento pugno sulla murata.

— Ancora la cannoniera! — esclamò, aggrottando la fronte e mostrando i denti, bianchi e aguzzi come quelli di una tigre.

— Ci spia, Sandokan, — disse Yanez.

— Ma io la colerò a picco.

— Non lo farai, Sandokan. Un colpo di cannone può essere udito dalla flotta di Brooke.

— Io me ne rido della flotta del rajah.

— Sii prudente, Sandokan.

— Sarò prudente, giacché lo vuoi, ma vedrai che quella cannoniera ci tenderà un agguato alla foce del Sarawack.

— Non sei la Tigre della Malesia, tu?

— Sì, ma abbiamo la Vergine della pagoda, a bordo. Una palla potrebbe colpirla.

— Coi nostri petti le faremo scudo.

La cannoniera olandese era giunta a duecento metri dalla Perla di Labuan. Sul suo ponte si vedevano il capitano armato di un cannocchiale, e affollati a prua, una trentina di marinai armati di carabine. A poppa alcuni artiglieri circondavano un grosso cannone. La cannoniera girò due volte attorno al praho descrivendo un grandissimo semi-cerchio, poi virò di bordo mettendo la prua al sud, che è quanto dire verso Sarawack.

La sua velocità era tale, che in tre quarti d’ora non scorgevasi che un sottile pennacchio di fumo.

— Dannazione! — esclamò Sandokan, — se mi torni a tiro, ti mando a picco con una sola bordata.

— La ritroveremo a Sarawack, — disse Yanez.

— Lo spero, ma...

Un grido che veniva dall’alto lo interruppe bruscamente.

— Ehi! Uno steamer all’orizzonte! — aveva gridato un pirata che tenevasi a cavalcioni del gran pennone di maistra.

— Un incrociatore, forse! — esclamò Sandokan, il cui sguardo s’accese. — Da dove viene?

— Dal nord, — rispose il gabbiere.

— Lo vedi bene?

— Non scorgo che il fumo e l’estremità dei suoi alberi.

— Se fosse l'Helgoland! — esclamò Yanez.

— E impossibile. Verrebbe dall’occidente, non già dal nord.

— Può aver toccato Labuan.

— Kammamuri! — gridò la Tigre.

Il maharatto, che si era issato sul coronamento di poppa, si slanciò giù, correndo verso il pirata.

— Conosci l'Helgoland? — chiese la Tigre.

— Sì, padrone.

— Ebbene, seguimi!

Si slanciarono verso i paterazzi, s’inerpicarono fino alla estremità dell’albero di maistra e fissarono i loro sguardi sulla verdastra superficie del mare.