I pirati della Malesia/Capitolo IV - Un terribile dramma

Capitolo IV - Un terribile dramma

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Capitolo III - La Tigre della Malesia Capitolo V - La caccia all’Helgoland

Capitolo IV
Un terribile dramma


Kammamuri non se lo fece ripetere due volte. Si sedette in mezzo ad un mucchio di velluti sgualciti, spruzzati qua e là di macchie, e, dopo essere rimasto alcuni istanti silenzioso, come per raccogliere le idee, disse:

— Tigre della Malesia, avete udito parlare delle Sunderbunds del sacro Gange?

— Non conosco quelle terre, — rispose il pirata, — ma so cos’è il delta di un fiume. Tu vuoi parlare dei banchi che ostruiscono la foce della grande fiumana.

— Sì, dei grandi ed innumerevoli banchi coperti di canne giganti e popolati di feroci animali, che si estendono per molte miglia dalla foce dell’Hugly a quella del Gange. Il mio padrone era nato là in mezzo, in un’isola che si chiama la jungla nera. Era bello, era forte, era prode, il più prode che io abbia incontrato nella mia vita avventurosa. Nulla lo faceva tremare: né il veleno del cobra-capelo, né la forza prodigiosa del pitone, né gli artigli della grande tigre del Bengala, né il laccio dei suoi nemici.

— Il suo nome? — chiese il pirata.

— Si chiama Tremal-Naik, il cacciatore di tigri e serpenti della jungla nera.

La Tigre della Malesia a quel nome si alzò, guardando fisso fisso il maharatto.

— Cacciatore di tigri, hai detto? — domandò.

— Sì.

— Perché tale soprannome?

— Perché cacciava le tigri della jungla.

— Un uomo che affronta le tigri non può essere che un coraggioso. Senza conoscerlo, sento già di amare quel fiero indiano. Tira innanzi: divento impaziente.

— Una sera, Tremal-Naik ritornava dalla jungla. Era una sera magnifica, una vera sera del Bengala; dolce e profumata era l’aria, ancor fiammeggiante l’orizzonte e debolmente stellato il firmamento. Aveva già percorso un lungo tratto senza incontrare anima viva, quando gli si rizzò innanzi, a meno di venti passi, fra un cespuglio di mussenda, una giovanetta di meravigliosa bellezza.

— Chi era?

— Era una creatura dalla carnagione rosea, i capelli neri e gli occhi grandi. Lo fissò per un istante con uno sguardo malinconico, poi sparve. Tremal-Naik fu così vivamente toccato al cuore che arse d’amore per quell’apparizione. Pochi giorni dopo, un delitto veniva commesso sulle rive di un’isola che si chiama Raimangal. Uno dei nostri, che erasi colà recato a cacciare la tigre, veniva trovato cadavere con un laccio al collo.

— Oh!... — esclamò il pirata, al colmo della sorpresa. — Chi poteva aver strangolato un cacciatore di tigri?

— Siate paziente e lo saprete. Tremal-Naik, come vi dissi, era un uomo coraggioso. Mi prese con sé e sbarcammo alla mezzanotte a Rajmangal, risoluti a vendicare lo sventurato nostro compagno. Dapprima udimmo mille rumori misteriosi che uscivano di sotto terra, poi dal tronco di un gigantesco banian sbucarono parecchi uomini nudi, bizzarramente tatuati. Quegli uomini erano gli assassini del povero cacciatore di tigri.

— Ebbene? — chiese il pirata, i cui occhi brillavano di gioia.

— Tremal-Naik non esitava mai. Un colpo di carabina bastò per gettare a terra il capo di quegli indiani, poi fuggimmo.

— Bravo Tremal-Naik! — esclamò la Tigre con entusiasmo. — Tira innanzi. Mi diverto più a udire questa storia che ad abbordare un vascello carico di minerale giallo.

— Il mio padrone, per far perdere le tracce a quegli uomini che si erano dati a inseguirci, si separò da me e si rifugiò in una grande pagoda dove ritrovò... Indovinate chi?

— La giovanetta, forse?

— Sì, la giovinetta, che era prigioniera di quegli uomini.

— Ma chi erano?

— Gli adoratori di una divinità feroce che altro non brama che vittime umane. Si chiama Kalì.

— La terribile dea dei Thugs indiani?

— La dea degli strangolatori.

— Quegli uomini sono più feroci delle tigri. Oh! io li conosco, — disse il pirata. — Ne ebbi qualcuno nella mia banda.

— Un Thug nella tua banda? — esclamò il maharatto. — Sono perduto.

— Non aver paura, Kammamuri, un tempo ne ebbi qualcuno, ma ora non ne ho più. Continua il tuo racconto.

— La fanciulla, che già amava il mio padrone, conoscendo quali pericoli lo circondavano, lo scongiurò di partire all’istante; ma egli non era uomo da aver paura. Rimase là in attesa dei feroci Thugs, risoluto a misurarsi con loro e, potendo, a rapire la prigioniera. Ma ohimè! aveva troppo confidato nelle sue proprie forze. Poco dopo, dodici uomini armati di laccio entravano e si scagliavano contro di lui e, malgrado la sua ostinata difesa, veniva atterrato, legato e poi pugnalato dal capo degli strangolatori, il feroce Suyodhana.

— E non morì? — chiese Sandokan, che si interessava assai.

— No, — continuò Kammamuri, — non morì poiché più tardi io lo ritrovai in mezzo alla jungla, insanguinato, col pugnale ancora infisso nel petto, ma vivo.

— E perché lo avevano gettato nella jungla? — chiese Yanez.

— Perché le tigri lo divorassero. Lo portai nella nostra capanna e dopo molte cure guarì, ma il cuore era rimasto ferito dagli occhi neri della giovinetta, né poteva mai più guarire.

Un giorno, dopo essere scampato a parecchi agguati tesigli dai Thugs, risolvette di partire per Rajmangal, deciso a tutto per rivedere l’amata creatura. C’imbarcammo di notte, durante un uragano, scendemmo il Mangal e approdammo all’isola.

Nessun uomo vegliava all’entrata del banian e ci sprofondammo sotto terra addentrandoci in oscurissimi corridoi. Avevamo saputo che i Thugs, non essendo riusciti ad estirpare dal cuore della giovinetta dagli occhi neri, l’amore per Tremal-Naik, avevano deciso di bruciarla viva, per calmare l’ira della mostruosa dea, e noi correvamo a salvarla.

— Ma perché era proibito a quella donna di amare? — chiese Yanez.

— Perché ella era la guardiana della pagoda consacrata alla dea Kali e, come tale, doveva mantenersi pura.

— Che razza di bricconi!

— Continuo: dopo aver attraversato lunghi corridoi, e aver ucciso delle sentinelle, ci trovammo in una immensa sala sostenuta da cento colonne e illuminata da una infinità di lampade che spandevano all’intorno una luce cadaverica.

«Duecento indiani, coi lacci in mano, erano seduti all’ingiro. In mezzo si ergeva la statua della dea e dinanzi a lei era il bacino dove nuota un pesciolino rosso che si dice contenga l’anima della dea; più oltre si ergeva un gran rogo.

«Alla mezzanotte ecco apparire il capo Suyodhana, coi suoi sacerdoti che trascinavano l’infelice ragazza, già ubriacata di oppio e misteriosi profumi. Ella non opponeva più alcuna resistenza. Già non distava che pochi passi dal rogo; già un uomo aveva acceso una face, già i Thugs avevano intonato la preghiera dei defunti, quando io e Tremal-Naik ci slanciammo come leoni in mezzo all’orda, scaricando le nostre armi a destra e a sinistra.

«Sfondare quella muraglia umana, strappare la giovinetta dalle mani dei sacerdoti e fuggire attraverso le oscure gallerie, fu l’affare di un momento.

«Dove fuggivamo? Nessuno di noi lo sapeva, ma non ci si pensava in quel supremo istante. Non cercavamo che di guadagnare via sui Thugs, i quali, rimessisi dallo spavento, si erano tosto lanciati sulle nostre tracce.

«Corremmo per una buona ora addentrandoci sempre più nelle viscere della terra, finché, trovato un pozzo, ci calammo entro una caverna che non aveva uscite. Quando cercammo di salire era troppo tardi: i Thugs ci avevano rinchiusi dentro!

— Maledizione! — esclamò Sandokan. — Di’ su, maharatto mio; la tua storia è interessantissima. Dimmi, siete fuggiti?

— No.

— Mille tuoni!

— Ci assediarono strettamente, ci assetarono, accendendo attorno alla caverna immensi fuochi che ci arrostivano vivi, poi lasciarono irrompere su di noi un getto d’acqua alla quale era stato mescolato non so quale narcotico. Appena ci fummo dissetati, stramazzammo al suolo come colpiti da sincope e cademmo senza resistenza nelle mani dei nostri nemici.

«Eravamo ormai rassegnati a morire, poiché nessuno di noi ignorava che la pietà è sconosciuta ai Thugs; nondimeno fummo risparmiati. La morte era troppo dolce per quegli uomini e nella mente infernale di Suyodhana, il capo degli strangolatori, si era già formato un terribile disegno, che aveva per scopo di svellere dal cuore della giovinetta l’amore per Tremal-Naik e di sbarazzarsi del mio padrone, che avrebbe potuto diventare per loro un formidabile nemico.

«Dovete sapere che in quel tempo un uomo prode, risoluto, a cui era stata rapita la figlia dai Thugs, faceva a questi una guerra accanita. Quell’uomo era inglese e si faceva chiamare capitano Macpherson.

«Centinaia e centinaia di Thugs erano caduti per sua mano, e dì e notte egli inseguiva gli altri senza tregua, potentemente aiutato dal governo inglese. Né i lacci degli strangolatori, né i pugnali dei più fanatici settari erano giunti a colpirlo, né le più infernali trame avevano avuto buon successo contro di lui.

«Suyodhana, che lo temeva assai, gli lanciò contro Tremal-Naik, promettendogli per compenso la mano della Vergine della Pagoda di Oriente, così si chiamava la fanciulla dai capelli neri, tanto amata dal mio padrone. La testa del capitano doveva essere il regalo di nozze!

— E Tremal-Naik accettò? — chiese la Tigre, con viva ansietà.

— Egli amava troppo la Vergine e accettò l’orribile patto di sangue impostogli dal «padre delle sacre acque del Gange», lo spietato Suyodhana. Non vi narrerò tutto ciò che intraprese, tutti i pericoli che dovette affrontare per poter avvicinare quel disgraziato capitano.

«Una fortuita combinazione gli procurò il mezzo di poter diventare uno dei suoi servi, ma un giorno venne scoperto e dovette penare assai per ricuperar la libertà e salvare la vita.

«Non rinunziò tuttavia al progetto impostogli dai Thugs, ed un giorno riuscì ad imbarcarsi su una nave che il capitano Macpherson guidava verso le Sunderbunds, per assalire nel loro covo i seguaci della sanguinaria dea.

«La stessa notte, scortato da alcuni complici, entrava nella cabina del capitano per decapitarlo. La sua coscienza gli gridava di non commettere quel delitto, perché quell’uomo doveva essere sacro per lui ed il suo sangue si ribellava a commettere quell’assassinio; pure era deciso, poiché solamente uccidendo quel formidabile avversario avrebbe potuto avere la fidanzata, o almeno lo credeva, non conoscendo ancora l’infernale perversità del fanatico Suyodhana.

— E lo uccise? — chiesero Sandokan e Yanez, con ansietà.

— No, — disse Kammamuri. — In quel supremo istante il nome della donna amata sfuggì dalle labbra del mio padrone, e quel nome era stato udito dal capitano che stava per risvegliarsi.

«Quel nome fu un colpo di fulmine per entrambi: risparmiò un assassinio ed un raccapricciante delitto, poiché quel capitano era il padre della donna amata dal mio padrone.

— Per Giove!... — esclamò Yanez. — Quale storia tremenda ci narri?...

— La verità, signor Yanez.

— Ma il tuo padrone non conosceva il nome della sua fidanzata?...

— Sì, ma il padre ne aveva assunto un altro per non far comprendere ai Thugs che egli lottava per riavere la figlia e perché temeva che, conoscendolo, gliela uccidessero.

— Continua, — disse Sandokan.

— Ciò che accadde potete immaginarvelo. Il mio padrone confessò tutto: aveva finalmente compreso l’infernale astuzia di Suyodhana.

«Si offerse al capitano di guidarlo nelle caverne dei settari. Sbarcarono a Rajmangal, il mio padrone entrò nel tempio sotterraneo fingendo di portare con sé la testa del capitano, e quando potè rivedere la fanciulla amata, gl’inglesi piombarono sui Thugs.

«Suyodhana, però, uscì vivo dall’assalto improvviso dei nemici, e quando il mio padrone, il capitano, la fidanzata ed i loro soldati lasciarono i sotterranei per ritornare alla loro nave, lo udirono gridare con voce minacciosa: "Ci rivedremo nella Jungla!"...

«E quell’uomo sinistro mantenne la parola. A Rajmangal si erano radunate parecchie centinaia di strangolatori, essendo essi già stati informati della spedizione del capitano Macpherson.

«Guidati da Suyodhana piombarono, venti volte più numerosi, sugli inglesi. L’equipaggio della nave invano accorse in aiuto del suo capitano. Tutti caddero fra le erbe giganti della jungla, schiacciati dal numero, ed il capitano prima di tutti. Perfino la nave fu presa, incendiata e fatta saltare in aria.

«Soli Tremal-Naik e la sua fidanzata erano stati risparmiati. Aveva rimorso, Suyodhana, a spegnere anche il mio padrone, che tanto aveva fatto per quegl’infami, oppure sperava di fare di lui un Thug?... Io non lo seppi mai.

«Ma tre giorni dopo, il mio padrone, che era stato fatto impazzire mediante un liquore versategli in bocca, veniva arrestato dalle autorità inglesi, presso il forte Williams. Era stato denunciato come un Thug ed i testimoni non erano mancati, contando quella setta numerosi seguaci anche a Calcutta. Fu risparmiato perché era pazzo, ma condannato alla deportazione perpetua nell’isola di Norfolk, in una terra che si trova al sud d’una regione che si chiama Australia, così mi dissero.

— Quale spaventevole dramma! — esclamò la Tigre, dopo alcuni istanti di silenzio. — Così intensamente quel Suyodhana odiava quello sventurato Tremal-Naik?

— Il capo dei settari voleva, facendo decapitare il capitano dal mio padrone, distruggere per sempre la passione che ardeva nel cuore della Vergine della Pagoda.

— Era un mostro quel feroce capo dei Thugs.

— Ma il tuo padrone è ancora pazzo? — chiese Yanez.

— No, i medici inglesi riuscirono a guarirlo.

— E non si difese? Non svelò tutto?...

— Lo tentò, ma non fu creduto.

— Ma perché si trova a Sarawack...?

— Perché il legno che lo trasportava a Norfolk naufragò presso Sarawack. Disgraziatamente nelle mani del rajah non ci starà molto.

— E come ciò?

— Perché una nave è già partita dall’India e fra sei o sette giorni, se i miei calcoli non m’ingannano, giungerà a Sarawack. Quella nave è diretta a Norfolk.

— Come si chiama quella nave?

— L'Helgoland.

— L’hai vista tu?

— Prima di lasciare l’India.

— E dove ti recavi colla Young-India?

— A Sarawack a salvare il mio padrone, — disse Kammamuri con fermezza.

— Solo?

— Solo.

— Sei un giovanotto audace, maharatto mio, — disse la Tigre della Malesia. — E della Vergine della pagoda d’Oriente che ne fece il terribile Suyodhana?

— La tenne prigioniera nei sotterranei di Rajmangal, ma la disgraziata, dopo il sanguinoso assalto dei Thugs nella Jungla, era impazzita.

— Ma come fuggì dalle mani dei Thugs? — chiese Yanez.

— E fuggita? — chiese Sandokan.

— Sì, fratellino.

— E dove trovasi?

— Lo saprai più tardi. Narrami, Kammamuri, in qual modo fuggì, — disse Yanez.

— Ve lo dirò in due parole, — disse il maharatto. — Io ero rimasto coi Thugs, anche dopo l’atroce vendetta di Suyodhana, e vegliavo attentamente sulla Vergine della pagoda. Saputo, dopo parecchio tempo, che il mio padrone era stato condannato all’isola di Norfolk e che la nave che lo trasportava era naufragata a Sarawack, meditai la fuga.

«Comprai un canotto, lo nascosi in mezzo alla jungla, e una sera d’orgia, mentre i Thugs, ubriachi fradici, non erano più in grado di uscire dai loro sotterranei, mi recai alla pagoda sacra, pugnalai gl’indiani che la custodivano, afferrai fra le mie braccia la Vergine e fuggii. All’indomani io ero a Calcutta e quattro giorni dopo a bordo della Young-India.

— E la Vergine? — chiese Sandokan.

— È a Calcutta, — s’affrettò a dire Yanez.

— È bella?

— Bellissima, — disse Kammamuri. — Ha i capelli neri e gli occhi splendidi come carbonchi.

— E si chiama?

— La Vergine della Pagoda, vi ho detto.

— Non ha nessun altro nome?

— Sì.

— Dimmelo.

— Si chiama Ada Corishant.

A quel nome, la Tigre della Malesia aveva fatto un balzo, gettando un urlo.

— Corishant!... Corishant!... Il nome dell’adorata madre della mia povera Marianna!... Dio!... Dio!... — urlò con accento disperato. Poi piombò sul tappeto colla faccia orribilmente sconvolta e le mani raggrinzate sul cuore. Un rauco singhiozzo, che parve un ruggito, lacerò il suo petto.

Kammamuri, spaventato, sorpreso, si era alzato per accorrere in aiuto del pirata, che pareva fosse stato colpito a morte, ma due mani robuste lo arrestarono.

— Una parola, — gli disse il portoghese, tenendolo stretto per le spalle. — Come si chiamava il padre di quella giovinetta?

— Harry Corishant, — rispose il maharatto.

— Gran Dio!... Ed era?

— Capitano dei sipai.

— Esci di qui!

— Ma perché?... Che cosa è accaduto?...

— Silenzio, esci di qui!

E, riafferrandolo per le spalle, lo spinse bruscamente fuori della porta, che richiuse con un doppio giro di chiave.