I naufraghi del Poplador/6. Il salvataggio

6. Il salvataggio

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5. Il naufragio 7. L'isola Cedros

6.

IL SALVATAGGIO


Il valoroso Poplador, spezzatosi sulle scogliere dell'isola Cedros, era per sempre perduto.

La poppa, sulla quale si trovavano don Guzman, Michele e ventisette marinai, spinta dalle onde che si rompevano con incredibile furia sui frangenti, era andata a incastrarsi solidamente contro due alte rupi; la prua, sulla quale si trovavano mastro Josè, mastro Harguez e gli altri marinai, era stata trascinata su un banco di sabbia e si manteneva ancora ritta per un miracolo di equilibrio.

La situazione era adunque terribile. I due rottami, fortemente scrollati e spazzati ad ogni istante dai cavalloni, minacciavano di sfasciarsi. I marinai, quantunque si tenessero aggrappati alle murate e alle gomene, correvano il pericolo di venir portati via e frantumati contro le rocce. Don Guzman, fatti trasportare i feriti, che mandavano urla strazianti, sotto il cassero, si spinse assieme al tenente sull'estremo limite del rottame e di là guardò.

La prua, sempre orribilmente scossa, distava una buona gomena. Al chiarore dei lampi vide il vecchio Josè ritto sul castello, aggrappato alla murata, che esaminava attentamente la costa lontana poco più di duecento passi. Attorno a lui stavano aggruppati i marinai.

— Mastro Josè! — gridò.

I muggiti delle onde impedirono alla sua voce di giungere fino al rottame.

— Mastro Josè! — ripetè con maggior forza.

— Capitano! — gridò il vecchio marinaio. — Siete vivo?

— Per ora sì.

— Sia ringraziato Iddio.

— Resiste il rottame?

— Sì, capitano.

— Potrà resistere fino all'alba?

— Lo spero.

— Ci siete tutti?

— Tutti, capitano, meno un ferito che le onde hanno sfracellato contro una roccia.

— Hai viveri?

— Tutto è stato portato via.

— Tieni saldo, vecchio mio.

L'infrangersi di una gigantesca onda impedì ai due uomini di continuare il discorso.

— Badate ai cavalloni, capitano — disse Michele. — Se non vi tenete ben aggrappato, vi porteranno via.

— Non temete, tenente — rispose don Guzman.

— Sapete, capitano, che noi siamo ben fortunati? Io non dava due piastre della mia pelle.

— Ma il Poplador è perduto — disse don Guzman con voce triste.

— Se i rottami resistessero alcuni giorni...

— Vorreste riunirli?

— No, ma con questo legname si potrebbe formare un piccolo Poplador.

— Fra due giorni, caro Michele, non rimarranno due tavole unite del nostro povero brick. Le onde porteranno via tutto.

— Cosa faremo noi dunque?

— Prima cercheremo di guadagnare la costa, poi vedremo quel che dovremo fare.

— Povero Poplador! Chi avrebbe detto che avrebbe terminato i suoi giorni sugli scogli di Cedros? Fatalità!

I due comandanti raggiunsero i loro compagni che si tenevano uniti gli uni agli altri, per meglio resistere agli assalti delle onde.

— Coraggio, amici — disse don Guzman. — I nostri compagni sono vivi.

Alle tre l'uragano cominciò a scemare di violenza. Il vento, dopo aver sconvolto l'oceano e ruggito su tutti i toni, cominciò a tacere e cessarono pure le folgori. Le masse nerissime di vapori che poco prima correvano disordinatamente per la vòlta celeste accavallandosi qua e là, si ruppero e apparvero alcune stelle.

Le onde nondimeno non si abbassarono. Arrivavano l'una dietro l'altra con formidabili muggiti, si sfasciavano contro le scogliere, tornavano a formarsi e correvano verso la spiaggia dell'isola risalendola per un buon tratto. I due rottami, urtati da tutte le parti, oscillavano violentemente, gemevano, battevano i fianchi contro le rupi e si vuotavano rapidamente. Dalle due immense spaccature uscivano assieme all'acqua corde, barili, casse, puntelli, attrezzi d'ogni sorta, armi, e palle di cannone. I pezzi d'artiglieria, sollevati da quei marosi, correvano per la batteria urtando furiosamente contro i madieri ed i corbetti che a poco a poco cedevano.

Alle quattro una luce biancastra cominciò ad apparire verso oriente. Il capitano e Michele, aiutandosi reciprocamente, si arrampicarono su una rupe contro la quale erasi appoggiato il rottame e guardarono attorno. A duecentocinquanta passi si alzava dolcemente la spiaggia dell'isola. Era affatto deserta; non una casa, non una capanna, non un canotto. Non si vedeva nemmeno un albero, nemmeno un cespuglio. In lontananza appariva però un monte altissimo, quello che era già stato segnalato prima di lasciare Assunciòn, coi fianchi coperti da superbe boscaglie.

Duecento passi a tribordo c'era il rottame montato da mastro Josè. Le onde l'avevano spinto sopra un banco di sabbia e là si era appoggiato contro una roccia.

Fra i due rottami e la costa si estendeva una triplice linea di pericolosissimi frangenti, acuti assai, spazzati ad ogni istante dalle onde dell'oceano.

— Josè — gridò don Guzman.

— Capitano — rispose il vecchio marinaio.

— Puoi raggiungere la costa?

— È impossibile. Non abbiamo alcun canotto.

— E con una zattera?

— Si sfascerà subito contro i frangenti.

— E a nuoto?

— Nemmeno, capitano. Siamo circondati da scoglietti che han le punte sottili come aghi. Se però lo esigete, tenterò la sorte.

— No, vecchio Josè.

— Possiamo noi tentare l'approdo, capitano — disse Michele.

— In qual modo? Una zattera non resisterà a queste onde ed a questi scogli.

— Con un po' di audacia due uomini possono attraversare i frangenti.

— Le onde vi sfracelleranno.

— Vedo dei canaletti laggiù, capitano. Se mi permettete, io mi spoglio e mi reco alla spiaggia. Voi sapete che senza aver molte pretese, sono un forte nuotatore.

— E se le onde vi scagliano contro qualche punta?

— Ciò non accadrà, capitano.

— Ma come faranno gli altri a raggiungervi?

— Io porterò con me un'alzanella1 e stabiliremo una solida comunicazione fra la costa e il rottame.

— Ma abbiamo i feriti, Michele.

— Viaggeranno in tarabita.2

— Michele, pensatevi bene a quello che state per fare. Può costarvi la vita.

— Ci ho pensato, capitano. Datemi un compagno e io rispondo dell'esito dell'impresa.

— Scendiamo, amico.

I due comandanti discesero sul rottame. Don Guzman riunì attorno a sé i marinai ed espose l'audace progetto del tenente. Venti uomini s'offersero per seguirlo nel pericoloso tragitto. Michele scelse un meticcio, valente nuotatore e forte quanto un èrcole.

— Animo, amico mio — disse al marinaio. — Audacia e sangue freddo soprattutto.

I due coraggiosi uomini si spogliarono, si legarono intorno al corpo un'alzanella, strinsero le mani ai compagni e si calarono in mare.

— Come ti trovi, Benito? — chiese il tenente al compagno.

— Benissimo, comandante — disse il meticcio.

— Al lavoro, amico, e guardati dai frangenti. Non siamo corazzati noi.

Lasciarono le corde che li avevano aiutati a scendere e si misero a nuotare.

— Auff! — esclamò Michele. — Si direbbe che cento balene agitano i flutti. Bada, Benito, a non imbrogliare l'alzanella.

— Non temete, tenente. Si danza terribilmente!

Una grande ondata, dopo aver scosso furiosamente i due rottami, si avanzò sui frangenti e sollevò i due nuotatori spingendoli innanzi.

— Accorcia le gambe, Benito! — gridò Michele che nuotava vigorosamente.

Per alcuni istanti quei due audaci furono trascinati verso la spiaggia, sfiorando gli acuti frangenti, poi furono violentemente respinti da una contro-ondata. L'alzanella del meticcio, imbrogliatasi su alcuni scoglietti, si ruppe.

— Carrai! — bestemmiò il marinaio.

— Niente paura — disse Michele. — La mia è intatta.

Una seconda onda li prese e li trascinò innanzi. Entrambi urtarono contro le rocce insanguinandosi le gambe, ma poi furono nuovamente sollevati e respinti.

— Corna del diavolo! — gridò Michele. — Che non la si spunti? Animo, Benito!

Ripresero la lotta fra quelle onde e contro-onde, che li trascinavano innanzi e indietro, coprendoli di spuma, assordandoli con muggiti spaventevoli, urtandoli a destra e a sinistra contro i frangenti che pareva si moltiplicassero. I marinai dei due rottami li incoraggiavano con grida e applausi e davano consigli, indicando questo o quel canaletto, o questo o quel gruppo di frangenti che dovevano evitare.

Alle sei del mattino Michele e il meticcio si trovavano a sole venti braccia dalla costa. Erano tutti scorticati e sfiniti per l'ostinata lotta. Un'onda si avanzava muggendo. Si ruppe contro i frangenti, sollevò i due nuotatori e li gettò innanzi. Michele sentì sotto i piedi un dolce pendìo coperto di sabbia e a portata delle mani un grossissimo macigno. Vi si aggrappò prontamente gridando a Benito:

— Tieni stretta l'alzanella!

L'onda risalì per un buon tratto la costa, poi ridiscese cercando di trascinar via i due marinai. Ma Michele tenne duro e Benito che si era aggrappato all'alzanella tenne pur fermo.

L'onda passò e la spiaggia rimase scoperta. I due bravi marinai, senza perder tempo, malgrado fossero sfiniti e scorticati come san Bartolomeo, salirono di corsa la spiaggia mettendosi al sicuro dagli assalti dell'oceano.

Un evviva fragoroso scoppiò a bordo dei due rottami:

— Viva il tenente!

— Viva Benito!

— I vostri applausi preferirei una bottiglia di Xeres — disse Michele. — Come stai, marinaio?

— Discretamente male, tenente — disse Benito. — Sono tutto pesto.

— Aiutami a ritirare l'alzanella.

— Non si è spezzata?

— Non credo.

I due nuotatori ritirarono la corda all'estremità della quale don Guzman aveva fatto legare una solidissima gomena.

— La fortuna è con noi — disse Michele. — I nostri camerati fra mezz'ora saranno qui.

Tirata la gomena a terra, l'assicurarono alla punta di una roccia che s'alzava alcuni metri sul livello della spiaggia. I marinai del rottame coll'argano la tesero, indi vi sospesero una gran cassa che coll'aiuto di due boscelli poteva facilmente scorrere e coll'aiuto di un'alzanella ritirarsi a bordo.

— Imbarca! — gridò allegramente Michele.

Un ferito e due marinai presero posto nella cassa la quale, a forza di braccia, cominciò a scorrere verso la costa. Le onde, che continuavano a rompersi contro i frangenti, talvolta la urtavano ma non riuscivano a rovesciarla. In capo a cinque minuti i tre marinai giungevano sulla spiaggia. La cassa fu subito ritirata a bordo e ritornò con due altri uomini, parecchie armi e dei viveri. Per un'ora quella specie di tarabita funzionò senza posa. Alle sette e mezzo del mattino don Guzman e i suoi compagni si trovavano tutti riuniti sulla spiaggia dell'isola.

— A nome di tutti lasciate che vi ringrazi — disse il capitano a Michele, che stava vestendosi. — La nostra salvezza la dobbiamo tutta a voi.

— Lasciamo lì i ringraziamenti, don Pablo — rispose il bravo genovese. — Pensiamo invece a salvare mastro Josè e i suoi compagni. Non sarà cosa facile.

— Forse più facile di quello che sembra, amico mio.

— Non possiamo mandare un uomo laggiù. Il rottame è tutto cinto da frangenti e così aguzzi che sembrano punte d'acciaio.

— Ho un progetto, Michele.

— Buttatelo fuori, capitano.

— Prima osserviamo la posizione che occupa il rottame.

I due comandanti si arrampicarono su una grande roccia che da un lato cadeva a picco sul mare e osservarono attentamente la posizione dei loro camerati.

Il rottame era lontano trecentocinquanta passi dalla spiaggia. Le onde l'avevano rovesciato contro uno scoglio e spazzavano il ponte minacciando di trascinar via gli uomini che l'occupavano.

— Bisogna affrettarsi — disse don Guzman. — Fra due o tre ore le onde lo spezzeranno.

— Tale è anche il mio parere — disse Michele.

— Mastro Josè! — gridò il capitano.

Il vecchio lupo di mare aiutato dai suoi compagni, stava costruendo una zattera. Quantunque avesse la certezza di non guadagnare la sponda con un sì imperfetto apparecchio, aveva deciso di tentare la sorte. Udendo la voce del capitano, salì sul castello di prua gridando:

— Eccomi, capitano.

— Hai un cannone in buon stato?

— Un pezzo da otto, capitano.

— Hai uno scandaglio?

— Sì.

— Sta' ben attento a quanto sto per dirti. Caricherai il cannone con una sola libbra di polvere e invece della palla vi metterai lo scandaglio. Bada che la fune sia ben assicurata all'anello.

— Ho capito.

— Sai di che si tratta ora?

— Perfettamente, capitano. Lo scandaglio servirà a mettere in comunicazione noi colla costa. Abbiamo una buona gomena da legare all'anello della palla, e un'ottima cassa per formare la tarabita.

— Affrettati, vecchio mio.

— Capitano, avete avuta una eccellente idea — disse Michele.

— Avete compresa la manovra?

— Sì, don Pablo.

Mastro Josè intanto non perdeva tempo. Aiutato dai marinai aveva trascinato il pezzo da otto sul castello di prua e l'aveva caricato, dopo di aver ben disposta la fune dello scandaglio lungo il bordo del rottame, onde non s'impigliasse.

— Ai vostri ordini, capitano — gridò il vecchio lupo, quando tutto fu pronto.

— Fa' tirare contro quella rupe — disse don Guzman indicandone una. — Non dimenticarti di assicurare l'alzanella a bordo.

— Tutto è fatto.

Il mastro cannoniere Harguez si curvò sul pezzo, lo abbassò un po', poi diede fuoco. La gola del bronzo s'infiammò vomitando lo scandaglio, il quale andò a scrostare un largo pezzo di roccia nel punto indicato dal capitano.

I marinai si precipitarono sull'alzanella. Era un po' abbrustolita all'estremità, ma era ancora in ottimo stato.

— Urrah! Urrah! — urlarono i marinai.

La comunicazione fra la costa e il secondo rottame era stabilita. Mastro Josè legò alla corda una grossa gomena che venne tosto tesa e vi fece scorrere la cassa.

Il tragitto dell'equipaggio si compì rapidamente e con perfetto ordine. Alle dieci del mattino l'ultimo naufrago del disgraziato Poplador metteva piede sulla sabbia dell'isola di Cedros.


Note

  1. Piccola fune.
  2. Specie di cassa che si fa scorrere sotto una fune ben tesa. Serve pel passaggio dei precipizi. È molto in uso nel Messico e nell'America meridionale.