I morbinosi/Lettera di dedica

Lettera di dedica

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I morbinosi L'autore a chi legge
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A CENTO E VENTI

GALANTUOMINI

E BUONI AMICI.

A
Voi, Onoralissimi Signori, e Cordiali Amici, dedico questa mia Commedia1, poichè Voi stessi me ne avete somministrato l’idea, e dalla vostra amabile Compagnia ne ho tratto il principale argomento. Ricordatevi di quel lieto giorno, in cui raccolto il numero di cento e diciannove Compagni, faceste a me l’onore di compiere il cento e venti; e raunatici alla Giudecca, tutti ad una tavola, al suono di trombe e timpani si diede una solenne mangiata. Non è cosa ordinaria unire in un giorno sì vasto numero di comensali. Sarebbe facile averli, se alcuno con liberalità gli invitasse, ma pare un poco difficile trovar cento e venti che paghino la loro quota. Ci vuole un uomo alla testa, conosciuto, amato e stimato; pratico di tai partite; abile alla direzione, e armato di sofferenza cortese. Noi lo abbiamo trovato, Voi lo sapete, e ne restammo perfettamente contenti. Con quale armonia, con quale tranquillità si passò una sì bella, una sì gioconda giornata! Dicasi a gloria della nostra nazione, cento e venti persone, per li due terzi almeno della gioventù più brillante, osservare sì esattamente la più rigorosa moderazione è cosa degna di lode, e lo stesso divertimento diviene un merito, ed un buon esempio. Vero è che non vi erano Donne. Se vi fossero state di queste belle sollevatrici del nostro spirito, non so se l’armonia, se la concordia si fosse fra di noi mantenuta. Non avrei dubitato della loro prudenza, ma della nostra.

Per formare questa Commedia ho dovuto introdurvi le Donne. Osservate per altro, che non le ho introdotte alla tavola. Bacco [p. 366 modifica]è troppo amico di Venere. Ho vissuto anch’io in questo Mondo; non sono ancora fra’ morti, e so qual effetto può produrre la tavola fra persone di vario sesso. Non parlo della intemperanza, non di quelli che, alterati dal vino, perdono la ragione, ed agiscono come puri animali. M’intendo di una certa confidenza, di una certa libertà che inspira la tavola; della comoda vicinanza all’oggetto, delle finezze che si cambiano e si permettono, delle attenzioni a tempo, delle barzellette allegoriche dall’allegrie inspirate, dell’effetto de’ cibi, della soavità de’ liquori, dell’umanità in cimento. Colà è dove le brutte pajono meno brutte, e le belle più belle; dove brillano le spiritose; dove si arrendono più facilmente le sciocche; dove il cuore s’mpegna, e l’occasione si medita. Guai se vi si meschia la gelosia! Guai se l’amante prende a sospettar dell’amico! Guai se la Moglie adocchia il Marito! Guai se i piedi, che non hanno occhi, s’ingannano! Qual orrore, quale scompiglio in cento e venti persone? Grazie al Cielo, noi siamo siati come tanti angioletti, e mi ricordo che avete voluto collocarmi in capo di tavola, perchè fossi a portata di veder tutto, e raccogliere tutto ciò che mi paresse a proposito per una Commedia. Ma vi siete condotti con tanta moderazione e contegno, che ho avuto motivo di edificarmi, e se ho voluto soddisfare all’eccitamento che dato mi avete di scrivere una Commedia, ho dovuto inventare degli Episodi, stranieri affatto alla verità della nostra conversazione. Comunque siasi, la Commedia è fatta; ella però nel titolo vi appartiene, e a Voi la dedico e la consacro.

Il Vostro Umiliss. Servitore ed Amico
Carlo Goldoni.


  1. La presente lettera di dedica fu stampata in testa alla commedia l’anno 1763, nel t. IX. del Nuovo Teatro Comico dell’Avv. C. Goldoni, edito a Venezia presso Franc. Pitteri.