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è troppo amico di Venere. Ho vissuto anch’io in questo Mondo; non sono ancora fra’ morti, e so qual effetto può produrre la tavola fra persone di vario sesso. Non parlo della intemperanza, non di quelli che, alterati dal vino, perdono la ragione, ed agiscono come puri animali. M’intendo di una certa confidenza, di una certa libertà che inspira la tavola; della comoda vicinanza all’oggetto, delle finezze che si cambiano e si permettono, delle attenzioni a tempo, delle barzellette allegoriche dall’allegrie inspirate, dell’effetto de’ cibi, della soavità de’ liquori, dell’umanità in cimento. Colà è dove le brutte pajono meno brutte, e le belle più belle; dove brillano le spiritose; dove si arrendono più facilmente le sciocche; dove il cuore s’mpegna, e l’occasione si medita. Guai se vi si meschia la gelosia! Guai se l’amante prende a sospettar dell’amico! Guai se la Moglie adocchia il Marito! Guai se i piedi, che non hanno occhi, s’ingannano! Qual orrore, quale scompiglio in cento e venti persone? Grazie al Cielo, noi siamo siati come tanti angioletti, e mi ricordo che avete voluto collocarmi in capo di tavola, perchè fossi a portata di veder tutto, e raccogliere tutto ciò che mi paresse a proposito per una Commedia. Ma vi siete condotti con tanta moderazione e contegno, che ho avuto motivo di edificarmi, e se ho voluto soddisfare all’eccitamento che dato mi avete di scrivere una Commedia, ho dovuto inventare degli Episodi, stranieri affatto alla verità della nostra conversazione. Comunque siasi, la Commedia è fatta; ella però nel titolo vi appartiene, e a Voi la dedico e la consacro.

Il Vostro Umiliss. Servitore ed Amico
Carlo Goldoni.