I monumenti e le opere d'arte della città di Benevento/Dell'arco del Sacramento/Questo monumento fu un arco, onorario o trionfale

2. Questo monumento fu un arco, onorario o trionfale? Ovvero un Giano? O soltanto una porta?

../Descrizione del monumento ../Età del monumento IncludiIntestazione 29 aprile 2023 100% Da definire

2. Questo monumento fu un arco, onorario o trionfale? Ovvero un Giano? O soltanto una porta?
Dell'arco del Sacramento - Descrizione del monumento Dell'arco del Sacramento - Età del monumento
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2. questo monumento fu un arco, onorario o trionfale?
ovvero un giano? o soltanto una porta?


Quello che non puossi revocare in dubbio si è che questo arco, come si mostra al presente, dal piano stradale sino al di sopra dell’estradosso dell’arco più alto (Tav. XXX), escludendo cioè le fabbriche superiori che vi furono elevate in epoca a noi molto più vicina, rappresenti lo scheletro di un monumento, cui manca tutto il rivestimento che lo decorava. Già accennai nel precedente paragrafo che l’opera pseudisodoma degli stilobati probabilmente sia stata rivestita di marmi, avendo notato che sulle facce esterne dei parallelepipedi esistano ancora dei cavi con tracce di ferro e piombo che servivano a trattenere le lastre di rivestimento. Ma, oltre a ciò, è a por mente che lo zoccolo delle pilastrate al di sopra dello stilobate è di mattoni, e quindi dovette avere il suo rivestimento di marmo. E poichè quello, come ora si trova, già aggetta fuori il vivo del dado degli stilobati, aggetterebbe ancora di più se vi fosse la grossezza del rivestimento, occupando gli otto centimetri almeno di distanza dal vivo della fascia dello stilobate, con la quale si metterebbe a pari. Evidentemente, adunque, anche gli stilobati ebbero il loro rivestimento di spessore almeno eguale a quello del rivestimento dello zoccolo sudetto. Ma io stimo lo abbiano avuto ancora maggiore.

Non cade poi verun dubbio che le quattro riseghe sulla fascia degli stilobati (Tav. XXXI e XXXII) sieno servite a sostenere un intercolunnio per cadauna sulle due facciate maggiori, meridionale e settentrionale, del monumento, osservandosi benissimo che la muratura antica delle pilastrate rientri ad arte e non sia mancante per caso. Dunque ad ogni pilastrata erano addossate quattro colonne, due sul fronte meridionale e due su quello settentrionale. Esse probabilmente si discostavano egualmente dagli [p. 236 modifica]spigoli interno ed esterno delle pilastrate, tenendo considerazione dello zoccolo che esiste pure nelle facciate occidentale ed orientale al di sopra degli stilobati, il quale avrebbe impedito il girare della colonna sul cantone esterno, come vedesi nell’arco Traiano.

Le colonne sudette reggevano la trabeazione, la quale non doveva sorpassare, tutt’al più, che di poco l’altezza dell’estradosso del volto del fornice, essendovi l’altezza di m. 6.00 dal piano superiore dello stilobate sino al sudetto estradosso, proprio quanta è quella di tutto l’ordine dell’arco Traiano. Cosicchè identiche furono ad un di presso le proporzioni dell’ordine che era applicato al monumento che stiamo esaminando. E, se si paragonino tutte le altre dimensioni e proporzioni del primo a quelle del secondo arco, vi si riscontrerà molta rispondenza.

Ritornando un momento sotto il fornice, fo osservare che il rivestimento apparisce manifesto essere esistito tra lo zoccolo delle pilastrate e la cornice d’imposta, notandosi che quest’ultima presenta inferiormente, non meno che lo zoccolo, una sporgenza (Tav. XXXV) di otto centimetri dal vivo delle pilastrate, oltre lo aggetto del tondino, la quale evidentemente rappresenta lo spessore di una lastra di marmo. Se non fosse così, quella sporgenza sarebbe ingiustificata. E conseguentemente anche l’intradosso del volto del fornice dovette avere il suo rivestimento di eguale spessore dell’anzidetto, di maniera che i centimetri venti di aggetto attuale della cornice di imposta si riducevano in effetti a dodici soltanto.

Al di sopra della trabeazione si elevava l’attico, il quale viene rappresentato da quasi tutto il vuoto dell’arco superiore al fornice e dallo spessore del volto medesimo, complessivamente di m. 3.57 di altezza. Dalla quale detraendo quel tanto che faceva pure parte dell’ordine inferiore, resta giusto quanto occorreva all’attico, cioè una metà dell’altezza del sottoposto ordine. Facendo dette calcolazioni, si trova che l’attico era alto metri 3.19, tutto l’ordine m. 6.38, tutto il monumento m 12.07, cioè un tre metri meno che l’arco Traiano. Però si deve considerare: che il monumento che stiamo esaminando aveva le pilastrate su i due fronti principali più strette che non sieno quelle dell’arco Traiano, laonde nel primo l’intercolunnio era più ravvicinato; che il fornice [p. 237 modifica]dell’arco Traiano è più largo di quest’altro; e che in questo mancano le alette nell’interno del fornice. Ora, se si tien conto di tutto ciò, si riconosce che l’arco del Sacramento conservava nel fronte le stesse proporzioni dell’arco Traiano.

Di fatti, siccome quest’ultimo misura m. 13.51 di larghezza sul fronte da colonna a colonna estreme, e m. 15.21 di altezza dal piano di strada, ove comincia lo zoccolo, alla cimasa terminale dell’attico; e siccome la larghezza del fronte dell’arco del Sacramento da un cantone esterno all’altro delle pilastrate è di m. 10.66, così, facendo la proporzione, si trova che a quest’ultimo dovrebbe corrispondere l’altezza di m. 12.00, cioè proprio quella che in effetti ho trovata e ho segnata poco fa.

Spero che il lettore non stimi pedanterie tutte queste calcolazioni e questi raffronti, i quali (mel conceda in grazia) servono a chiarir sempre più il concetto che gli architetti romani avevano le loro formole prestabilite per tali edifizii; ed indagarle non è opera vana, oggi che non sempre noi seguiamo i principii veri dell’arte nelle nostre costruzioni.

Da tutto quanto ho esposto apparisce chiaro che l’arco presente ha molta analogia con l’arco Traiano. Potrei dunque fin da ora escludere affatto la ipotesi che avesse potuto far parte di un Giano; ma, poichè ai miei orecchi è giunta talvolta questa erronea interpretazione, anche da persone di una certa cultura, corremi l’obbligo di ribattere con altre ragioni la falsa supposizione.

E pria d’ogni altro occorre spiegare che i Giani erano degli edifizii, secondo alcuni, inservienti, siccome le moderne borse, ai negozianti per le loro contrattazioni e i loro negozii; e secondo altri, più verosimilmente, a difenderli soltanto dalla pioggia e dal Sole, allorquando si trovavano in mezzo al Foro1. I primi han forse fondata la loro opinione sul passo di Cicerone2: «Sed toto hoc de genere, de quaerenda, de collocanda pecunia, (vellem etiam de utenda) commodius a quibusdam optimis viris ad medium Ianum sedentibus, quam ab ullis philosophis ulla in schola disputatur». Cicerone accenna al Giano di mezzo, perchè [p. 238 modifica]lungo una via, in ripartiti spazii, ve ne eran tre che si distinguevano con le denominazioni Ianus summus, Ianus medius, Ianus imus. Erano poi distinti con l’appellativo Giani perchè dedicavansi a Giano, la cui statua solevasi situare sulla sommità del loro attico3, sebbene Wey asserisca che quel nume non ci entri per nulla4. Si dicevano pure compiti5.

Di tal genere di edifizii avanza in Roma, vicino a S. Giorgio in Velabro, solo quello di Giano Quadrifronte, così chiamato per avere le quattro facciate eguali. Esso è costituito da quattro piloni a base quadrata sorreggenti quattro arcate, le quali nell’interno s’incontrano a formare una volta a crociera. Anticamente a ciascuna di quelle arcate corrispondeva una via; laonde si aveva un quadrivio nel sito dove sorge il monumento.

In Roma poi ve ne erano molti; in ispecie Domiziano ne aveva fatti edificar tanti che un dì sul fronte d’uno di essi fu trovato scritto in greco APKEI6, cioè basta; volendo significare che era tempo ormai di smettere dal fabbricarne altri.

Canina7 riferisce a tali monumenti anche l’arco de Gavii in Verona, di cui ho parlato a pagina 11 di quest’opera e che Ponza ritiene sia onorario, quello di Antiochia e quello di Palmira, i quali ultimi, invece che da vie, sono fiancheggiati da portici.

Ma però in mancanza di altre conoscenze più complete su altri edifizii di simil natura, conviene attenerci per il tipo a questo di Giano Quadrifronte.

Ora io non trovo nessuna analogia tra esso e il nostro arco. A prescindere che questo non ha che due pilastrate e un sol fornice, perchè si potrebbe obbiettare che gli altri elementi sieno stati diroccati (sebbene con gli ultimi lavori della costruzione della fognatura che passa di là sotto nessuna traccia siasi scoverta di fondazioni riferibili ad esso), è importante far rilevare che la base rettangolare delle pilastrate molto allungata, oltre i due quadrati, non sarebbe stata idonea per un Giano; che le proporzioni e [p. 239 modifica]

Tav. XXXV.

Sezione Prospetto

Particolari della cornice d’imposte e dello zoccolo delle pilastrate.

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rapporti, fatti da me notare poco fa, degli stilobati e del fornice, la esistenza del grand’attico, chiuso, completo (come scheletro) in ogni sua parte, debbano far escludere assolutamente quella ipotesi. Laddove, se fosse stato un Giano, l’attico che noi osserviamo avrebbe dovuto presentare un sol fronte completo.

Stimo abbia dovuto trarre in errore la esistenza di quel masso di muratura, sporgente (Tav. XXX e XXXII) sull’alto della pilastrata occidentale, stimato forse un avanzo della muratura che collegava due attici paralleli per di sopra l’arcata occidentale, normale alla esistente. Ma si sarebbe dovuto por mente eziandio che quel masso aggetta in pari tempo fuori la facciata minore occidentale; la qual cosa contraddice l’ipotesi da lor messa innanzi.

E poi, presentando ambo le facciate principali la risega sugli stilobati, si tocca con mano che erano tutte e due decorate di un ordine solo, sin sotto il piano dell’attico. Mentre, se si fosse trattato di un Giano, tale ordine o non avrebbe dovuto coesistere su una delle due facciate maggiori, o almeno avrebbe dovuto essere assai basso da permettere il girare della crociera inferiormente al piano dell’attico. Devesi adunque affatto escludere che quest’arco sia una porzione di un maggiore edifizio, di un Giano, e non un tutto a sè, completo in ogni parte del suo organismo.

Non mi dilungherò a dimostrare poi che non abbia potuto servire di porta; sol che si ponga mente che esso sta in un sito, che nell’epoca romana era il centro della città, e non sulla periferia, devesi escludere anche quest’altra ipotesi.

Eliminate le due sudette ipotesi, resta chiarito che quest’arco era un monumento, o onorario o trionfale, a similitudine dell’arco Traiano, dal quale differiva soltanto nella parte decorativa, ma gli era simigliantissimo, come ho fatto vedere, nell’organismo.

Tornando all’attico dell’arco presente, il lettore avrà potuto notare che il volto che lo ricovre, secondo i buoni principii di costruzione, imposta sulle pilastrate, non sui muri di fronte. La qual cosa ho osservata per ricordargli quanto dissi8, che, cioè, non mi pare ben segnato dai discepoli di Vanvitelli, nei disegni loro, il volto dell’attico dell’arco Traiano.

Note

  1. Selvatico, op. cit. vol. 1. pag. 163 — Vasi, op. cit. pag. 398.
  2. Gli Uffizj, Dell’utile ecc., lib. II. cap. XX. in fine.
  3. Selvatico, luogo ultimo citato — Canina, op. cit.
  4. Wey, op. cit. pag. 287.
  5. Vasi, id. pag. 398.
  6. Svetonio, Istoria dei dodici Cesari, nella vita di Domiziano.
  7. Op. cit. tav. 195, 113.
  8. A pag. 26.