I monologhi di Pierrot/V
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Gian Pietro Lucini - I monologhi di Pierrot (1898)
V. Luna calante
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Den der Lebende hat Recht.
Pierrot di dentro, giuocolatore improvvisato, facendo apparire dite fantocci di tra una tenda, ricorda, in una scena di burattini, una fase della sua esistenza. Fra tanto dipinge lo sfondo.
- PIERROT,
- avvisando.
- La Luna indugia oltre alla pineta: un’armonia secreta
- fanno le ramore verdi nel vento. La sera scende.
- Lunga la via un torrente scoscende: la Selva Nera
- ondeggia e il Castello di Baden fiammeggia sulla recente
- neve. Passano delle gru. La luna è pigra a venir su,
- sulla cime dell’alberi. Se sorgerà, ci apparirà falce clorotica
- volta a levante. Il fiume mormora.
- La sera è dubia, triste, lieta, eccitante.
- Or entrano li Attori, miei Signori.
PIERROT imita il dialogo.
- HERR.
- Guten Abend, meine Frau!
- FRAU.
-
- Guten Abend, mein Herr.
- HERR.
- Il mio volto risplende più della neve sulla Jung-Frau,
- s’io son Pierrot germanico.
- FRAU.
-
- Ed i miei seni odorano
- più del «Jardin d’Hiver» della «Kours’ Hall» dei Bagni.
- Vi pare? Filatrice di lino biondo, come il mio capo,
- le catenelle argentee brillano e riscintillano nei movimenti:
- e la cuffia lampeggia conce un gasco. Ho li occhi ceruli.
- HERR.
- Io non distinguo il colore dell’occhi alla sera.
- FRAU.
-
- Ho per sorella
- Gretchen.
- HERR.
-
- So, so... Queste ragazze dicon sempre così.
- Fatemi una ciarpa di felicità.
- FRAU.
-
- Volete ridere? Io filo di sera,
- perchè non ci si vede; l’opera è più gioconda se resta
- sconosciuta al facitore.
- HERR.
-
- Hoffmann, o Novalis, o Gian Paolo?
- Un grazioso diavolo siete se m’intrigate.
- FRAU.
-
- Sorridete non ci pensate.
- HERR.
- Meine Frau, dovrò ridere un po’ dello strano paese. In piazza vidi
- passeggiar di conserva Tambur Major e un mio discepolo,
- meine Frau, Henrick Heine.
- FRAU.
-
- Di già?
- HERR.
-
- Parlai con lui, l’alito sentivagli
- d’assenzio.
- FRAU.
-
- Pure la birra è buona, se d’alquanto linfatica.
- E bevendo e sognando alle Fate, Strauss diè fuora, dal sonoro
- legno del cembalo, un nuovo waltzer in mio onore,
- mein Herr.
- HERR.
-
- Così Giovanni Kreisler si prova di tradurre Calderon
- col contra punto, Shackespeare coll’organo della ducal cappella:
- Schamisso si dimentica di pianger la sua ombria, e le balla
- da torno, e il Consigliere di Giustizia Drosselmeyer di Nuremberg
- batte la solfa al ballo e all’armonia collo stinco d’un morto.
- E ver che van veloci l’annegati nel Reno?
- FRAU.
-
- Che propositi strani!
- L’orto conserva sotto la neve soffice i cavoli migliori
- ed il kraut sarà eccelente quest’anno.
- HERR.
-
- Se gli aggiungete
- acqua di rose. Le storie paurose, fan meglio degerire, meine Frau.
- E poi? Ascesi il Golgota con Klopstock e visitai la Grecia
- in compagnia di Lessing, ma ritrovai sul Blocksberg
- Venere e le Tre Norme in famigliari dispute. Barbarossa
- fa strepito d’acciai, come Gog, nelle grotte: quando
- scende la notte, odo li scudi percuotersi e suonare, ed alcune
- zagaglie minacciare battaglie, palleggiate da mani invisibili
- pei crepacci scheggiati. Forse è il vento che geme, o pur la luna
- che simula dei raggi a mo’ di daghe. Fra tanto le pupattole
- lisciate della gotica Nuremberg s’innamoran dei Chierici
- di Leipsick ed a Dansick il mare urla e oltraggia alla duna,
- meine Frau, oceano popolare di minaccia, onde crespate e ruvide,
- capigliature scosse di vendetta e d’odio. Domani il mare sorriderà.
- FRAU.
- Mein Herr, e la luna risplenderà capricciosa ai mulini
- ed è dolce ammirare bevendo. La birra è limpida come un’ambra
- limpida. — Oh guardate;... sensitiva come una bambina questa
- mia rosa pallida s’inchina e s’accartocca tra i seni. Rosa d’inverno!
- HERR.
- E nei sereni occhi vi leggo una grande passione. Volete folleggiare
- sulla neve?
- FRAU.
-
- Il giorno è troppo breve, la notte troppo lunga.
- Son solita ad attendere i Re Magi. Il Casino si chiude tardi
- anch’esso.
- HERR.
-
- Una bisca? È una casa sempre aperta come un Tempio
- cattolico, nulla rifiuta, ma nulla dà. L’occhi, finestre uccellano
- l’affamati dell’oro, come i ceri lingueggian sul tesoro dell’arca
- custodito ad ammaliare. Portiam fede e coscienze a costoro:
- ci renderanno cenere. Avete mai mai giuocato o mai pregato,
- meine Frau?
- FRAU.
-
- Sempre: ogni giorno.
- HERR.
-
- E la posta?
- FRAU.
-
- Il cuore.
- HERR.
- Ed il sesso?
- FRAU.
-
- Che domanda indiscreta, mein Herr.
- HERR.
-
- Un poeta
- fantoccio Pierrot non soppesa le sillabe: in quanto può, dimostra
- il suo carattere. Convien dunque aspettare i Re Magi per folleggiare?
- FRAU.
- Verran? Verranno carichi d’oro e d’incensi, avran collane di pietre preziose,
- avran rose di Gerico, sciamiti alessandrini, velluti ricamati,
- arazzi inargentati, e topazzi alli arnesi dei cavalli, e barbaresco seguito
- e staffieri e coppieri? Verran dunque gentili e severi i Re dall’Oriente
- per la via frequente delle città del Nord, portando balsamo, luce, calore
- al cuore assiderato? Delizie delle viste, ed imagini amate!
- HERR.
-
- E pel sesso
- e pel cuore!... So, so . . . Saran Magi d’amore, Magi di squisitezze.
- Vengono, meine Frau, per l’ambagi della selva vicina. Già prima
- serpeggiò la carovana per la piana immensa d’un biondo deserto,
- e l’oasi, isole di verzura, apprestar sepoltura ai camelli spossati
- e sizienti. O nei silenti misteri del Deserto! Questo deserto
- è un Cuore, e i Viaggiatori i Desideri. Aspettiamo i Re Magi:
- ma quante stelle in cielo!
- FRAU.
-
- Sono troppo lontane! I Desiderii miei
- pigolan come uccelli di tra le viti a Maggio, stanno tra i fiori
- e i gemmati colori: amano la campagna, il sole, la rugiada
- ed i bei Dami senza conseguenza: amano i gilii ch’adornan
- di ricami la culla del neo nato, s’egli dorma e sorrida.
- HERR.
- Oh vecchio lievito della patria gota. Romanticismo piange
- e si lamenta di tra il Fornello a cui mastro Cornelio attizza
- bracie per l’oro, ed un Castello di granito che geme dei pianti
- d’una bionda infedele! O pur rammemora Sprenger e il «Malleus»,
- e le streghe ed i roghi o gioconda Germania luterana! O Germania
- di Ficthe e di Kant, le tue donne aman sogni e riposi
- e buona mensa. Altri pensa al futuro e vuol più lauto
- pranzo a chi fatica; e al sopra avanzo dell’azion giornaliera
- grida s’infuria e in contro al Capitale; Carlo Marx. Ma le tue donne
- voglion perle superbe all’orecchini e rubini all’armille;
- e Lassalle s’innamora d’una ricca e dimentica il Mondo
- per un cuore: ed è un onore morir per una donna: so, so!
- E tutti trescano d’in torno al kreutzer e battono le mani
- e Wilhem passa come una divinità, applaudito. Su la gran cassa
- suoni e simuli il cannone o il tuono. Appunta lo spadone
- Arminio in sui Latini. Ma dai confini risponde una parola
- e scende il Kaiser-König per il Sacro Romano Impero
- in villeggiatura . . . e l’avventura vien terminata a Roma,
- ai piedi del Pontefice. La tiara, la spada,... e l’Italia
- in gramaglia a tendere il vassoio ai teutonici visitatori.
- Questi sono li allori della pace perpetua sopra all’artiglierie.
- So, so . . . malinconie. Meine Frau, noi dunque non salirem
- già mai sino alle stelle: voi temete l’aeree procelle
- dell’ideale oceano del cielo; aspetterem che discendano
- a noi queste stelle maligne: ma guardatevi!...
- FRAU.
-
- I pasticcini
- per i bambini cuoccion nel forno: si fanno in torno
- dorate croste e son ripieni di rosee composte d’albicocche
- e di poma. Se strillano i bambini, la provvida massaia
- dà l’offa dolce e tacciono. Poi la massaia va, come vuol città,
- a feste ed a conviti. E i bimbi accalappiati dal dolciume
- ingojano un boccone che punge in gola, nè pensano che l’abito
- di gala che la matrona sciala provien dal lor tacere e dall’avere,
- ghiottoni, assaporata la focaccia. Il dolce è la promessa che si fonde
- come lo zuccaro e che non resta, mein Herr.
- HERR.
-
- Meine Frau, siete
- ardita; un’arguzia squisita rivolgete e pungete.
- FRAU.
-
- Ah, ah! mein Herr,
- il vel mi si scompone in sul corsetto; non avreste uno spillo?
- HERR.
- Una stella è caduta ai vostri piedi forse non bene aggemminata
- al diaspro, o travolta all’aspro vento dell’alto. Le stelle, in cortesia,
- vi vengono a inchinare: o è un desiderio vago che si spegne
- pria della Soluzione? Meine Frau, non volete lasciarvi vedere
- e v’è piacere che vi tocchi sul collo candido e nudo
- per raggiustarvi il fisciù? Gretchen, Mephistopheles canta
- la serenata a Marta addormentata e stanca; e Venere
- s’abbranca al pungitopo matrimoniale. Ridono nelle sale
- la zia e la cugina: il bel fiore è cresciuto tra l’idealismo
- a foggiarsi uno sposo. Ma la spessa farina che mi copre la faccia
- vuol ben altra focaccia d’impolverare E tutto è una risata.
- FRAU.
- Mi credete, mein Herr, così astuta? La festa è terminata.
- Là giù spengono i lumi.
- HERR.
- Come lo terminò Goethe nel Wilhem
- Meister con un incendio? A che soffiar sulle candele accese?
- L’incendio sulla neve, porpora ed ermellino: uno strano festino
- di luce che conduce verso l’eternità, se ci sarà.
- FRAU.
-
- Torneremo alle case.
- Se persuase il cuore un desiderio, la speranza ci avanza
- un giocondo sentiero.
- HERR.
-
- Avete fatto tardi con me.
- FRAU.
-
- Oh!
- HERR.
-
- Le strade mal sicure
- preparono paure. Ma non tenete. È ver che sta mattina morì
- il Burgmeister Kroff. Passando io vidi i becchini preparargli la fossa.
- Sorgeranno fiammelle in cimitero.
- FRAU.
-
- Con questo freddo? Voi volete ridere!
- HERR.
- S’ultimo batte il cuor per un rimpianto od un rimorso,
- lo spirito fiammeggia in pieno inverno.
- FRAU.
-
- Ah, ah! lasciate fare.
- La sera è tutta nera, ma sorgerà la luna.
- HERR.
-
- È una luna morente.
- E vi duol di tornar sola?...
- FRAU.
-
- Vi pare?
- HERR.
-
- Vedrete una graziosa
- Loreley danzare a cantare i suoi lai sulle rive del fiume.
- FRAU.
- Non la temo.
- HERR.
-
- A doman, meine Frau?
- FRAU.
-
- Se potrò.
- HERR.
-
- All’avventura!
- La notte oscura prepara una sorpresa. Se la signora è presa
- nei lacciuoli la pruina e ghiacciuoli le faran diadema
- sulla testa. Ed allora, es thut mir leid, credetemi.
- Ma Pirlipat s’addormenta al sonno magico e Schnurr la guarda,
- coll’occhi gialli, vicino al letto: Fritz e i Dragoni verranno
- alla riscossa. Guardatevi dai Gnomi che s’appiattan nel bosco.
- Han tutti la figura dei giovanetti critici milanesi: un acre
- tosco preparan nelle coppe di cristallo. So, so... non volete
- comprendermi?... Le vostre labra ridono come un rosso corallo.
- FRAU.
- Imaginate perigli e sfoggiate consigli: Ich dancke wohl,
- mein Herr.
- HERR.
-
- A domani?
- FRAU.
-
- Leben sie wohl!...
- HERR.
-
- A dio?
- FRAU.
-
- Auf wiedersehen!
- HERR.
- Ah, ah? voi ci ritornete?... La luna ascende sopra le nuvole.
- PIERROT,
- avvisando.
- La scena è terminata. Il lume, che vedete montar sopra la tela
- imaginata, aspra di pini, è una luna che termina una fase.
- Luna tedesca, ultima, fischiò la mia poesia;
- e, sui castelli turriti del Reno, ebbe un sereno grido l’anima mia
- ed anche cupo. Attendiam l’auspicio della nuova Luna:
- sorgerà sulla veneta laguna, tra li Arlecchini, o in bizantini errori
- sulla Senna, od in finnici allori nella Svezia?
- Donde verrà quest’Ecate novella? Da una procella o da un giorno di sole?
- Io la presento e la pavento e precorro la meta.
- Una secreta voluttà di soffrire, di gridar, di gioire
- e di vivere in fine mi punge dentro.
- E forse non avrò più volto pallido.
La tenda oscilla: i fantocci scomparsi. Pierrot tace. Un sospiro: una invocazione muta e cordiale. La tenda stira le pieghe immobili: tenda chiusa ed ermetica.