I misteri della jungla nera/Parte II - Capitolo X - La fregata

Parte II - Capitolo X - La fregata

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Capitolo X
La fregata


L’Hugly, le cui acque sono reputate sacre dalle popolazioni dell’alta India le quali intraprendono di frequente dei lunghi pellegrinaggi, per gettarvi le ceneri dei loro defunti o per bagnarvisi è uno dei più importanti fiumi della grande penisola asiatica. La sua lunghezza non supera le cinquanta leghe, essendo formato dalla riunione dei fiumi Cossimbazar e Djellinghey, i due rami più occidentali del Gange; ma la massa delle acque è considerevolissima, ingrossata sulla destra dal Dorumoudah dal Roupnaram, dal Tingorilly e dall’Hidiely.

Su questo braccio del Gange regna un’attività straordinaria, febbrile, che eguaglia quella dei fiumi giganti dell’America settentrionale. Approfittando dell’alta marea, che si fa sentire molto forte, vascelli, provenienti da tutti i porti del globo lo salgono arrestandosi o a Calcutta, o a Chandernagor o a Hougly, le tre città più importanti collocate sulle sue rive.

Piroscafi, barchi brick, brigantini, golette e slopp, s’incontrano dovunque lungo il suo corso. Non parliamo delle pinasse, dei poular, dei bangle, dei mur-punky, dei fylt’ sciarra, dei gonga e di tutte quelle altre barche più o meno grandi, di costruzione indiana, che si contano a migliaia e che s’incrociano in tutti i versi.

Nel momento però che la baleniera si staccava dalla riva, poche barche solcavano la corrente e quasi tutte provenienti dal sud, che è quanto dire dal mare. Dal nord scendevano invece ammassi di cadaveri che andavano capricciosamente alla deriva, ad arenarsi sulle numerose isole ed isolotti o sulle rive dove cadevano sotto il dente delle tigri e dei sciacalli, sempre pronti a prendere parte a quei giganteschi banchetti che la superstizione indiana offre loro gratuitamente.

- Animo, - disse Tremal-Naik. - Bisogna giungere al forte prima che la spedizione prenda il largo. Se giungiamo tardi, perdete Raimangal.

- Lascia fare a noi, - rispose colui che pareva fosse il capo di quei thugs. - Arriveremo a tempo.

- Quale distanza abbiamo da qui al forte?

- Meno di dieci leghe.

- Quando credi che la spedizione partirà?

- All’alta marea, senza dubbio. Fra una mezz’ora comincerà a montare e correremo più rapidi di uno steamer.

I thugs, robusti garzoni, rotti a tutte le fatiche ed abituati sino dall’infanzia al remo, accomodatisi sui banchi si misero ad arrancare di buon accordo, con colpi secchi e rigorosi.

La baleniera, una bella e solida imbarcazione, costruita appositamente per la corsa, non tardò a filare con notevole velocità, sfiorando appena l’acqua, la cui corrente minacciava di arrestarsi pel prossimo arrivo della marea, la quale sale con tanta furia da causare, non di rado, a Calcutta, un accrescimento di livello superiore ai cinque piedi.

La notte era limpidissima, illuminata da una luna superba e l’aria dolce, rinfrescata di quando in quando da una brezzolina, che scendeva dall’alto corso della fiumana.

Le rive, visibili come in pieno giorno, presentavano di quando in quando delle belle vedute, affatto speciali ai fiumi indiani.

Ora erano boschi magnifici di palmizi, di cocchi dall’aspetto maestoso, colle lunghe foglie disposte a cupola, e di manghi, stretti in mille diverse guise da quegli strani arrampicanti chiamati calami che raggiungono di frequente la lunghezza di centocinquanta metri. Ora erano campi sterminati di senapa, i cui fiori gialli spiccavano chiaramente sotto gli argentei raggi dell’astro notturno; oppure piantagioni di indaco, di zafferano, di sesamo, di scialappa o immense distese di bambù smisurati, in mezzo alle quali andavano e venivano bande di bufali selvaggi, animali veramente formidabili, più temuti delle tigri e che non esitano ad assalire anche un reggimento di gente armata.

Talvolta apparivano miseri villaggi, soffocati sotto una densa vegetazione, oppure cinti da risaie, chiuse tra arginetti alti parecchi piedi, destinati a trattenere le acque, e più spesso rizzati sull’orlo di putridi stagni sopra i quali ondeggiava una nebbia pestilenziale, carica di febbre e di cholera.

Non mancavano però gli eleganti bengalow sui cui tetti piramidali sonnecchiavano bande di cicogne nere, di ibis brune e di mangiatori di ossa, uccelli giganteschi, avidissimi e molto rispettati dagli indiani, i quali, secondo la loro strana dottrina delle trasmissioni, credono che nei loro corpi si trovino le anime dei sacerdoti di Brahma.

Mezz’ora era di già scorsa, da che la baleniera aveva lasciato la piccola insenatura, quando sulla riva destra si udì una voce a gridare:

- Ehi!... Alt!...

Tremal-Naik, a quella brusca intimazione, che non s’aspettava, essendo il fiume deserto, prontamente si alzò.

- Chi è che c’intima di arrestarci? - chiese egli guardandosi attorno. - Qualche fratello forse?

- Guarda laggiù, - disse uno dei remiganti, additandogli la riva.

- Passiamo dinanzi al bengalow del capitano Macpherson.

- Che ci abbiano scoperti?

- Deve essere così. I furbi hanno sospettato qualche cosa e tengono d’occhio le barche che salgono il fiume. Non vedi degli uomini, sulla terrazza?

Tremal-Naik diresse lo sguardo verso il bengalow. Sulla terrazza che dominava il fiume scorse un gruppo di persone. La luna faceva brillare le canne dei loro fucili.

- Ehi!... fermati!... - ripeté la stessa voce.

- Tiriamo innanzi, - disse Tremal-Naik. - Se vorranno attaccarci, ci daranno la caccia.

La baleniera che aveva rallentato la corsa, continuò a risalire. Un clamore assordante s’alzò sulla terrazza.

- Tuoni e fulmini! - urlò un’altra voce.- Fate fuco!

- Sono essi! - gridò un’altra voce.- Fuoco, amici!

Tre o quattro colpi di fucili rintronarono. I thugs, quantunque di già lontani un cinque o seicento braccia, udirono le palle fischiare sopra l’imbarcazione.

- Ah! briganti! - esclamò Tremal-Naik, raccogliendo la carabina.

- Bada! - gridò uno dei thugs. - Si preparano a darci la caccia.

- Penso io a tenerli lontani. Drizzate l’imbarcazione verso quel grab che scende il fiume; forse viene da Calcutta e potrà darci qualche notizia sulla spedizione.

- Attento, Tremal-Naik! - gridò uno dei remiganti.

L’indiano volse lo sguardo verso la piccola rada del bengalow e scorse un mur-punky, montato da cinque o sei sipai e da una mezza dozzina di remiganti.

- Arranca! - comandò egli, montando la carabina.

La baleniera correva sempre con crescente celerità, nondimeno il mur-punky guidato da uomini più abili e forse più leggiero, guadagnava rapidamente strada. A prua era stata rizzata una gabbionata e dietro si erano nascosti i sipai, colle carabine spianate.

- Fermati! - tuonò una voce

- Arranca sempre! comandò Tremal-Naik.

Un sipai alzò la testa. Quel momento bastò: Tremal-Naik puntò rapidamente l’arma e lasciò partire il colpo. Il sipai cacciò un grido, batté l’aria colle mani e piombò in fondo al battello.

- A chi tocca! - gridò Tremal-Naik, raccogliendo un’altra carabina.

Gli fu risposto con una scarica generale. Le palle scrosciarono sui fianchi della baleniera.

Un altro sipai si mostrò e cadde come il primo.

Quella matematica precisione sgomentò i sipai, i quali, dopo essersi brevemente consigliati, virarono di bordo dirigendosi verso la riva opposta.

- Sta’ in guardia, Tremal-Naik,- disse uno dei thugs. - Vi sono dei bengalow inglesi su quella riva.

- Che forniranno a loro degli uomini e delle barche, - aggiunse un secondo.

- Non lasceremo a loro tempo, - disse l’indiano; drizzate la prua al grab.

La nave che scendeva al mare, non era lontana che mezzo miglio.

Era uno di quei vascelli che si costruiscono a Bombay, ove, pare, la navigazione venne fino dai più remoti tempi ridotta a maggior perfezione che negli altri luoghi dell’India, e dove trovansi gli alberi del tek, noti per la loro estrema durezza e dei salici che resistono alle acque per qualche secolo.

La prua di quel grab, di architettura puramente indiana, era assai slanciata ed aguzza, adorna di divinità e di teste d’elefante scolpite con rara maestria. I suoi tre alberi coperti di tela, dagli alberetti al ponte, si curvavano sotto la fresca brezza del settentrione.

In quindici minuti la baleniera lo abbordava sotto l’anca di tribordo.

Il capitano del legno si curvò sul capo di banda, per sapere cosa desideravano.

- Da dove venite? - chiese Tremal-Naik.

- Dalla città bianca - rispose il lupo di mare.

- Da quante ore siete passato dinanzi al forte William?

- Da cinque.

- Avete veduto delle navi da guerra?

- Sì, una fregata: la Cornwall’.

- Caricava?

- No, imbarcava soldati.

- Sono essi che vanno a Raimangal, - dissero i thugs.

- Sapete quale sia la destinazione della Cornwall’?- chiese Tremal-Naik, coi denti stretti.

- L’ignoro, - rispose il capitano.

- Era accesa la macchina?

- Sì.

- Grazie, capitano.

La baleniera si staccò dal grab.

- Avete udito? - chiese Tremal-Naik, con rabbia.

- Sì, - risposerò i thugs, curvandosi sui remi.

- Bisogna giungere prima che la fregata prenda il largo o tutto è perduto. Arrancate! arrancate!

In quell’istante uno dei thugs gettò un grido di trionfo.

- Udite! - esclamò egli.

Ognuno tese l’orecchio trattenendo il respiro. Al sud si udiva un sordo muggito come l’avvicinarsi d’una burrasca.

- La marea! - gridarono i thugs.

La corrente dell’Hugly si era improvvisamente arrestata. Al sud apparve un’onda spumeggiante, che veniva innanzi colla velocità di un cavallo lanciato al galoppo. Arrivò con un cupo muggito sollevando la baleniera e passò oltre salendo rapidamente verso Calcutta, trascinando ammassi di detriti, di erbe e non pochi tronchi d’albero.

- Alla riva destra!- comandò il capo dei remiganti. - Tra un’ora saremo al forte.

La baleniera raggiunse la riva destra, ove la marea si fa sentire più rapida che sulla riva sinistra, e riprese la navigazione potentemente aiutata dai remi vigorosamente ed abilmente manovrati.

Sorgeva allora l’alba. Ad oriente una luce dapprima biancastra, poi gialla, indi rossastra, s’alzava invadendo rapidamente il cielo. Gli astri, poco prima scintillanti, a poco a poco impallidivano, scomparivano e le urla delle fiere diventavano più rade e più fioche.

Le rive della superba fiumana, man mano che la baleniera avvicinavasi a Calcutta, perdevano il loro aspetto selvaggio. Le grandi foreste popolate da numerose bande di tigri, di bufali selvaggi, di sciacalli e di serpenti e le immense piantagioni di bambù, a poco a poco scomparivano per lasciare il posto a fertilissime campagne coltivate con grande cura, a piantagioni di indaco, di cotone e cinnamomo, a bellissimi e svariati alberi carichi di frutta d’ogni specie, ad eleganti ville ed a grossi villaggi.

Drappelli di ungko, scimmie col petto sporgente, la pelliccia nera, bruna o grigia e il volto quasi umano, apparivano fra le macchie di alberi, dondolandosi fra i rami, facendo salti prodigiosi di dieci e persino quindici metri; poi vedevansi bande di axis, eleganti animali somiglianti ai cervi, col pelo fulvo e picchiettato di bianco; indi tranquilli bufali, che venivano a dissetarsi, e nell’aria od appollaiati sui tetti delle capanne o posati sui rami arcuati dei paletuvieri, uccelli d’ogni sorta e d’ogni grandezza, nibbi, gypaeti, bozzagri, ibis brune, marangoni, folaghe dalle penne porporine ed azzurre, anitre braminiche e giganteschi arghilah, alcuni dei quali affacendati a far scomparire tutto intero qualche corvo impertinente, che aveva osato disputare a loro qualche preda.

- Siamo vicini a Calcutta, - disse un remigante, dopo aver osservato attentamente le due rive.

Tremal-Naik, che da qualche ora era in preda ad una febbrile impazienza, nell’udire quelle parole si alzò di scatto, spingendo lo sguardo verso il nord.

- Dov’è? - chiese egli. - La vedi tu?

- Non ancora, ma fra breve la vedremo.

- Arranca!... arranca!...

La baleniera accelerò la corsa. I thugs, non meno impazienti del loro capo, arrancavano allora con vero furore, piegando le pagaie sotto la potente trazione. Nessuno parlava per non perdere una sola battuta.

Alle otto, un colpo di cannone si udì verso l’alto corso del fiume.

- Cos’è questo? - chiese Tremal-Naik, con ansietà.

- Siamo vicini a Kiddepur.

- Qualche legno da guerra parte e saluta.

- Presto! presto!... Potessimo arrivare a tempo!...

Il fiume cominciava ad animarsi straordinariamente. Barchi brick, brigantini, golette, piroscafi salivano e scendevano la corrente in gran numero. Delle grandi grab, dei grandi pariah della costa del Coromandel le cui barocche costruzioni non permettono di compiere che un sol viaggio all’anno, cioè all’epoca del monsone favorevole; dei leggieri poular di Dacca, rapidissimi forniti di alberi e di una grande vela quadrata; dalle bangle coperte di tetti di stoppia e con alberi di bambù larghissimi e dei magnifici fylt’ sciarra larghi cinquanta e più piedi, riccamente dorati, e condotti da più di trenta rematori, s’incrociavano in mille guise o stavano ancorati lungo le rive dinanzi ai bengalow od ai villaggi.

Tremal-Naik doveva mettere in opera tutta la sua abilità, per non cozzare contro quella folla di bastimenti e di barche che cresceva enormemente, tanto da occupare, talvolta, il fiume intero.

I thugs arrancavano sempre, con crescente furia, tendendo i muscoli in modo tale, da far quasi scoppiare la pelle.

Alle nove la baleniera passava dinanzi a Kiddepur, grosso villaggio che sorge sulla riva sinistra del fiume, e pochi minuti più tardi giungeva in vista di Calcutta, la regina del Bengala, la capitale di tutti i possedimenti inglesi delle Indie, colla sua linea imponente di palazzi, colle sue pagode, colle sue cupole, coi suoi bizzarri campanili, colle sue capanne, coi suoi squares e col forte William, la più grande e robusta fortezza che abbia la penisola, e che ha bisogno d’almeno diecimila uomini per essere difesa.

Tremal-Naik era balzato in piedi come spinto da una molla e guardava con occhio stupefatto quell’agglomeramento straordinario di fabbricati, di giardini e di vascelli.

- La nave? - chiese, con accento selvaggio.- Dov’è la nave?

- Là!... Là.!... guarda!... - esclamò un thug.

Tremal-Naik guardò nella direzione indicata e vide a poca distanza dalle cateratte che mettono l’acqua nei fossati del forte William, una fregata di forme svelte, ma assai impoppata, attrezzata a barco, ed armata di numerosi cannoni, vomitare nubi di fumo dal camino che sembrava troppo stretto.

Sul ponte andavano e venivano soldati di fanteria e marinai, affacendati a stivare botti ed a ritirare le gomene sciolte dai gavitelli. Si capiva anche a prima vista, che la nave preparavasi a partire. Tremal-Naik provò una stretta al cuore.

- Presto, ragazzi!... presto!... - esclamò egli con accento disperato.

I thugs raddoppiarono i loro sforzi. La baleniera, spinta innanzi dalle sei pagaie manovrate con forza sovrumana, non correva più, volava. I bordi gemevano sotto i colpi vigorosi e l’acqua rimbalzava fino sulla poppa.

- Presto!... presto!... - gridava Tremal-Naik, completamente fuori di sé.

Ad un tratto emise un urlo straziante.

- Ada!... Ada!... Perduto!... tutto è perduto!...

La fregata aveva abbandonato il molo e scendeva maestosamente il fiume, vomitando nubi di fumo e mandando lunghi fischi.

I thugs, sfiniti, impotenti di più oltre lottare, si erano arrestati guardando con occhio feroce la nave, che passava a duecento passi dalla imbarcazione.

- Tutto è perduto! - urlò un di loro, tendendo il pugno.

- No, no!... - esclamò Tremal-Naik.

Si curvò, raccolse la carabina, l’armò e diresse la canna sulla fregata. Sul ponte di comando aveva veduto un uomo e l’aveva subito riconosciuto: era il capitano Macpherson.

Già aveva imbracciato l’arme, già stava per far partire il colpo, quando un thug lo atterrò.

- Tu vuoi farci assassinare, - disse lo strangolatore, disarmandolo.

Tremal-Naik si rialzò cogli occhi accesi, le pugna alzate, il viso stravolto.

- Ma non sai tu, miserabile, che se i thugs perdono Raimangal io perdo la mia Ada? - urlò egli.

- Calmati, Tremal-Naik. Vi sono altre navi che si recano nelle Sunderbunds.

- Quali?

- Guarda quella cannoniera. Imbarca cannoni e botti di polvere. Non vedi sul picco la bandiera inglese?

Tremal-Naik vide infatti una grande cannoniera, ancorata dinanzi alla spianata dello Strand, che preparavasi a partire. Un pennacchio di fumo usciva dal camino.

- Se fosse vero!... - mormorò egli con voce tremante. - Al molo! al molo

La baleniera con quattro arrancate approdò dinanzi a Kuti-Bazar.

Proprio nel medesimo istante, un canotto montato da un quartier-mastro della Reale Marina prendeva il largo.

- Ohe! Hider! - gridò un thug.

Il quartier-mastro, indiano pur egli, si volse.

- Olà, amici, dove andate? - chiese egli tornando a riva.

- Chi è quel marinaio? - chiese Tremal-Naik.

- Un affiliato, gli fu risposto.

Hider in quel frattempo era sbarcato. Era un bell’uomo di alta statura, sui quarant’anni, con una barba nerissima e folta, occhi lucentissimi e membra muscolose. Tra le labbra teneva una corta pipa e fumava vigorosamente.

- Amici miei, - disse, avvicinandosi, - qui succedono delle cose assai gravi.

- Lo sappiamo, - disse Tremal-Naik.

- Chi sei tu? - chiese il quartier-mastro, con diffidenza.

Tremal-Naik gli mostrò l’anello che portava in dito. Il marinaio cadde in ginocchio.

- Ordina, inviato di Kâlì, - disse con voce tremante.

- Conosci il capitano Macpherson?

- Forse più di te.

- Sai dove conduce la fregata?

- Nessuno sa ove vada la Cornwall’, ma io ho un sospetto.

- La conduce a Raimangal.

- Il quartier-mastro scagliò la pipa a fracassarsi sui sassi.

- A Raimangal!... - esclamò egli. - A Raimangal hai detto?

- Sì, egli va ad assalire Suyodhana.

- Lo sospettavo. Ho fatto imbarcare due affiliati sulla Cornwall’.

- Che ordini hanno?

- Di vegliare e di informarci di quanto succede, appena potranno disertare.

- Allora siamo perduti.

Il quartier-mastro non rispose. Non trovava parole.

- Cosa fa quella cannoniera che si sta armando? chiese Tremal-Naik.

- Ci rechiamo a Colombo.

- Bisogna che cada in nostra mano.

- Cosa vuoi fare della Devonshire?

- Per raggiungere la Cornwall’ prima che getti l’ancora a Raimangal.

- E colarla a fondo?

- Questo è affar mio, - disse Tremal-Naik.

- Comanda.

- Quanti affiliati ci sono a bordo della Devonshire?

- Siamo in sei.

- L’equipaggio ammonta a...?

- Trentadue uomini.

- Bisogna imbarcare almeno dieci affiliati.

- È impossibile! - esclamò Hider.

- Con sei affiliati non si conquista la cannoniera.

- Lo so.

- Cosa imbarcano ora?

- Cannoni.

- E poi?

- Delle provviste.

- Imbarcheranno delle botti di biscotto e di acqua, suppongo.

- È vero.

- Sta bene. Invece di botti di biscotto imbarcheranno delle botti contenenti dei thugs. Puoi fare questa sostituzione tu?

- Dirigo io l’armamento della Devonshire.

- Una parola ancora. Quando si parte?

- A mezzanotte, mi disse il capitano.

- Credi tu che si raggiungerà la Cornwall’?

- Forzando molto la macchina si potrebbe raggiungerla.

- Mi basta. A questa sera, Hider.