I misteri della jungla nera/Parte II - Capitolo V - La fuga del thug

Parte II - Capitolo V - La fuga del thug

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Parte II - Capitolo V - La fuga del thug
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Capitolo V
La fuga del thug


Gli astri incominciavano ad impallidire, quando Tremal-Naik, quasi fuori di sé, ancora scombussolato dal colloquio avuto collo strangolatore, giungeva al bengalow del capitano Macpherson.

Un uomo era appoggiato alla soglia della porta e sbadigliava, respirando fragorosamente la fresca aria del mattino. Quest’uomo era il sergente Bhârata.

- Olà, Saranguy! - gli gridò. - Da dove vieni?

Quella chiamata strappò bruscamente Tremal-Naik dai suoi pensieri. Si volse indietro, credendo di essere stato seguito dalla tigre, ma l’intelligente animale si era arrestato sull’orlo della jungla. Bastò un rapido cenno del padrone perché scomparisse fra i bambù.

- Da dove vieni, mio bravo cacciatore? - ripigliò Bhârata, muovendogli incontro.

- Dalla jungla, - rispose Tremal-Naik, ricomponendo gli alterati lineamenti.

- Di notte! E solo!

- E perché no?

- Ma le tigri?

- Non mi fanno paura.

- Ed i serpenti, ed i rinoceronti?

- Li disprezzo.

- Sai, giovinotto, che hai del coraggio?

- Lo credo.

- Hai incontrato qualcuno?

- Delle tigri, ma non hanno ardito avvicinarsi.

- E uomini?

Tremal-Naik trasalì.

- Uomini! - esclamò egli, affettando sorpresa. - Dove vuoi che abbia trovato degli uomini, di notte, in mezzo alla jungla?

- Ve ne sono, Saranguy, e più d’uno.

- Non ti credo.

- Hai udito parlare dei thugs?

- Gli uomini che strangolano?

- Sì, di quelli che adoperano il laccio di seta.

- E tu dici che sono qui? - chiese Tremal-Naik, affettando terrore.

- Sì, e se cadi nelle loro mani ti strangoleranno.

- Ma perché sono qui?

- Sai chi è il capitano Macpherson?

- Non lo so ancora.

- È il nemico più spietato che abbiano i thugs.

- Comprendo.

- Noi facciamo a loro la guerra

- La farò anch’io. Odio quei miserabili.

- Un uomo coraggioso come te, non è da rifiutarsi. Verrai con noi quando batteremo la jungla, anzi ti metterò a guardia di uno strangolatore che è caduto in nostra mano.

- Ah! - esclamò Tremal-Naik, che non riuscì a frenare il lampo di gioia che balenò negli occhi. - Avete un thug prigioniero?

- Sì, ed è uno dei capi.

- Come si chiama?

- Negapatnan.

- E io veglierò su di lui?

- Sì, veglierai su di lui. Tu sei forte e coraggioso e a te non scapperà.

- Sono persuaso. Basterà un pugno per ridurlo all’impotenza, - disse Tremal-Naik.

- Vieni sulla terrazza. Tra poco vedrai Negapatnan e forse avremo bisogno del tuo coraggio.

- Per che farne? - chiese Tremal-Naik con inquietudine.

- Il capitano ricorrerà a qualche mezzo violento per farlo parlare.

- Capisco. Diventerò carceriere ed all’occorrenza torturatore.

- Sei molto perspicace. Vieni, mio bravo Saranguy.

Entrarono nel bengalow e salirono sulla terrazza. Il capitano Macpherson vi era di già, fumando una sigaretta, sdraiato indolentemente in una piccola amaca di fibre di cocco.

- Mi rechi qualche novità, Bhârata? - chiese egli.

- No, capitano. Vi conduco invece un nemico acerrimo dei thugs.

- Sei tu, Saranguy, questo nemico?

- Sì, capitano, - rispose Tremal-Naik, con accento d’odio naturalissimo.

- Sii allora il benvenuto. Sarai anche tu dei nostri.

- Lo spero.

- Ti avverto che si arrischia la pelle.

- Se la giuoco contro le tigri, posso giuocarla contro gli uomini.

- Sei un brav’uomo, Saranguy.

- Me ne vanto, capitano.

- Come ha passato la notte Negapatnan? - chiese Macpherson, rivolgendosi al sergente.

- Ha dormito come uno che ha la coscienza tranquilla. Quel diavolo d’uomo è di ferro.

- Ma si piegherà. Va’ a prenderlo; comincieremo subito l’interrogatorio.

Il sergente fece un mezzo giro sui talloni e poco dopo ritornava conducendo Negapatnan, solidamente legato.

Il thug era tranquillissimo, anzi un sorriso sfiorava le sue labbra.

Il suo sguardo si posò subito, con curiosità, su Tremal-Naik, il quale si era messo dietro al capitano.

- Ebbene, mio caro, - disse Macpherson con accento sarcastico, - come hai passata la notte?

- Credo di averla passata meglio di te, - rispose lo strangolatore.

- E cos’hai deciso?

- Che non parlerò.

La mano del capitano corse all’impugnatura della sciabola.

- Che sieno tutti eguali, questi rettili? - gridò egli.

- Pare che sia così, - disse lo strangolatore.

- Non dirlo così presto, però. Ti dissi che posseggo dei mezzi terribili.

- Non abbastanza terribili pei thugs.

- Dei mezzi che martirizzano al punto da invocare la morte.

- Mezzi che non valgono i nostri.

- Lo vedremo quando ti contorcerai fra gli spasimi più tremendi.

- Puoi cominciare subito.

Il capitano impallidì, poi un’ondata di sangue gli salì al volto.

- Non vuoi proprio parlare, adunque? - gli chiese con voce strozzata dall’ira.

- No, non parlerò.

- È la tua ultima risposta? Bada...

- L’ultima.

- Sta bene, ora agiremo. Bhârata?

Il sergente s’avvicinò.

- C’è un palo nel sotterraneo?

- Sì, capitano.

- Legherai solidamente quell’uomo.

- Bene, capitano.

- Quando il sonno lo vincerà, lo terrai desto a colpi di spillo. Se fra tre giorni non parlerà, farai macerare le sue carni a colpi di frusta. Se si ostina ancora, verserai dell’olio bollente, goccia a goccia, sulle sue ferite.

- Fidatevi di me, capitano. Aiutami, Saranguy.

Il sergente e Tremal-Naik trascinarono via lo strangolatore, il quale aveva ascoltato la sentenza senza che un muscolo del suo volto trasalisse.

Discesero una scala a chiocciola molto profonda ed entrarono in una specie di cantina molto vasta, sostenuta da volte, ed illuminata da una feritoia aperta a fior di terra, difesa da solide sbarre di ferro.

Nel mezzo ergevasi un palo, a cui fu legato lo strangolatore. Bhârata vi pose accanto tre o quattro spilli lunghi e colla punta acutissima.

- Chi veglierà? - chiese Tremal-Naik.

- Tu, fino a questa sera. Poi un sipai ti darà il cambio.

- Va bene.

- Se il nostro uomo chiude gli occhi, pungi forte.

- Ti obbedirò, - rispose Tremal-Naik con calma glaciale.

Il sergente risalì la scala. Tremal-Naik lo seguì con lo sguardo fino che poté, poi, quando ogni rumore cessò, si sedette di fronte allo strangolatore che lo fissava tranquillamente.

- Ascoltami, - disse Tremal-Naik abbassando la voce.

- Hai anche tu qualche cosa da dire? - chiese Negapatnan, beffardamente.

- Conosci Kougli?

Lo strangolatore udendo quel nome trasalì.

- Kougli!- esclamò. - Non so chi sia.

- Sei prudente, sta bene. Conosci Suyodhana?

- Chi sei tu? - chiese Negapatnan, con manifesto terrore.

- Uno strangolatore come lo sei tu, come lo è Kougli, come lo è Suyodhana.

- Tu menti.

- Ti do una prova che dico il vero. La nostra sede non è nella jungla, né a Calcutta, né sulle rive del sacro fiume, ma nei sotterranei di Raimangal.

Il prigioniero rattenne a gran pena un grido, che stavagli per uscire dalle labbra.

- Che sia vero che tu sei dei nostri? - chiese egli.

- Non ti ho dato le prove?

- È vero. Ma perché sei venuto qui?

- Per salvarti.

- Per salvare me?

- Sì.

- Ma come? Con qual mezzo?

- Lascia fare a me e prima di mezzanotte sarai libero.

- E fuggiremo assieme.

- No, io rimango qui. Ho un’altra missione da compiere.

- Una qualche vendetta?

- Forse, - disse Tremal-Naik con aria tetra. - Ora silenzio e aspettiamo le tenebre.

Lasciò il prigioniero ed andò a sedersi ai piedi della scala, aspettando pazientemente la notte.

La giornata lentamente passò. Il sole scomparve dietro l’orizzonte e l’oscurità divenne profonda nella cantina.

Era il momento opportuno per agire. Fra un’ora e forse meno, il sipai doveva scendere.

- All’opera, - disse Tremal-Naik, alzandosi bruscamente e traendo dalla cintola due lime inglesi.

- C’è da fare? - chiese Negapatnan, con emozione.

- Devi aiutarmi, - rispose Tremal-Naik. Taglieremo le sbarre della feritoia.

- Non s’accorgeranno che tu mi hai aiutato a fuggire?

- Non s’accorgeranno di nulla.

Sciolse i legami che stringevano il corpo, le braccia ed entrambi i piedi del prigioniero, e assalirono vigorosamente i ferri, cercando di non fare rumore.

Tre sbarre erano state di già divelte e non ne rimaneva che una, quando Tremal-Naik avvertì uno scalpiccìo che veniva dalla scala.

- Fermati! - diss’egli rapidamente. Qualcuno scende.

- Il sipai forse?

- Certo è lui.

- Allora siamo perduti.

- Non ancora. Sai gettare il laccio?

- Giammai fallii il colpo.

Tremal-Naik sciolse il laccio che portava stretto attorno al corpo, nascosto dal dubgah e glielo diede.

- Mettiti presso alla porta - gli disse, estraendo il pugnale. - Il primo che appare, uccidilo.

Negapatnan ubbidì prendendo il laccio nella mano dritta. Tremal-Naik si mise di fronte a lui, dietro allo stipite della porta, col pugnale alzato.

Il rumore andava avvicinandosi. D’un tratto un lume rischiarò la scala e apparve un sipai, con una scimitarra sguainata.

- Attento, Negapatnan, - bisbigliò Tremal-Naik.

La faccia del thug divenne terribile. Gli occhi mandavano sinistri bagliori. Le labbra lasciavano a nudo i denti, le nari si dilatavano.

Pareva una bestia assetata di sangue. Il sipai si arrestò sull’ultimo pianerottolo.

- Saranguy! - chiamò.

- Scendi, - disse Tremal-Naik. - Non ci si vede più.

- Va bene, - rispose, e varcò la soglia della cantina.

Negapatnan era lì. Il laccio fischiò nell’aria e si strinse così fortemente attorno al collo, che il sipai cadde al suolo senza emettere un lamento.

- Devo strozzarlo? - chiese il thug, ponendo un piede sul petto del caduto.

- È necessario, disse Tremal-Naik, freddamente.

Negapatnan tirò a sé il laccio. La lingua del sipai uscì un palmo dalle labbra, gli occhi schizzarono dalle orbite e la pelle da bronzina divenne nera. Agitò per qualche istante le braccia, poi si irrigidì. Era morto.

- Che la dea Kâlì abbia il suo sangue, - disse il fanatico, sciogliendo il laccio. - Spicciamoci, prima che scenda qualche altro.

La feritoia fu nuovamente assalita e la quarta sbarra fu spezzata.

- Passerai? - chiese Tremal-Naik.

- Passerei per una feritoia molto più stretta.

- Sta bene. Ora legami solidamente e imbavagliami.

- Il thug lo guardò con sorpresa.

- Io legarti? E perché? - chiese.

- Perché non si sospetti che io sono uno dei tuoi.

- Ti capisco. Sei più astuto di me.

Tremal-Naik si gettò in terra presso al cadavere del sipai, e Negapatnan lo legò e lo imbavagliò.

- Sei un brav’uomo, - disse il thug. - Se un giorno avrai bisogno di un amico fedele, ricordati di me. Addio.

Si slanciò verso la feritoia, dopo di essersi armato delle pistole del sipai, vi si issò e scomparve.

Non erano trascorsi ancora dieci secondi, che s’udì un colpo di fucile ed una voce gridare:

- All’armi! Un uomo fugge!