I minatori dell'Alaska/XXV - I lupi idrofobi

XXV — I lupi idrofobi

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XXV — I LUPI IDROFOBI


Il signor Falcone e Armando, vedendo il vecchio cacciatore retrocedere, mentre erano abituati a non vederlo mai esitare dinanzi a un pericolo, lo avevano seguito, appoggiandosi al tronco della pianta. I cinque lupi, vedendo i tre uomini lasciare il campo libero, si erano arrestati, indecisi sul da farsi. Quei feroci scorridori delle praterie e dei deserti di neve erano di statura straordinaria, alti quasi come i cani di Terranova, però, spaventosamente magri. Il loro aspetto era poco rassicurante. Avevano il pelo irto, gli occhi sbarrati che rilucevano stranamente e le mascelle, armate di lunghi e acuti denti, imbrattate di bava e aperte come se già si preparassero a mordere.

— Non lasciatevi toccare, o siamo perduti — aveva detto Bennie, quando vide i suoi compagni stringersi addosso all'albero, un abete altissimo, dal tronco liscio e non molto grosso. — Quei lupi sono idrofobi!...

— Idrofobi!... — avevano esclamato il signor Falcone e Armando, mentre si sentivano correre per le ossa un brivido di terrore.

— Tenetevi in guardia e se si avvicinano picchiate senza misericordia.

— Facciamo una scarica, Bennie, — disse Armando.

— Non ancora, Armando. Se sbagliamo, qualcuno ci piomberà addosso, prima di aver avuto il tempo di prepararci a respingerlo. Il calcio del fucile è forse più sicuro contro quei maledetti animali.

Mentre si scambiavano quelle parole, i cinque lupi grigi, quantunque invasi da una brama irresistibile di stritolare le ossa dei cacciatori sotto i loro denti d'acciaio, si erano messi a girare e rigirare attorno all'albero, mandando degli ululati sordi e non distogliendo lo sguardo dalle prede. Tenevano la coda bassa, spazzando la neve che si trovava ancora accumulata sotto l'ombra delle piante, e avanzavano l'uno dietro l'altro, descrivendo un circolo quasi perfetto. I tre cacciatori, col fucile alzato, stretto per la canna, si tenevano pronti a respingerli a mazzate. I feroci animali, dopo alcuni minuti, cominciarono ad allargare il cerchio, guardando sempre la preda umana finché si decisero ad andarsene, precipitandosi in mezzo ad una macchia molto fitta.

— Hanno avuto paura? — chiese Armando, che cominciava a respirare liberamente.

— Non abbandoniamo quest'albero, — rispose Bennie. — Possono essersi nascosti per piombarci nuovamente addosso. Senza questa pianta saremmo stati subito circondati, e qualcuno avrebbe certamente ricevuto qualche morso.

— E voi dite che sono idrofobi?... — chiese il signor Falcone.

— Sono certo di non essermi ingannato.

— Non avevo mai saputo che anche i lupi diventassero idrofobi.

— Eppure, signore, tutti gli abitanti di queste regioni non lo ignorano. Vi dirò anzi che si ricordano le epoche in cui i lupi furono presi dall'idrofobia: nel 1865, nel 1872, nel 1879 e nel 1886.

— Sicché si direbbe che la rabbia, per i lupi, debba ripetersi ogni sette anni.

— La vostra osservazione è giusta, signor Falcone.

— E da che cosa deriva?

— Ecco quello che ancora si ignora.

— E l'uomo morsicato dai lupi idrofobi, muore?

— Sempre, signore.

— E da che cosa vi siete accorto che quei cinque animali erano arrabbiati?

— Dal loro aspetto, innanzi tutto, e poi dal loro coraggio. Come sapete, i lupi non sono coraggiosi se non sono in grande numero: quando però sono invasi dalla rabbia, perdono la loro codardia, si scagliano contro chiunque, anche contro una carovana intera. Cercano soprattutto i cani, e per andarli a dilaniare si avvicinano agli accampamenti, non badando alla presenza degli uomini.

— Che se ne siano andati? — chiese Armando. — Non sento più nulla.

— Non lo credo — disse Bennie. — Vedrete che ci seguiranno e forse per dei giorni interi, aspettando il momento opportuno per sorprenderci.

— Cercheremo di sbarazzarci di loro a colpi di fucile.

— È quello che faremo, giovanotto. Andiamo, signor Falcone; mi pare che, per ora, il pericolo sia cessato.

Lasciarono l'albero protettore e si misero in cammino tenendo i fucili pronti e guardandosi da ogni lato per non venire sorpresi. Stavano per uscire dal bosco, quando videro riapparire i cinque lupi alla distanza di cinquanta o sessanta metri. Quei ributtanti animali li avevano seguiti passo passo, tenendosi nascosti dietro ai cespugli e ai tronchi degli alberi, e vedendoli in procinto di lasciare la foresta, si erano nuovamente mostrati. Bennie e i suoi compagni credevano si preparassero ad assalirli: invece i lupi si accontentarono di aprire le loro mascelle, mandando dei lugubri ululati che risuonarono sinistramente nella foresta.

— Ah!... — esclamò il canadese, con collera. — Non volete finirla? Ebbene, prendete!...

Puntò il fucile, mirando il più grosso, mentre Armando lo imitava, scegliendo il più magro. I due spari formarono una detonazione sola. I due lupi caddero insieme, l'uno a destra e l'altro a sinistra, mentre gli altri tre si davano alla fuga, ululando a tutta forza.

— Il diavolo vi porti! — urlò Bennie. — Se ritornate, avrete anche voi il vostro conto.

Certi di non venire più disturbati, affrettarono il passo, e in meno di mezz'ora giunsero all'accampamento, dove Back li attendeva con non poca ansietà. Nessuno si era mostrato in quei paraggi, però anche il messicano aveva dovuto respingere un assalto di lupi, e per poco un cavallo non era stato divorato.

— Sgombreremo il campo — disse Bennie. — Se questo vallone pullula di lupi, non è prudente fermarci.

Durante la giornata, i minatori si occuparono ad affumicare la carne del cigno e un buon numero di pesci che avevano avuto la fortuna di pescare in uno stagno vicino. Volendo partire all'indomani e non essendo quelle carni ancora così asciutte da potere essere conservate per qualche tempo, accesero intorno al campo parecchi fuochi per continuare l'affumicazione anche durante la notte. Temendo però che i lupi facessero qualche irruzione per impadronirsi di quelle provviste, che erano state appese ad alcune corde, decisero di vegliare due per volta. Back e Armando furono incaricati del primo quarto, Bennie e il signor Falcone del secondo. Terminata la cena e vuotata una tazza di the, il giovanotto e il messicano legarono i cavalli a una pertica piantata presso una tenda, dentro la doppia linea dei fuochi, poi si sdraiarono su un soffice strato di muschio, tenendo i fucili a portata di mano. Vegliavano da un paio d'ore, alzandosi di quando in quando per alimentare i falò, e per voltare i pezzi di cigno e i pesci, quando verso i macchioni, che si stendevano lungo i margini del vallone, udirono un ululato prolungato, triste, pauroso.

— È qualche affamato che chiama i compagni — disse Back ad Armando. — Fra poco udremo un concerto da far venire i brividi.

Sentendo quell'ululato, i cavalli si eran messi a tremare, stringendosi gli uni addosso agli altri, e mandando qualche nitrito soffocato. Dopo quel primo urlo successe un breve silenzio, quindi un secondo ululato echeggiò dalla parte opposta del vallone, verso la foresta che Bennie e i suoi due compagni avevano attraversata al mattino.

— Si chiamano — disse Armando. — Credete che ci assalgano, Back?

— Non è improbabile, specialmente se sono idrofobi.

— Però mi hanno detto che hanno paura del fuoco.

— Questo è vero.

— Allora possiamo rimanere tranquillamente sdraiati, amico.

— Eh!... Caramba!.... Udite? In lontananza, verso la sommità meridionale del vallone, si sentivano in quel momento degli ululati che andavano avvicinandosi rapidamente. Pareva che una immensa banda di quei feroci animali scendesse a precipizio attraverso i boschi per rovesciarsi in fondo a quei declivi, e scagliarsi verso l'accampamento.

— Diavolo!... — mormorò Armando, alzandosi. — Si direbbero almeno un centinaio.

— E forse più — rispose Back.

— Che cosa dobbiamo fare?

— Riattizzare i fuochi, per ora; se il pericolo aumenterà, svegliare i nostri compagni.

Avendo fatta una grossa provvista di legna secca, gettarono sulle fiamme parecchi fastelli, poi con gli altri formarono attorno alla tenda una specie di barricata. Temendo però che le loro provviste corressero il pericolo di venire divorate dagli assalitori, credettero opportuno staccarle dalle corde e accumularle dietro la cinta improvvisata. Intanto gli ululati aumentavano. Il vento, che soffiava dal sud, portava distintamente i rumori ora acutissimi e ora deboli, agli orecchi del messicano e di Armando. Forse i feroci animali non seguivano una direzione costante, descrivendo delle lunghe curve sui fianchi del vallone. Ad un tratto quegli ululati diventarono assordanti. La colonna dei predoni era scesa, e si lanciava, a tutta corsa, verso l'accampamento. Ai pallidi raggi della luna, che sfuggivano attraverso uno strappo dei vapori. Armando e Back scorsero una massa di punti neri correre a velocità vertiginosa attraverso il fondo del vallone.

— Eccoli!... — esclamò il messicano, con un leggero tremito nella voce. — Sono numerosi e si credono certi di sopraffarci.

In quel momento Bennie alzò un lembo della tenda e comparve col fucile in mano; dietro di lui apparve il signor Falcone.

— I lupi? — chiese il canadese.

— Sì, e molti — rispose Armando.

— Da dove vengono?

— Da sud.

— Dagli altipiani del Sant'Elia?

— Credo.

— Verranno a farci passare una brutta notte. Sono al sicuro i cavalli?

— Sono tutti legati — rispose Back.

— Bisogna ritirare i nostri pesci.

— Tutte le provviste sono in salvo.

— Benissimo: faremo cantare i fucili, e alle urla di quegli affamati, risponderemo con del piombo. Chi ha cartucce a mitraglia non faccia economia.

I primi lupi erano già arrivati. Trasportati dal proprio slancio, parecchi di loro andarono a ruzzolare in mezzo ai tizzoni accesi bruciacchiandosi le zampe e i musi, mentre gli altri si arrestavano a pochi passi, mostrando le loro mascelle robuste, armate di aguzzi denti e mandando, dagli occhi, bagliori fosforescenti. Scorgendo i quattro cacciatori coi fucili puntati, s'affrettarono a retrocedere ululando spaventosamente e ripiegando sul grosso dell'orda. Quei sanguinari predoni delle praterie, erano almeno otto dozzine. Si trattava in maggioranza di lupi grigi, però fra loro ce n'erano anche di color nero, animali non meno pericolosi dei primi, essendo robusti e feroci. Il fuoco li aveva arrestati ma non vinti. Comprendendo che non sarebbero riusciti a varcare quella linea fiammeggiante, avevano formato attorno all'accampamento un vasto circolo e s'erano seduti sulle zampe posteriori, aspettando che quei falò si spegnessero per rovesciarsi, con impeto irresistibile, addosso agli uomini e ai cavalli.

L'aspetto di quei novanta o cento carnivori, alla luce delle fiamme crepitanti, in attesa del momento propizio per cominciare la strage, era tale da far rabbrividire anche l'uomo più coraggioso delle due Americhe. Era un cerchio di denti e di mandibole, pronte a mettersi in opera, e di occhi che non si staccavano un solo momento dagli uomini, spiando le minime mosse. Bennie, nonostante il suo provato coraggio, pareva molto preoccupato ed esitava a cominciare il fuoco, temendo che gli animali, spinti dalla rabbia, varcassero i fuochi e irrompessero nell'accampamento.

— Corna di bisonte!... — esclamava. — La faccenda diventa seria, più grave di quel che credevo.

— Dobbiamo cominciare? — chiese ad un tratto Armando, impaziente di aprire il fuoco.

— No, per centomila corna d'antilope! — rispose il canadese. — Cerchiamo di non irritarli.

— Se la legna non viene meno, forse si decideranno ad andarsene — disse il signor Falcone. — Di solito all'alba si ritirano.

— Sì, quando non sono troppo affamati — disse Bennie.

— Temono il fuoco, vero?

— Verissimo, signor Falcone.

— Proviamo a spaventarli.

— E come?

— Gettando in mezzo a loro dei tizzoni.

— Il consiglio non mi sembra cattivo, signor Falcone. Temo però che li faremo solamente retrocedere.

— Proviamo?

— Sia — rispose il canadese. Deposero i fucili, tenendoli però a portata di mano, e afferrati dei tizzoni accesi, cominciarono a scagliarli in tutte le direzioni. I lupi, vedendosi cadere addosso quella pioggia di fuoco, rincularono precipitosamente, ululando ferocemente e ringhiando, però il cerchio non fu rotto. Si allargò però tanto da mettersi fuori portata dai tizzoni, ma nulla più.

— Sono più furbi di quello che supponevo, — disse il signor Falcone. — Non ci rimane che prenderli a fucilate.

— E noi apriremo il fuoco — disse Bennie. — Spareremo due alla volta, per non consumare troppe cartucce. Siete pronto, Armando?

— Ho già scelto il mio lupo, — rispose il giovanotto.

Mentre i carnivori ricominciavano a avanzare per restringere il cerchio, i due cacciatori fecero fuoco con cartucce e mitraglia. Cinque o sei animali, colpiti dal piombo si rovesciarono a terra, dibattendosi disperatamente e mandando ululati di rabbia e di dolore. Erano appena caduti, che tutti gli altri si precipitarono addosso a loro, azzannandoli ferocemente e dilaniandoli, ancora vivi. In un momento si vide un vero cumulo di dorsi, di teste e di code che ondeggiavano burrascosamente. I feroci predoni delle praterie si disputavano accanitamente i brani dei loro compagni, ringhiando e ululando e smentendo l'antico proverbio che il lupo non mangia lupo. Bennie e Armando avevano ricaricate prontamente le armi ed il primo aveva gridato:

— Fuoco là in mezzo!...

Quattro spari rimbombarono e la mitraglia cominciò a far strage fra quell'ammasso di corpi, forando e fracassando. Ululati spaventosi accolsero quella scarica. Altri lupi erano caduti e i loro compagni si erano precipitati su quelle nuove vittime, divorandole ferocemente. I quattro minatori, vedendo che il gruppo non si scioglieva, continuarono il fuoco raddoppiando la strage e alternando palle e cartucce a mitraglia, le quali producevano dei grandi vuoti. Quattro volte le loro armi tuonarono, ma alla quinta scarica i lupi, comprendendo finalmente che correvano il pericolo di farsi distruggere, si sciolsero e alcuni dei più audaci, balzando sopra un falò che cominciava a spegnersi, irruppero furiosamente nell'accampamento.

— Badate!...— gridò Bennie. — Armando, signor Falcone, continuate il fuoco, voi!... A me Back!...

Quattro lupi si erano precipitati verso la tenda per gettarsi sui cavalli. Il messicano, che si trovava vicino ai quadrupedi, affrontò coraggiosamente gli aggressori impugnando il fucile per la canna.

Con due mazzate ben assestate mandò i due primi a gambe all'aria, col cranio fracassato; ma il terzo gli era intanto balzato addosso cercando di azzannarlo alla gola, mentre il quarto si scagliava contro i cavalli. Il messicano non si perdette d'animo. Lasciò andare il fucile, afferrò l'aggressore per il collo e, stringendolo con tutte le sue forze, lo lanciò in mezzo ad una vicina catasta, ad arrostirsi il muso tra i tizzoni ardenti. Intanto i cavalli avevano cominciato a sparare calci in tutte le direzioni con una rapidità vertiginosa, e anche il quarto lupo, colpito nel cranio, cadde al suolo pesto e sanguinante. Altri tre lupi, però, e di quelli grossi, avevano varcata la linea fiammeggiante, lanciandosi addosso al canadese. Questi non fece altro che levarsi dalla cintura la rivoltella, aprendo contro di loro un fuoco di fila. Due, colpiti dai proiettili, caddero e il terzo ricevette da Back un tizzone acceso sul muso, che lo costrinse a fuggire a gambe levate. Gli altri già decimati dalle precedenti scariche e colpiti in pieno dalle incessanti mitragliate di Armando e del signor Falcone, pensarono bene di non seguire l'esempio dei loro compagni che avevano avuto una così triste accoglienza. Cominciarono dapprima ad allargare il cerchio, poi, vedendo che il fuoco non cessava, causando continue stragi tra le loro file già assottigliate, si decisero finalmente ad andarsene, fuggendo con la coda fra le gambe.

— Ecco una lezione che ricorderanno — disse Bennie. — Che il diavolo si porti all'inferno tutti i lupi dell'America.

— Abbiamo fatto una vera strage, — disse Armando.

— Una trentina sono rimasti sul terreno.

— Cioè, erano rimasti, poiché non ne vedo che sette od otto; al di là dei nostri fuochi.

— È vero, — disse Bennie, ridendo — Gli altri sono stati mangiati. Andate a riposare; veglieremo io e il signor Falcone.

— Non ritorneranno?

— Bah!... Udite? Gli ululati diventano sempre più fiochi.

— Continuano la fuga. Buona guardia, Bennie.

— Non temete, giovanotto.

Armando e Back scivolarono sotto la tenda, stendendosi sul soffice strato di muschio, mentre il canadese e il signor Falcone spogliavano i lupi delle loro pelli, avendo intenzione di farsi delle calde coperte per la notte. Nessun altro avvenimento venne a turbare il silenzio del vallone, e uomini e cavalli poterono riposare tranquillamente fino alle sei del mattino. Dopo una abbondante colazione, il piccolo drappello riprendeva il cammino verso nord per raggiungere l'Yucon.

L'intenzione degli uomini era quella di discendere il fiume fino a Dawson, con qualche scialuppa del forte Scelkirk o con dei canotti Tanana, per evitare un viaggio lunghissimo attraverso quelle regioni quasi sconosciute e interrotte da aspre montagne. Ormai l'Yucon doveva essere libero alla navigazione, non essendo stato l'inverno molto freddo, a giudicare dalla poca quantità di neve che si incontrava, quindi la cosa non pareva dover presentare degli inconvenienti. La distanza che li separava da quel grande corso d'acqua era ancora considerevole, però s'accinsero animosamente all'ardua impresa, decisi a rovinare i cavalli pur di arrivare presto, tanto più che avrebbero dovuto sbarazzarsi per forza di quei quadrupedi, non potendo imbarcarli. Facendo delle fermate molto brevi, e spingendo gli animali quasi sempre al galoppo, quattro giorni dopo aver attraversato alcune catene di montagne, ancora coperte per la maggior parte di neve, e costeggiato numerosi laghi e selve di pini, abeti e betulle, giunsero finalmente in vista del fiume gigante, la cui imponente massa d'acqua si apriva il passo fra due alte sponde. Non sapendo dove si trovavano, il signor Falcone attese il mezzodì per ordinare la sosta e diede ai compagni la lieta novella che distavano solamente ottanta miglia dal forte Scelkirk.

— Se troveremo da imbarcarci, — diss'egli, — fra tre settimane potremo raggiungere Dawson e fra quattro le rive del Klondyke.

— A raccogliere palate d'oro, — aggiunse Bennie, con entusiasmo. — Se la fortuna ci aiuta, potremo finalmente diventare ricchi anche noi e comprare tutte le mandrie del mio ex-principale. Cosa ne dici, Back?

Il messicano lanciò in aria tre buffi di fumo, poi levandosi dalle labbra la sigaretta, rispose:

— Penso che, se diventassi ricco, manderei al diavolo la prateria, i pellirosse, e anche tutti i cow-boys del mondo.

— Lo credi?

— Sì, Bennie.

— E io niente affatto, mio caro. L'uomo che ha provato la vita libera della prateria, non vi rinuncia così facilmente. Chi vivrà vedrà.