I minatori dell'Alaska/XV - La caccia ai bisonti

XV — La caccia ai bisonti

../XIV — Ancora Coda Screziata ../XVI — Le Teste Piatte IncludiIntestazione 10 gennaio 2017 75% Da definire

XIV — Ancora Coda Screziata XVI — Le Teste Piatte

XV — LA CACCIA AI BISONTI


Alle tre pomeridiane, il piccolo drappello, ansioso di lasciarsi indietro l'ostinato pellerossa, si rimetteva in marcia attraverso il territorio di caccia delle Teste Piatte. Quell'ampio tratto di terra è quasi del tutto piano, non avendo che a ovest la gran catena delle Montagne Rocciose, interrotto solo da splendide foreste di ciliegi selvatici, cicuta legno, aceri di ogni specie, salici rossi, legni di renna, con le cui fibre si fanno delle ottime corde, abeti neri e bianchi, pini e mirti coniferi, dai cui rami si estrae una cera verde che si adopera nella fabbricazione delle candele. Le terre coltivate mancavano assolutamente, poiché gli indiani ritenevano di venir meno alla propria dignità, chiedendo sostentamento alla terra. Preferivano inseguire gli animali selvaggi che erano ancora abbondanti in quelle vaste regioni, piuttosto di chinarsi a zappare un palmo di terra. Era già molto se le loro donne, costrette dalla fame, si degnavano, durante la buona stagione, di seminare un po' di fave, che poi venivano mangiate bollite con grasso d'orso, o un po' di cetrioli, piante che crescono molto bene e producono frutti enormi che arrivano a pesare fino a sessanta chili. Il drappello, che avanzava al galoppo, continuò la rapida marcia fino al tramonto del sole, passando successivamente attraverso a praterie e a foreste, senza aver incontrato alcun essere vivente; poi fece alt in una specie di gola boscosa aperta fra due collinette coperte di superbi pini Columbia, che spingevano le loro cime a circa cento metri. Sembrando quel luogo assolutamente tranquillo, rizzarono la tenda nel mezzo alla gola, certi di poter passare una notte indisturbata e di riprendere quella corsa indiavolata ai primi albori del giorno seguente. Dopo aver cenato e fumato un po' di tabacco, legarono i cavalli a un piuolo conficcato in terra, poi si cacciarono sotto la tenda, avendo però la precauzione di mettersi le armi accanto. Riposavano da parecchie ore, sognando di essere già giunti nelle miniere dell'Alaska, e di raccogliere oro a piene mani, quando Bennie che dormiva, per vecchia abitudine, con un occhio solo, fu bruscamente svegliato da alcune urla che pareva rintronassero verso l'estremità della gola, seguite subito dai nitriti dei cavalli.

— Al diavolo quei predoni a quattro gambe!... — esclamò. — Era già un po' di tempo che i lupi non ci facevano di queste serenate.

Sapendo quanto sono audaci i grossi lupi di prateria, ben più alti e robusti dei coyote, si sbarazzò della coperta di lana che lo avvolgeva, prese un fucile e sgusciò fuori della tenda. Essendo la luna già tramontata, in fondo a quella gola boscosa, era buio pesto, tanto da non poter distinguere un oggetto o un animale a dieci passi di distanza. Per di più, un vento freddo del settentrione, soffiando con forza in quella stretta, agitava fortemente le piante, impedendo di distinguere con precisione l'avanzare dei lupi.

— Una vera nottata per loro — disse Bennie. — Possono portarci via un cavallo senza che ce ne accorgiamo.

Radunò i tizzoni del focolare, che erano quasi spenti, li ravvivò gettandovi sopra alcuni rami secchi, poi si diresse verso i cavalli. I mustani erano ancora legati al palo, ma dimostravano una vera eccitazione. Scalpitavano, nitrivano e tendevano le corde cercando di spezzarle.

— Che cosa vuol dire? — si chiese il cow-boy, con inquietudine. — I nostri cavalli non possono spaventarsi per la presenza di pochi lupi, che sanno tenere a distanza con dei sapienti colpi di zoccolo.

Guardò verso le due uscite della gola, ma non vide nulla che potesse giustificare il timore degli animali. Si udivano verso la cima di un colle, echeggiare sempre le monotone e lugubri urla di alcuni lupi, probabilmente grossi a giudicare dalla potenza dei loro polmoni, però non dovevano essere più di cinque o sei.

— Che ci sia invece qualche grizzly!... — mormorò Bennie. — Quegli orsi giganteschi non sono rari in questo paese!...

Non osando allontanarsi con quella profonda oscurità ed essendo la notte fredda, andò a prendere la coperta di lana, si avvolse alla meglio e si sedette a breve distanza dal fuoco, tenendo il fucile fra le ginocchia. I cavalli, visto che il padrone vigilava, si erano calmati, però guardavano sempre verso l'uscita della gola che sboccava a settentrione, come se il loro istinto li avvertisse che il pericolo stava da quella parte. Il cow-boy, rannicchiato dietro la tenda, la cui tela sbatteva come la gran gabbia di un veliero, apriva gli occhi e tendeva gli orecchi, ascoltando attentamente le urla dei grossi lupi, gli ululati del vento gelato che soffiava con forza dentro la tenebrosa gola, lo scricchiolare dei rami e lo stormire del fogliame. I carnivori erano già fuori dalla gola, ma altri se ne udivano più lontano, e quelle urla tetre, paurose, ora s'allontanavano in una direzione, ora in un'altra come se quei predoni corressero capricciosamente o si inseguissero attraverso i boschi e le praterie.

— Devono essere in caccia, — mormorò Bennie, che ascoltava con attenzione crescente.

A un tratto quegli ululati, che diventavano sempre più acuti, si avvicinarono rapidamente in direzione della gola, come se quella banda di predoni si preparasse a cacciarsi fra le due colline e a irrompere verso l'accampamento. Bennie, udendoli così vicini, si era sbarazzato della coperta ed era balzato in piedi. Stava per riattizzare il fuoco, quando udì Armando chiedere:

— Che cos'è questo fracasso, signor Bennie?... Corriamo qualche pericolo?...

— Siete voi, giovanotto?... — rispose il cow-boy. — Venite a tenermi compagnia, e prendetevi la coperta, perché la notte è piuttosto fredda. Soffia un ventaccio di tramontana che punge la pelle.

Armando s'affrettò a obbedirlo, e strisciò all'aperto, portando con sè il fucile.

— È un concerto di lupi, questo — disse.

— Sì, e non sono semplici coyote; sono lupi grigi, brutte bestie, giovanotto, e molto pericolose se sono numerose.

— Minacciano il campo?...

— No, per il momento; credo anzi che siano occupati a cacciare.

— Qualche grosso animale?...

— Forse qualche bisonte isolato o qualche wapiti.

— Come sarei contento di portarglielo via, se si trattasse di un superbo bisonte.

— Se lo cacciano da questa parte, faremo il possibile per prendercelo. Udite?... Gli ululati si avvicinano.

Un ululìo prolungato, indiavolato, rintronò nella gola selvaggia. Pareva che cento lupi si fossero precipitati fra le due alte colline rocciose, e corressero furiosamente attraverso i cespugli. Back e il meccanico, svegliati bruscamente da quel fracasso, si erano precipitati all'aperto, mentre i cavalli, spaventati, s'impennavano nitrendo.

— Siamo assaliti dai lupi? — chiese il signor Falcone, balzando verso Bennie.

— Non lo so ancora — rispose questi. — Tenetevi tutti dietro al fuoco, e non perdiamo di vista i cavalli.

Le urla continuavano ad avvicinarsi. Pareva che i lupi inseguissero accanitamente qualche grossa preda, e che celebrassero, con quell'indiavolato concerto, la prossima vittoria. Non dovevano essere più di due dozzine, ma essendo la gola ristretta, pareva fossero sei volte più numerosi.

— Badate!... — gridò a un tratto Bennie, che si trovava davanti a tutti.

Una massa nera, di proporzioni gigantesche, scendeva al galoppo la gola, muggendo disperatamente, seguita da vicino da una banda di lupi che le saltellava ai fianchi assordandola con ululati paurosi.

— Corna di cervo!... — esclamò Bennie.

— Che cos'è quell'animalaccio?... — chiese Armando ansiosamente.

— Giovanotto, domani faremo una scorpacciata di bistecche. In guardia o verremo schiacciati!...

L'enorme massa, che non si poteva ancora ben distinguere a causa dell'oscurità, muoveva diretta verso la tenda, galoppando sfrenatamente, con la speranza di sottrarsi all'imminente assalto dei famelici nemici.

— È un bisonte!... — urlò Bennie. — Back, bada ai cavalli!...

Si slanciò al di là del fuoco, seguito da Armando e dal meccanico, e puntando rapidamente il fucile, fece fuoco alla distanza di cinquanta passi. Il gigantesco animale, certamente colpito dalla infallibile palla del cacciatore, mandò un lungo muggito, ma continuò tuttavia la corsa.

— Fuoco!... — gridò il cow-boy. Armando e il meccanico scaricarono quasi simultaneamente i loro fucili. Il bisonte mandò un secondo e più prolungato muggito, avanzò ancora di quindici o venti passi, trasportato dallo slancio, poi stramazzò pesantemente al suolo, proprio dinanzi al fuoco, rimanendo immobile.

— Morto!... — esclamò Armando.

— Sì, ma ci sono ancora dei vivi, — rispose Bennie, — e pare che non vogliano rassegnarsi a perdere la loro preda.

Infatti i lupi, da veri cacciatori che non intendono lasciarsi defraudare della selvaggina stanata e inseguita, quantunque avessero udito quei tre spari, non si erano allontanati, anzi tutt'altro! Vedendo cadere il bisonte, e comprendendo che stavano per perdere le succulente bistecche, si erano radunati a breve distanza, emettendo ululati minacciosi. Si trattava di quindici o venti lupi grigi, di alta statura, dalle gambe secche e nervose, e dalle mascelle formidabilmente armate di denti lunghi e aguzzi. Avevano formato, fuori dalla luce proiettata dal fuoco, un semicerchio e ululavano a piena gola, mentre i loro occhi ardenti scintillavano come carboni, fra la cupa ombra proiettata dalle alte rocce e dalle piante.

— Pretenderebbero di assalirci? — chiese Armando, che aveva introdotta una nuova cartuccia nel fucile.

— Se non assalirci, almeno rifarsi della preda perduta, con uno dei nostri cavalli — rispose Bennie. — Se non ardesse il fuoco, non ci sarebbe da stupirci se tentassero di balzarci addosso. Sono audaci, quei ladroni.

— Cominciamo a sparare per calmare un po' la loro collera.

— State zitto.

Bennie si era curvato innanzi, e si era posto in ascolto. In lontananza si udiva un cupo fragore, che rassomigliava un pò all'irrompere furioso di un grande fiume, o al frangersi delle onde marine contro una spiaggia rocciosa.

— Senti, Back? — chiese Bennie.

— Sì — rispose il messicano.

— Sono bisonti in marcia.

— Lo credo anch'io, Bennie.

— Ora comprendo la presenza di questi grossi lupi. Erano riusciti ad isolare questo bisonte per poi ucciderlo a loro agio.

— Saranno molti i bisonti?... — chiese il meccanico.

— Centinaia e forse migliaia, signore.

— La gola è propizia per una bella imboscata.

— Volete dire?...

— Che gli indiani cercheranno sicuramente di spingerli da questa parte.

— Gli indiani?...

— Sì, signor Falcone.

— Credete che stiano già cacciandoli?

— Li seguiranno di certo; dove ci sono i bisonti, c'è sempre l'indiano.

— Speriamo di non incontrare i Grandi Ventri.

— Non abbiate questo timore, ci troviamo sul territorio di caccia delle Teste Piatte.

— Andiamo a cacciare anche noi i bisonti, signor Bennie? — chiese Armando, che non stava più fermo.

— Non voglio farvi perdere una così bella occasione, giovanotto, ma dobbiamo aspettare l'alba, e poi ci sono i lupi che ci chiudono il passo.

— Non mollano...

— Se ne andranno presto, ve lo assicuro. Sanno che hanno più da guadagnare con i bisonti che prendendosela con noi. Ehi, Back, bada che i cavalli siano pronti a partire mentre noi leviamo la tenda.

Senza più occuparsi dei lupi, i quali d'altronde si limitavano a urlare, senza osare avvicinarsi al fuoco, i due cow-boys e i loro compagni misero le selle ai cavalli, stringendo accuratamente le cinghie, caricarono le casse e le poche provviste che ancora possedevano, poi piegarono la tenda. Intanto il fragore diventava più distinto, come se i bisonti si avvicinassero alla gola. Al di là delle colline si udivano risuonare muggiti sordi, poi cupi boati e rumori che sembravano prodotti dall'urto di centinaia e centinaia di corna. In mezzo a quel fracasso, si udivano le urla acute dei lupi, che seguono sempre i bisonti nelle loro emigrazioni, pronti a piombare addosso a quelli che, per stanchezza o vecchiaia, o a causa di qualche ferita, rimangono indietro, e a dilaniarli ferocemente, o a rapire alle femmine i giovani vitelli. I lupi che si erano schierati nella gola, udendo gli ululati dei loro compagni, non tardarono a volgere le code e a ritornare nella prateria, con grande soddisfazione di Armando. Dovevano essere già le tre del mattino, quando in mezzo a quei crescenti fragori, si udì distintamente un colpo di fucile.

— Gli indiani!... — esclamò Bennie.

— Che si preparino a piombare addosso ai bisonti?... — chiese il meccanico.

— Certamente.

— Saranno molti?...

— Tutti i guerrieri della tribù. In sella, amici!... Andiamo a prendere parte alla battaglia!...

Tutti balzarono in arcione, e quantunque la gola fosse ancora oscura, si misero in marcia attraverso i cespugli e i macigni che ingombravano il suolo. A quel primo sparo ne era seguito un secondo, poi un terzo, quindi era rintronata una scarica generale. Fra i muggiti dei grossi animali, i quali dovevano ormai essere in preda a un vero panico, non avendo quei giganteschi ruminanti una esatta conoscenza del loro vigore straordinario, si udivano confusamente delle voci umane e dei nitriti di cavalli. Bennie si era messo alla testa del drappello e cercava di affrettare la marcia. Il terreno era pessimo, tutto buche rocce e cespugli fitti, e la gola pareva molto lunga. Udendo quegli spari che crescevano d'intensità e quelle grida, il vecchio cacciatore non poteva stare più fermo, e tormentava la batteria della sua arma. Già non dovevano distare che poche centinaia di passi dall'uscita della gola, quando i cavalieri udirono dinanzi a loro un fracasso spaventoso. Pareva che un uragano devastatore s'inoltrasse fra le due colline, tutto abbattendo al suo passaggio. Bennie aveva trattenuto il suo cavallo:

— I bisonti si sono precipitati nella gola!... — urlò. — Salvatevi.

I cavalli, spaventati, avevano fatto un rapido dietro front, fuggendo sfrenatamente attraverso i rovi e i macigni, mentre all'estremità della gola si vedevano avanzare, con un clamore assordante, i primi gruppi dei bisonti. Bennie, con quattro vigorose speronate si era portato alla testa del drappello, e pur fuggendo, cercava un posto qualunque dove rifugiarsi. Scorgendo una fenditura che conduceva sulla cima di una roccia, che, dal lato della gola, cadeva a picco, lanciò in quella direzione il suo mustano, la salì speronando furiosamente, e s'arrestò in quel luogo. I suoi compagni, urlando e sferzando, lo avevano seguito, e i sei cavalli si erano trovati tutti uniti sulla cima di quella roccia, che aveva una superficie così ristretta da contenerli tutti a stento.

— A terra e pronti a far fuoco!... — gridò Bennie. — Vedremo un terribile spettacolo!...