Favole (La Fontaine)/Libro decimo/XIV - I due Avventurieri e il Talismano

Libro decimo

XIV - I due Avventurieri e il Talismano

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Jean de La Fontaine - Favole (1669)
Traduzione dal francese di Emilio De Marchi (XIX secolo)
Libro decimo

XIV - I due Avventurieri e il Talismano
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Alcide, il forte eroe, Alcide che rivali
non ebbe mai fra gli uomini e men fra gli animali,
mostrò co’ suoi sudori
che dell’onor la strada non è sparsa di fiori.

E lo provò quell’arabo, che con un Talismano
iva a cercar fortuna in un paese strano,
un dì che in compagnia
d’un camerata giunse a capo d’una via.

Sopra un pilastro scritto diceva ivi un cartello:
"Signor avventuriere, se passi oltre il ruscello,
potrai tosto vedere
ciò che non vide mai nessun avventuriere.

Un elefante in sasso scolpito giace al suolo,
piglialo in braccio e portalo con un impeto solo
in vetta di quel monte,
che par sfidare il cielo colla superba fronte".

De’ due Avventurieri colui ch’era più saggio
di scendere nell’acqua non si sentì coraggio,
gli parve stravagante
questo passare e prendere in collo un elefante.

L’acqua era fonda e rapida. - E quando anche arrivassi
a stringer l’elefante, - dicea, - per pochi passi,
portarlo poi d’un fiato
in cima di quel monte mi par fiato sprecato.

Se grosso è l’elefante e non di carta o quale
si mette sui bastoni, non c’è nessun mortale
capace di far tanto,
e poi della fatica quale il costrutto e il vanto?

Scommetto che qui sotto c’è di parola un gioco,
o qualche tristo intrigo e me ne fido poco.
Se curïoso sei,
ti lascio l’elefante e vo pei fatti miei -.

Questi partì. Con animo più forte e men prudente
l’altro nell’acqua slanciasi e passa oltre il torrente,
combatte, vince, va
là dove l’elefante, com’era scritto, sta.

Sel piglia sulle braccia, al monte ecco si avvia,
cammina ove una valle dal culmine si aprìa;
un grido alto gettò
la bestia, e una città di subito spuntò.

Ed ecco armato accorrere il popolo. Risuona
la valle. Egli non fugge: s’avanza, non perdona,
e a vendere si appresta
a chi la vuol comprare assai cara la testa.

Pensate ora se attonito restasse, quando intese
che scelto era dal popolo monarca del paese.
Per quanto sia mestiere
da cane, pur si arrese il forte alle preghiere.

Non finse egli siccome si narra di fra Sisto
che, nominato papa: - Ahi, - disse, - affare tristo
essere papa e re! -
ma lieto il serto cinse che il popolo gli diè.

Una fortuna cieca cieco ardimento vuole,
ed è più saggio spesso non far troppe parole,
non indugiar, ma in faccia
guardare ed affrontare il mal che ci minaccia.