Favole (La Fontaine)/Libro decimo/XV - I Conigli

Libro decimo

XV - I Conigli

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Jean de La Fontaine - Favole (1669)
Traduzione dal francese di Emilio De Marchi (XIX secolo)
Libro decimo

XV - I Conigli
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(Sermone al signor Duca de La Rochefoucauld)

In molti casi, quando l’Uomo io veggio
comportarsi da bestia ed anche peggio,
io dico dentro me:
- Dei sudditi non è migliore il re.

Forse ha voluto infondere Natura
in ogni creatura
un elemento rozzo, in cui lo spirito
rinchiuso in material e dura scorza,
attinge la sua forza -.

Nel momento propizio, ossia nell’ora
che il sol coi raggi d’oro fa ritorno
nell’umido soggiorno,
ovvero allor che svegliasi l’aurora
e sbadiglia la notte in braccio al giorno,
d’un bel boschetto sull’estremo lembo
e d’una pianta in vetta
novello Giove, delle foglie in grembo,
lancio a qualche Coniglio una saetta.

Allo scoppiar del fulmine
i Conigli adunati alla pastura
alzan gli orecchi e l’occhio vivo girano
per tutta la pianura,
poi lascian l’erba e fuggono dal fresco
timo odoroso che profuma il desco.

Tutta la banda fugge e per paura
nella città sotterra
ricovera e si serra:
se non che poco dura
il timor della morte ed il sospetto,
e vedi poi da cento luoghi in giro
ad un ad un tornare anche al banchetto
allegri come prima e ancora a tiro.

Così nelle disgrazie
anche gli uomini fanno.
Appena il porto toccano
ed escono d’affanno
ancora si abbandonano
al vento, all’uragano,
veri conigli, ed a fortuna in mano.

Vediamo, amico, un altro assai più semplice
incontro, intendo i Cani,
che sono per gli umani un buon esempio.

Se un Can per una strada
nuova si perde, vedi la masnada
degli altri cani tutti del dintorno
urlar, gridar e morderlo
e accompagnarlo fuori del paese
con questa bella musica cortese.
Nei cani è gola, è invidia;
ma veggo che anche agli uomini sovente
un buon affare, un’ambizion di gloria,
siccome ai cani fa aguzzare il dente.
E non fan magistrati e cortigiani
e deputati e gente pronta a tutto
cose tali che indegne son dei cani?

E tutti, se vogliam esser sinceri,
al nostro concorrente
non caveremmo gli occhi volentieri?
Lo stesso puoi ripetere
d’ogni donna galante e dei poeti.
Malanno a chi vien ultimo!
Anche se il ventre è pieno e soddisfatto,
si vuol essere in pochi intorno al piatto.

Amico mio, di cento e di duecento
esempi ancor potrei
confortar questo bel ragionamento,
ma l’opere più corte
son le più belle, e coi modelli miei
gran maestri dell’arte io cerco andare,
che in ogni scritto vogliono
che resti qualche cosa da pensare.

Tronco adunque il discorso, in cui se alcuna
verità collocai, la deggio a Voi,
del quale è la grandezza al mondo nota
e al qual la più modesta
lode fa di pudor tinger la gota.
Voi non volete che il bel nome in questa
leggenda io scriva o che l’invochi almeno
contro i danni del tempo ed il veleno
degl’invidiosi critici:
ma il nome vostro va immortale e grande
non sol di Francia fra i più chiari eroi,
ma bello anche si spande
per tutto l’universo.
Or sappia il mondo che mi vien da Voi
il tema a cui s’ispira oggi il mio verso.