I cani/Cane del San Bernardo
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Annibale, secondo il poeta Innocenzo Frugoni, saliva il Moncenisio armato di ferro come Ruggero e Sacripante nelle grandi giornate, e quando fu sulla cima levò
Ferocemente la visiera bruna.
Se qualcuno dei suoi seguaci gli avesse detto allora che sarebbe venuto un giorno nel quale l’uomo non avrebbe più avuto bisogno di salire e scendere le montagne, che a quella montagna di cui erano allora in cima si sarebbe fatto sotto un traforo a livello del piano, pel quale sarebbero passati grandi carrozzoni non tirati da cavalli o da altri animali, ma di cui le ruote avrebbero girato con rapidità vertiginosa a furia d’acqua bollente, il gran capitano avrebbe risposto probabilmente come in certi scoppi di buon umore Garibaldi rispondeva qualche volta a Fra Pantaleo.
Le montagne si traforano ora da tutte le parti, e l’opera generosa dei cani del San Bernardo e di altri cani alpini sta per non esser più necessaria.
Ma la storia ricorderà sempre quei monaci sublimi che menavano asprissima vita fra i geli colla sola compagnia di quei cani che ammaestravano a cercare l’uomo travolto dalla bufera, vicino a morire, a sorreggerlo, ad aiutarlo, a trovar modo di recargli salvezza. Quegli uomini generosi, ardenti nel sentimento del bene, grandi pel continuo sagrifizio, sommi per la incomparabile semplicità con cui compivano incessantemente i miracoli più eccelsi d’amore del prossimo, resteranno nella memoria degli uomini venerati e benedetti.
Un naturalista, lo Scheitlin, disse a Barry, il più grande dei cani del San Bernardo, parole che meritano di essere riportate, se non altro per dimostrare che i naturalisti non sono poi sempre tanto stupidi quanto sembrano. Eccole:
«Il più eccellente cane che si conosca, non è quello che svegliava la guardia dell’Acropoli di Corinto, né quello che come Bezerillo sbranò centinaia di Americani nudi, né il cane del carnefice che accompagnò per ordine del padrone un viaggiatore impaurito attraverso la grande selva oscura, né il Drago di Drydens, che al cenno del suo signore piombò sopra quattro masnadieri, ne strangolò alcuni e salvò la vita del padrone; né quello che annunziò a casa che il figlio del mugnaio era caduto nell’acqua; né il cane di Varsavia che balzò nel fiume dall’alto del ponte e strappò alla morte una fanciullina che affogava; né quello di Aubry che aggredì furioso l’assassino del padrone e lo fece a brani al cospetto del re; né quello di Benvenuto Cellini che svegliò l’orefice quando si voleva derubarlo dei suoi gioielli, bensì è Barry il santo del San Bernardo! Sì, Barry, il più grande dei cani, il più grande degli animali! Tu fosti un grande cane-uomo con un cuore caldo per gl’infelici: salvasti la vita a più di quaranta uomini. Uscendo dal chiostro con al collo il tuo canestrino, e pane, e dolci, e forte cordiale, te ne andasti nella bufera, collo squagliare della neve, giorno per giorno, a cercare gli intirizziti, coloro che la valanga ricopriva, solo li richiamasti alla vita, e se te ne venne meno la possibilità, corresti al casale affinché venissero con pale ad aiutarti i frati del monastero. All’opposto del becchino, tu facevi risorgere. Sapesti, come uomo di delicato sentire, farti capire per la tua compassione, altrimenti non avrebbe osato quel ragazzino dissotterrato sedere sulla tua schiena e lasciarsi portare da te al chiostro ospitale. Giuntovi traevi il campanello della sacra porta e consegnavi ai pietosi fratelli il prezioso tuo trovatello. E sciolto appena del dolce peso, tornavi alla ricerca, ed ogni volta che riescivi ti facevi più pietoso e più compassionevole. Tale è la benedizione della buona opera che produce un bene continuo! Ma come parlavi tu a quelli che avevi trovato? Come potevi infondere loro coraggio e consolazione? Avrei voluto prestarti la parola, che molti avrebbero potuto imparare da te. Sì, non aspettavi che ti si venisse a cercare; rammentavi da te il tuo santo dovere, come un uomo giusto che vuol piacere a Dio. Appena scorgevi da lontano l’avvicinarsi della nebbia e della burrasca, ti affrettavi a partire. Che sarebbe egli avvenuto di te se tu fossi stato un uomo? Un san Vincenzo, il fondatore di cento chiostri ed ordini pii. Così senza sconfortarti, senza aspettare un ringraziamento, così facesti per dodici anni. Ebbi l’onore di conoscerti al San Bernardo.
Rispettosamente, come conveniva, mi tolsi il cappello davanti a te. Giocavi allora coi compagni, come le tigri giuocano fra loro. Volli far con te più stretta relazione, ma tu brontolasti, chè non mi conoscevi. Ma io conosceva la tua fama, il tuo nome, il tuo bel suono. Se fossi stato infelice, non avresti brontolato con me. Ora il tuo corpo imbalsamato sta nel Museo di Berna. Fece bene la città che ti accolse e ti mantenne sino alla fine, quando fosti vecchio e debole e incapace di servir l’umanità. Chi vede in Berna il tuo corpo imbalsamato si tolga il cappello e comperi il tuo ritratto e lo appenda in una cornice, sotto un vetro, alle mura della sua camera, e compri anche il ritratto del garzoncello sulla tua schiena quando stai con esso alla porta del convento e suoni; e lo mostri ai bambini, agli scolari e dica: Va’e fa’ come fece questo buon Samaritano, e butti giù dalla finestra i ritratti di Robespierre, di Marat, di Hannibel, di Abellino e di altri briganti, affinché la giovine generosità impari dai cani ciò che disimpara dagli uomini».