I Marmi/Parte seconda/Ragionamenti arguti/Il Gobbo sargiaio, Meo dal Presto e lo Squitti

Il Gobbo sargiaio, Meo dal Presto e lo Squitti

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Il Gobbo sargiaio, Meo dal Presto e lo Squitti
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Il Gobbo sargiaio, Meo dal Presto e lo Squitti.

Gobbo. Compare, fate come io v’ho detto, fate paura loro, altrimenti e’ non si può aver godimento: i miei figliuoli io gli tengo a stecchetto con lo spaventargli e gli fo vedere la Quaresima e gli minaccio di fargli mangiare a quel drago.

Meo. Voi fate bene un gran male: non sapete voi che le paure fanno morire i fanciulli?

Squitti. Io ho bene udito dire molte cose accadute di questi casi; ma una mi trovai io a vedere in casa gli Ussi miei vicini.

Gobbo. Avrò caro d’udirla.

Squitti. Volentieri ve la dirò. Giovanni aveva comprato, come si fa per pasqua, un pecorino, e aveva un bel bambino in casa, d’un anno incirca; e facendogli far festa a questo agnellino, come si costuma, egli lo toccava e ridendo si allegrava assai di sí fatto animale. In questo che egli lo palpeggiava il pecorino trasse un belo e fu si fatto il belare che ’l bambino si riscosse e spaventò di paura udendo la boce dell’animale. Costoro, accorgendosi della cosa, cominciarono a farlo allegro e dire delle parole per levargli la paura, e l’agnello in tanto ribelò alquante volte; talmente che ’l fanciullino di nuovo si spaventò e fu lo spavento tale che in due giorni egli si morí. Or pensate, se, non facendo lor paura, e’ si spauriscano, come voi racconcierete facendola loro.

Gobbo. La fu gran cosa veramente, n’è vero, Meo?

Meo. Io ne dirò un’altra che intervenne a un nostro cassieri al Monte, questa befania passata. Egli aveva due bambine, una di tre anni e una di cinque: e, come sapete, egli è il solito nostro che si suonano per la via tutta la sera campanacci e fassi gran rimori, con dire in casa: — Le son le befane che vanno a torno; — onde i fanciulli si nascondono e, nell’andare a letto, è lor dato a credere, se non si mettano qualche cosa [p. 238 modifica] sul corpo, il mortaio massimamente, che le befane gne ne foreranno. Quella maggiore, adunque, portò il mortaio nel letto e se lo messe sul corpo: volete voi altro? che fu si fatto il peso e il freddo del mortaio di pietra che la fanciullina crepò e morissi la medesima notte. L’altra, per la paura delle befane, che la si credette che l’avessero la notte forato il corpo alla sorella, si spaventò siíche la stette per morire.

Gobbo. Mai piú udi’ dire simil cose, e son vecchio.

Meo. Voi siate ancor piccino, però; ma quando sarete grande come noi, ne saprete dell’altre. Che direte voi del figliuolo della medica da San Niccolò, che non è quattro mesi che fu il caso? Egli era stato una mattina senza andare alla scuola e la madre lo prese con dirgli: — Poi che tu non vuoi imparare a lèggere, aspetta, ché io mi ti voglio levar dinanzi. — E, presolo, fece vista di volerlo gettar nel pozzo; e fu si fatta la paura che egli, gridando e stridendo, gli morí in braccio.

Gobbo. Udi’ dire giá cotesto caso, ma non attinsi.

Squitti. Che volete voi piú bell’esempio (ed erano fanciulli grandi) di paura che, essendo in quelle chiassaiuole coperte a Fiesole certi fanciulli lá dentro, che chiamano le buche delle fate, e andando inanzi un pezzo con una lanterna, si spense loro il lume? Certi altri che erano entrati, come piú animosi, inanzi (e loro che venivano dietro non gli avevan veduti entrare), vedendo spegner loro il lume, si messero a far lor paura con boci contrafatte; onde i fanciulli, spauriti, corsero fuori gridando; e correndone uno per paura forte, non restò di gridar mai insin che non si ficcò in una casa, tanto che la notte, tremando e del continuo avendo paura, se ne morí.

Meo. Per nulla non facessi mai piú paura a’ vostri figliuoli; anzi fategli animosi, mostrate loro che son tutte baie e tutte frascherie; fategli far beffe di quelle cose che non possono offendere e toccar con la mano la veritá.

Gobbo. In villa del mio suocero, mi ricordo bene d’un contadinetto che aveva paura del lupo e uscendo una volta di notte fuor dell’uscio due passi, ebbe una gran paura d’una fascina o d’un ceppo che si fosse, che ’l padre aveva portato [p. 239 modifica] dal campo, e, con il mettere un grande strido, stette parecchi di spaventato del lupo.

Meo. Ecco che pur n’avete qualche saggio.

Squitti. Mancherebbono i casi di coloro che si son morti di paura, da dire, chi volesse svaligiare la Bottega del tessitore, come fanno certi che scrivono, i quali non sanno dire né fare né ritrovar nulla di nuovo, se non la lievano di peso dagli scartabegli degli altri! Io ne voglio dire un altro e poi vi lascio, perché ho da fare assai stasera. Ser Francesco di San Niccolò, uomo da bene e che si diletta molto di pescare, essendo mandato a gettare il ghiaccio tondo una notte dal suo reverendo messer Bernardo Quaratesi, priore della chiesa e molto cortese gentiluomo, menò il cherico che gli tenessi fermo il burchiello quando gettava la rete. E’ gli venne preso con la rete un fanciullo che s’era affogato il dí medesimo per andarsi a bagnare: ora, tirandolo su e pesandogli la rete, si faceva aiutare al cherico, il quale, sopragiunto da questa novitá, prese si fatta paura che bisognò farlo portare a casa; e in sei o sette giorni il povero cherico si morí di paura; ed era grande che vi sareste maravigliato. I figliuoli bisogna tenergli in timore e con amore governargli: assai son le battiture del padre e del maestro! Io n’ho uno che, quando va alla scuola, trema tutto di paura del maestro.

Gobbo. Mai piú fo lor paura da qui inanzi; vo’ mostrar loro come quella è una buccia di cocodrillo e che quegli altri son fantocci da farsene beffe.

Meo. Cosí farete voi bene.

Squitti. Mi raccomando a voi.

Gobbo. A Dio.

Meo. Io vorrei che noi andassimo lá dove è quel mucchio di brigate e udir quel che dicono.

Gobbo. Debbon dir qualche cosa da plebei.

Meo. Sí, che noi ragioniamo forse di cose platoniche!

Gobbo. Andiamo.