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Garibaldi.
I.
Ebbe il braccio fulmineo degli avi
e il nostro cuor dal palpito profondo.
V’è un genio istesso, che dal suol fecondo
della patria rivive a’ giorni gravi?
Eri tu certo, Ligure, che davi
a un re straniero inutilmente un mondo;
or, dato un tetto a un popolo errabondo,
all’unïon dei popoli auguravi.
E quando sul Gianicolo balzasti,
Roma sorrise a tutti gli uomini. Ere
di sangue, chiuse! Aperti nuovi fasti!
Or tu, sul monte, bronzeo resti, quale
della leggenda ultimo cavaliere,
poi che ti colse in fronte l’Ideale.
Garibaldi.
I.
Ebbe il braccio fulmineo degli avi
e il nostro cuor dal palpito profondo.
V’è un genio istesso, che dal suol fecondo
della patria rivive a’ giorni gravi?
Eri tu certo, Ligure, che davi
a un re straniero inutilmente un mondo;
or, dato un tetto a un popolo errabondo,
all’unïon dei popoli auguravi.
E quando sul Gianicolo balzasti,
Roma sorrise a tutti gli uomini. Ere
di sangue, chiuse! Aperti nuovi fasti!
Or tu, sul monte, bronzeo resti, quale
della leggenda ultimo cavaliere,
poi che ti colse in fronte l’Ideale.
III.
Tornerà un giorno. Una novella gesta
leverà fama da un lido lontano
e l’anima d’Italia udrà ridesta
sonar pel mondo un nome italïano.
Dai padri che hanno vinto la foresta
e nei deserti propagato il grano,
apporterà virtù novelle a questa
esausta terra e un largo cuore umano.
I simboli onde mascherati gli uomini
succhian la vita agli uomini, arderà,
e: «Destate l’eroe dentro di voi!»
griderà intorno. E sorgeran gli eroi,
eroi di pace a te, Roma unità,
eroi d’amore, o Roma amor degli uomini!