Homo/Il mistero/In memoria di Furio De Amicis
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In memoria di Furio De Amicis.
A Edmondo De Amicis
I.
L’adolescente un sogno avea nutrito
onde cercava in riva al fiume l’orme?
Sovra gli esuli pini e il Po che dorme
vaga come un rimpianto d’infinito.
Era il meriggio. Si destò, smarrito.
Guardò lontano le languenti forme,
la città, pigra dentro il sole enorme,
ed annuì come ad un noto invito.
Era come colui che ignaro move
nella notte fra sozzi ebbri digiuno,
e chiude gli occhi e di vegliar rifiuta.
«Ah non è qui la vita! Altrove, altrove!»
Laggiù, lontano, udì piangere alcuno?
E si rivolse verso l’ombra muta.
II.
L’albero si chinò sopra uno schianto
aperto nelle sue viscere stesse
quando i due rami giovinetti oppresse
il soffio della morte e un giacque infranto.
E attende, il padre. Con entrambi intanto
cammina: nei silenzî ode sommesse
voci. Nè guarda; come se temesse
fugare un’ombra che gli viene accanto.
E si desta al mattin con un singhiozzo
chiuso. Perchè? Non ritornò l’assente?
Pur scialbo è il sole e l’anima non paga.
Poi lo sorprende una tristezza vaga:
ed ei s’ascolta, come chi repente
sente il braccio doler che gli fu mozzo.
III.
Ignoro, amico, la parola buona!...
Da le cellule prime a le stormenti
foreste che moltiplicano i venti,
ove l’aria nei tronchi s’imprigiona;
da l’immobile vita che ai moventi
esseri fiato e nutrimento dona,
sino a quei che il ricordo fa persona
e la parola fa re dei viventi,
ecco la Terra svolgersi, a l’invito
del Sole; da le viscere del Tutto
traendo in cima ai rami il fiore umano...
Il fior matura, e dove il piccol grano
cada, non sa la Madre, che il suo frutto
disseminando va nell’Infinito!